Quali possibili sbocchi per la crisi politica italiana?
Da due settimane l’interminabile crisi politica del governo Berlusconi è stata messa nel freezer da una mossa bipartisan del presidente della repubblica. Il congelamento è stato giustificato dalla necessità di approvare la cosiddetta “Legge di Stabilità”, ma in realtà gli scopi principali del traccheggiare quirinalizio sono ben altri. In questo modo, Napolitano – conferma vivente della ben nota legge secondo cui ogni presidente della repubblica riesce sempre a far rimpiangere (e ce ne vuole!) i suoi predecessori – è riuscito infatti ad accontentare tanto il partito berlusconiano, quanto l’eterogeneo fronte che sta cercando di disarcionare il Cavaliere, ed in particolare la sua componente terzo-polista.
Questi ultimi hanno avuto così a disposizione un bel mesetto per mettere a punto i loro disegni, mentre il capo del governo ha avuto il regalo di poter fissare la data della votazione sulla fiducia proprio per il 14 dicembre, guarda caso il giorno in cui è prevista la sentenza della Corte costituzionale sul “legittimo impedimento”. Ovviamente, quel giorno saranno “impediti” a presenziare proprio gli avvocati di Berlusconi, Nicolò Ghedini e Piero Longo, entrambi parlamentari impegnati in un decisivo voto di fiducia. Si avvarranno questi ben noti azzeccagarbugli della graziosa opportunità concessagli dall’ex “ministro degli esteri” del Pci? Certamente no se avranno garanzie sufficienti sulle decisioni della Consulta, certamente sì in caso contrario.
Ma il congelamento ha anche un’altra ragion d’essere: tutti i protagonisti di questa sciagurata stagione politica non sanno ancora esattamente che pesci prendere. Berlusconi è al tramonto, ma non si vedono albe. Siamo dunque esattamente nel cuore di una crisi profondissima dagli esiti ancora incerti. Una crisi che non si gioca solo nei palazzi della politica, che vede come massimi protagonisti gli esponenti di spicco del capitalismo italiano (basti pensare ai quotidiani interventi di Marcegaglia, Montezemolo e Marchionne), mentre si riaffaccia sulla scena una ripresa – per ora timida ed insufficiente, ma pur sempre significativa – dello scontro sociale. Lo scenario che fa da sfondo a tutto ciò è quello della crisi economica, ed in particolare il riproporsi come centrale del nodo dei “debiti sovrani”. Dopo la Grecia è toccato all’Irlanda di doversi sottoporre alle cure da cavallo imposte dall’Unione Europea. E mentre è già in corso l’attacco al Portogallo, la domanda è: quando arriverà il turno della seconda I (come Italia) dei cosiddetti PIIGS?
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I possibili sbocchi di questa situazione vanno dunque individuati alla luce di questo insieme di fattori. Intanto, però, partiamo da due punti fermi: la crisi irreversibile del berlusconismo (inteso qui in senso stretto, mentre in senso più ampio, come complessivo fenomeno politico-culturale, il discorso sarebbe necessariamente più articolato); l’estrema improbabilità che un Berlusconi in vesti dorotee (vedi articolo del 4 ottobre) accetti alla fine di trattare le condizioni della propria resa.
Sul primo punto c’è ben poco da aggiungere a quanto già scritto in tante occasioni: la parabola del Paperone d’Arcore è ormai compiuta. Solo gli allocchi potevano non vedere, già un anno fa, la progressiva caduta (di credibilità, lucidità, capacità di direzione) del capo del governo. Quel che allora era già visibile a chi non si fermava alle apparenze, oggi è diventato talmente palese da essere riconosciuto da tutti. Il punto è però un altro: il fatto che la crisi di credibilità investa non solo il governo, ma anche l’insieme delle opposizioni parlamentari, lascia a Berlusconi ancora qualche chance. La questione è allora quella di capire come se le vorrà giocare.
