La nullità del progetto vendoliano in un articolo di Alfonso Gianni sul debito pubblico

Alfonso Gianni (foto) non è uno sciocco. E’ vero, per anni ha fatto il ghost writer di Bertinotti, e questo non gli fa molto onore, ma tendiamo a pensare che non credesse neppure lui a tutte le panzane che era costretto a scrivere in quella veste.
Oggi Gianni è in Sinistra e Libertà, altra sigla, altro monarca. Ma, per quel che ne sappiamo, il Berlusconi di sinistra cucina da solo l’aria fritta dei sui discorsi, e così Gianni può dedicarsi a qualche riflessione politica. 

E’ questo il caso di un suo articolo uscito sul Manifesto del 3 dicembre. Il tema è di quelli tosti: il probabile diktat dell’Unione Europea sul debito pubblico italiano. Gianni, diamogliene atto, ha almeno il merito di affrontare un argomento che la sinistra italiana ha del tutto rimosso. Un tema vivacemente discusso in altri paesi, laddove magari ci si comincia anche a chiedere se sia il caso di rimanere nella gabbia dell’Unione, alla mercé dei banchieri di Francoforte. Autentici tabù, invece, per la politica del Belpaese e per la sinistra in particolare. Tabù destinati a cadere, ma per ora apparentemente incrollabili.

Ma entriamo nel merito. L’ex braccio destro di Bertinotti parte da un dato di fatto incontestabile, e cioè che il Consiglio Europeo del 15 dicembre inciderà sulla crisi politica italiana più di quanto determinerà il voto sulla fiducia al governo del giorno precedente. Scrive infatti che: «In quell’occasione potrebbe venire richiesto all’Italia, che vanta dopo la Grecia il debito pubblico più alto, oltre il 118% del Pil, un ancora più brusco avvicinamento al fatidico 60% nel rapporto debito/Pil. Se così fosse è evidente che la manovra di luglio e la legge di stabilità di questi giorni non basterebbero. Ci vorrebbe una manovra suppletiva nella prossima primavera, presumibilmente superiore ai già vagheggiati 25 miliardi».

In realtà tutti sanno che per la primavera si profila una stangata pesantissima, probabilmente ben oltre i 25 miliardi. E tutti sanno che l’operazione in corso, tendente a sostituire Berlusconi con il governo delle 3M (Marchionne, Marcegaglia, Montezemolo) non ha solo una matrice confindustriale, né solo americana, ma anche una fortissima impronta europea. 
Gianni non lo nasconde: «È evidente che solo un governo di grande autorevolezza e compattezza interna potrebbe garantire un simile passo. Da questo punto di vista le probabilità di una sopravvivenza dell’attuale esecutivo sono pari a zero, anche se per il rotto della cuffia passasse l’ostacolo del voto parlamentare del 14 dicembre. Ci vorrebbe o un nuovo governo, fondato su una nuova maggioranza, confortato da un passaggio elettorale inequivocabile. Oppure un governo di salute nazionale, il cui scopo principale sarebbe a questo punto non tanto la riforma elettorale, quanto l’applicazione delle direttive europee in materia di conti pubblici».

E con questo arriviamo allo stretto legame tra la crisi dei debiti sovrani (oggi il principale punto critico di una stagnazione economica di cui non si vede lo sbocco) e le vicende politiche italiane. L’ex sottosegretario di Prodi mette in guardia dal pericolo derivante dalle scelte europee, quelle che lui chiama «forze del centrosinistra e di alternativa»: «Le quali farebbero bene a porsi il problema di come rispondere all’eventuale diktat europeo. Altrimenti, anche nel caso di vittoria elettorale, si troverebbero nella spiacevole situazione nella quale si trova oggi Papadopulos (evidentemente Papandreu, ndr) che deve cavare le castagne dal fuoco acceso dalla politica delle destre. Abbiamo già pagato lo scotto ai tempi di Padoa Schioppa». 

Qui Gianni bara in tutta evidenza, dato che l’esplosione dei debiti sovrani non è frutto della politica delle destre – a proposito, niente da dire su Zapatero?! -, quanto piuttosto la conseguenza di precise scelte sistemiche che hanno visto le destre e le sinistre occidentali “unite nella lotta”. Quel che non si dice, quel che non si vuol dire, è che il debito pubblico è oggi uno straordinario strumento di redistribuzione del reddito dal basso verso l’alto. Il meccanismo è semplice: si scaricano sui conti pubblici i disastri del capitalismo-casinò (basti pensare al salvataggio delle banche, ma non solo), per poi chiamare a ripianare i conti le fasce medio basse della popolazione. Chi ha interesse a mantenere in vita questo giochino? La risposta è fin troppo facile, ma evidentemente da quell’orecchio la sinistra italiana non ci sente.

E difatti l’articolo in questione si chiude con un “nulla di fatto”. Gianni vede il baratro, ma appena ne definisce la portata decide di girarsi dall’altra parte. Questa è la sua conclusione: «Cominciamo a dire che questa crisi non è frutto del debito pubblico ma di quello privato, alimentato per smaltire la sovrapproduzione di merci. Quindi il risanamento a tappe forzate del debito, tagliare la spesa pubblica non risolve la crisi, la aggrava».

Due brevi osservazioni si impongono su questa non-conclusione.  
In primo luogo, se è certamente vero che la crisi è stata scatenata dal debito privato, è altrettanto certo che quote immani di quel debito sono state trasformate – tanto per mano della destra quanto per mano della sinistra occidentale – in debito pubblico. Come pensano i sinistrolibertari, nel momento che si candidano addirittura alla premiership, di affrontare questa questioncella? Hic Rhodus, hic salta.

In secondo luogo, tutti sanno che tagliare il debito a tappe forzate conduce a situazioni di pesante recessione, come dimostra alla grande il caso greco. Ma allora qual è la strada da seguire? Gianni non ce lo dice, e non per mancanza di spazio. Non ce lo dice perché l’alleanza con il Pd impedisce anche solo di sfiorare il tabù europeista. Ma – e qui la debolezza dei vendoliani si mostra in tutta evidenza – se quel tabù rimane intoccabile, intangibili saranno anche i diktat evocati dallo stesso Gianni. Insomma, la (non) conclusione dell’articolo di cui ci stiamo occupando non è debole, è in realtà fortissima, nel senso che mostra con grande forza la pochezza (ma che diciamo, la nullità) del progetto vendoliano.

E’ incredibile come si possa tranquillamente parlare di «diktat europei» – e di questo effettivamente si tratta – senza neppure accennare al problema di una sovranità nazionale sempre più inconsistente.
E’ incredibile il silenzio di fronte ad un dogma, quello “europeo”, che pure sta crollando sotto i nostri occhi (vedi le recenti posizioni della Merkel).
E’ incredibile che alla linea rigorista della riduzione del debito, si sappia opporre soltanto quella della mera conservazione del debito (questa sì veramente insostenibile), senza porsi minimamente la questione se non di un suo azzeramento (come da noi sostenuto) quantomeno quella di una sua radicale ristrutturazione.

Vi fu un tempo in cui i dirigenti del Pci, in declino e senza rotta (ma una in realtà ce l’avevano, come poi si è visto), cercavano di mascherare la loro subalternità con slogan fumosi del tipo «forza di governo e di opposizione».
Oggi, i loro epigoni di quart’ordine (e non certo il solo Alfonso Gianni, che qui ci è servito soltanto da pretesto), non riescono invece a proporsi credibilmente né come forza di governo né come forza di opposizione. E’ proprio vero: al peggio non c’è limite.