E qui veniamo al secondo punto. I processi politici risentono spesso dei più diversi fattori. Certamente, in ultima istanza, essi dipendono principalmente da quelli economici. Ma “in ultima istanza” non vuol dire meccanicamente. Se così non fosse avremmo già insediato a palazzo Chigi un governo Draghi, sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare. Un governo delegato a far passare una gigantesca manovra lacrime e sangue, ma più “presentabile” in Italia ed all’estero. Non è un mistero per nessuno che questo sia il sogno ed il progetto delle oligarchie dominanti, ed è probabile che “in ultima istanza” esso finisca per realizzarsi. Ma cercare di capire quale potrà essere il tipo e la durata del percorso tra l’oggi e questo probabile punto di arrivo è questione tutt’altro che irrilevante.
In teoria, alla luce degli attuali schieramenti parlamentari, esistono almeno 4 possibilità: 1) Berlusconi ottiene una fiducia risicata anche alla Camera e continua a tirare avanti (il famoso “tirare a campare” di andreottiana memoria). 2) Il governo ottiene la fiducia al Senato, ma non alla Camera (sbocco quasi certo le elezioni anticipate). 3) Berlusconi viene sfiduciato da entrambi i rami del parlamento, aprendo la via ad un possibile ribaltone. 4) Al di là dei diversi scenari di cui sopra, si apre una crisi pilotata che vede il reingresso in maggioranza dei finiani e (possibile variabile) magari anche dell’Udc.
Ricapitolando, le possibilità sono il “tirare a campare”, le elezioni anticipate, il ribaltone e una nuova edizione della “Casa delle Libertà”. Ovvio che ognuna di queste possibilità teoriche contempla al suo interno una serie assai vasta di variabili. Si può “tirare a campare” perché non c’è altra possibilità, oppure in vista di futuri sviluppi della situazione. Si può arrivare alle elezioni con il governo attuale, oppure con un altro insediato appositamente per gestirle. Si può immaginare un ribaltone risicato (modello 1994/1995) oppure uno più ampio nel caso in cui il Pdl si sgretoli veramente. Così come potremmo avere un ribaltone finalizzato principalmente ad approvare una nuova legge elettorale (ipotesi che va perdendo quota), oppure uno motivato dall’emergenza economica e dunque “di legislatura”. E potremmo continuare, ma questo è uno sport che lasciamo volentieri a chi, dovendo riempire quotidianamente le pagine di politica interna dei giornali, finisce per accreditare anche le ipotesi più strampalate, in genere destinate a durare lo spazio di un mattino.
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In questi giorni è in atto uno straordinario forcing del fronte ribaltonista, in particolare della sua componente terzo-polista (finiani, Udc, Montezemolo), i quali, praticamente all’unisono con la presidente di Confindustria, reclamano due cose in apparenza contraddittorie: che Berlusconi se ne vada, che vengano impedite le elezioni anticipate. Poiché la forza di questo blocco non può essere in alcun modo sottovalutata, è chiaro che dobbiamo escludere l’ipotesi n° 4, quella del Berlusconi bis. Costoro hanno temporeggiato a lungo, a dimostrazione delle loro difficoltà, ma ben difficilmente potrebbero accettare di lasciare ancora una volta il Cavaliere in sella.
Chi scrive (a rischio di venire clamorosamente smentito dai fatti) non crede che le campagne acquisti in corso su entrambi i versanti parlamentari potranno avere successi decisivi, né in un verso né nell’altro, in vista del 14 dicembre. Ne consegue che l’ipotesi n° 1 (“tirare a campare” con una maggioranza risicata) sia da considerarsi altamente improbabile, proprio per l’inesistenza di questa maggioranza alla Camera.
Restano allora in campo le ipotesi 2 (elezioni anticipate) e 3 (ribaltone). Proprio perché è prevedibile che le campagne acquisti in corso, per quanto agguerrite, finiranno per produrre soltanto dei piccoli e non decisivi spostamenti, è chiaro che il 14 dicembre non potrà essere la data dell’eventuale ribaltone. I ribaltonisti lo sanno e giocheranno eventualmente le proprie carte più avanti, a crisi di governo formalmente aperta. E’ noto, per esempio, che esiste una pattuglietta di senatori che si raccoglie attorno a Pisanu, pronta a rompere con il Pdl al momento giusto, magari qualora Napolitano decidesse di affidare un incarico “esplorativo” proprio all’ex ministro degli interni.
Attualmente però il progetto ribaltonista appare assai debole: ne scaturirebbe infatti una maggioranza risicata nei numeri, politicamente assai disomogenea, soggetta al continuo attacco berlusconiano sul fronte della mancanza di “legittimazione elettorale”. Un vero ribaltone potrebbe realizzarsi solo a condizione di un significativo sgretolamento del Pdl, con il distacco di componenti ben più consistenti di quelle immaginabili ad oggi. E’ possibile che si determini un simile scenario? Sì, ma solo nel caso in cui venisse giocata la carta dell’estrema drammatizzazione della situazione finanziaria. Una possibilità da non escludere, ma che ha molte controindicazioni.
Se sul piano strettamente finanziario riconoscere l’emergenza può anche finire per alimentarla, sul piano politico significherebbe dover riconoscere quel che si è sempre negato, mentre sul piano sociale renderebbe evidente la prospettiva di un violentissimo attacco alle condizioni di vita delle classi popolari, riaccendendo forse le polveri del conflitto di classe. A queste osservazioni si può certamente obiettare che l’emergenza prima o poi andrà comunque riconosciuta e che – dal punto di vista delle classi dominanti – un governo d'”emergenza” può rappresentare la soluzione migliore anche per prevenire, contenere ed eventualmente reprimere il conflitto sociale.
Sono questi i ragionamenti – possiamo esserne sicuri – che rendono la situazione assai incerta ai piani alti dei palazzi della politica e non solo. E’ un’incertezza che si trascina incredibilmente da mesi e che non ha ancora uno sbocco certo. Proprio per questo, per l’assenza di progetti veramente forti, per la debolezza di chi dovrebbe dirigerli, per la fragilità dei soggetti politici in campo (pensiamo ai “finiani”, ma non solo), l’ipotesi più probabile resta quella delle elezioni anticipate nei primi mesi del 2011.
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Agli inizi di agosto, dopo la cacciata di Fini dal Pdl, scrivemmo che era giunta “L’ora degli zombi“. Bene, i tatticismi esasperati, le retromarce continue, gli attendismi di questi mesi, ci dicono esattamente questo: l’ora degli zombi non è certo finita, le classi dirigenti italiane (non solo quelle politiche) giungono del tutto impreparate al redde rationem di una crisi economica che si intreccia con quella politica ed istituzionale. Le stesse elezioni anticipate – se vi saranno – presenteranno questioni ad oggi del tutto irrisolte: quale sarà la configurazione dello schieramento che si contrapporrà a Berlusconi? Chi sarà il candidato premier? Come potrà esistere un terzo polo con l’attuale legge bipolare? Questioni irrisolte che contribuiscono al temporeggiamento di queste settimane, nodi che non potranno però essere rimandati ancora a lungo.
Per ora siamo alla propaganda. Berlusconi ha detto ieri che «se andassimo alle elezioni li sbaraglieremmo tutti», aggiungendo che chi non dovesse votare la fiducia: «si assumerà la responsabilità di aver tradito gli elettori e sarà segnato per tutta la vita dal marchio del tradimento e della slealtà». Un po’ comica la risposta di Fini che, dopo aver assicurato che comunque non si andrà ad elezioni, ha detto che: «il primo tradimento viene da coloro che hanno da sempre definito il Pdl come un partito plurale di massa e dell’amore». Questa fraseologia un po’ ridicola e spaccona, se da un lato è la dimostrazione vivente della bassezza raggiunta dalla politica italiana, una cosa però ce la dice: la lotta di potere tra i due blocchi sistemici (per semplificare, il “berlusconiano” e l”antiberlusconiano”) è destinata ad andare avanti senza esclusione di colpi.
Se ciò avviene, nonostante la convergenza sostanziale dei due blocchi di cui sopra sui punti decisivi della politica economica, è anche e soprattutto per le caratteristiche assai particolari di Silvio Berlusconi. Costui è arrivato al tramonto, ma non è detto che se ne sia ancora reso conto, né, verosimilmente, i suoi più stretti collaboratori si saranno presi la briga di spiegarglielo senza troppi infingimenti. In caso contrario, egli avrebbe certamente ricercato un’onorevole uscita di scena, accompagnata da un sicuro salvacondotto sul piano giudiziario. Non l’ha fatto, apprestandosi invece ad un’ultima battaglia elettorale, l’unica carta che ancora gli rimane (volendo escludere l’uscita di scena), ma ben difficilmente una carta vincente a meno di errori colossali da parte degli avversari. Certo, nessuno può escludere che l’accordo venga ricercato in extremis da un Berlusconi messo in difficoltà dall’apertura formale della crisi di governo, ma quel che possiamo dire ad oggi è che quello scenario appare del tutto improbabile.
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Si annunciano dunque settimane ancora confuse, con sullo sfondo la prospettiva di elezioni anticipate forse altrettanto confuse. Saremo arrivati, nel frattempo, all’attacco della seconda I (come Italia) dei PIIGS?
E’ questa la variabile decisiva. Ed è su questo che i due blocchi in lotta parlano la stessa lingua ed adottano gli stessi silenzi. Per entrambi gli ordini della Ue e della Bce sono dogmi da rispettare, per entrambi il nodo del debito pubblico andrà affrontato (affrontato, non certo risolto che è palesemente impossibile) con una politica di sacrifici pesantissimi. E’ su questi punti, dell’Europa e del debito, che una nuova opposizione dovrebbe cominciare a prendere corpo. Contro Berlusconi e contro il blocco che intende traghettare il paese verso il governo delle 3M (Marchionne, Marcegaglia, Montezemolo).
Uscire dall’Unione Europea, riconquistare la sovranità nazionale e quella monetaria, è ormai un obiettivo maturo, che non a caso va facendosi strada nei movimenti popolari che si oppongono alle politiche europee nei paesi finora maggiormente colpiti (Grecia, Irlanda, Portogallo). La crisi dell’Unione è talmente grande che nei giorni scorsi perfino la Merkel ha parlato esplicitamente del fatto che alcuni paesi potranno uscire dall’euro e dichiarare l’insolvenza, il cosiddetto default.
Che senso ha, in queste condizioni, restare aggrappati all’Europa, all’euro, ai diktat della Bce? L’unica ragione per farlo è che le classi dominanti italiane sono semplicemente terrorizzate dal fatto che la politica torni ad avere una qualche voce in capitolo nelle decisioni economiche. E’ il terrore della democrazia, l’incubo che i popoli possano rimpossessarsi di un qualche potere. E che, così facendo, capiscano l’urgenza di disfarsi dell’intera classe dirigente, di liquidare le oligarchie finanziarie e di cominciare a pensare ad un’economia indirizzata al soddisfacimento degli interessi popolari.
Come si sarebbe detto un tempo, non siamo tutti sulla stessa barca. Questo vale per la questione dell’Europa, una struttura oligarchica ed antidemocratica che serve solo gli interessi di lorsignori, ma vale anche per quanto riguarda il decisivo nodo del debito pubblico. Come non capire che la gestione attuale del debito pubblico è lo strumento principale per scaricare i costi della crisi sui ceti popolari? Come non capire che questa spada di Damocle, che giustifica ogni porcheria governativa indipendentemente da chi governa, non è più tollerabile? Mettere all’ordine del giorno la questione dell’azzeramento del debito pubblico è davvero sempre più urgente. Ma non aspettiamoci che questo possa essere fatto da qualcuna delle componenti politiche che formano i due blocchi impegnati nell’attuale lotta di potere.
L’obiettivo di questa lotta è non solo il potere politico, ma anche il posizionamento dei vari segmenti del blocco dominante nel momento in cui si imporranno scelte davvero tremende. Se non vogliamo che il gioco resti soltanto nelle mani di costoro, occorre dunque un salto di qualità verso la costruzione di una nuova opposizione per un’alternativa anticapitalista.
Un salto di qualità nelle lotte, nell’opposizione all’intero sistema politico attuale, nell’individuazione delle priorità di un programma di fase che abbia al centro l’uscita dall’UE e l’obiettivo dell’azzeramento del debito pubblico. E’ chiedere troppo? Forse, ma non ci sono alternative al massacro sociale alle porte, indipendentemente dagli scenari politici sui quali ci siamo soffermati in questo articolo. Scenari che in ogni caso ci parlano di un’intera classe politica asservita al potere economico. Una classe politica da mandare a casa. Tutta.