L’ora della verità per i popoli del Sudan è, salvo sorprese, alle porte. Il prossimo 9 gennaio nelle zone del Sud si svolgerà il Referendum col quale i sud sudanesi decideranno per la secessione e l’indipendenza oppure se restare incorporati nell’attuale Federazione. L’esito appare scontato: vincerà certamente la scelta dell’indipendenza, così come propugnato dal SPLM (Movimento di Liberazione del Popolo del Sudan).
Zona verde scuro: Nord Sudan
Zona verde a sinistra: Darfur
Zona verde chiaro a destra: Fronte Est
Zona rossa: Sud Sudan
Basta guardare i risultati delle recenti elezioni di aprile per averne una conferma. A nord ha stravinto il NCP (Partito del Congresso Nazionale) di al-Bashir (su cui pende un mandato di cattura da parte del Tribunale Penale Internazionale), al sud, con percentuali ancor più alte, il SPLM. Le centrali della propaganda imperialista hanno parlato di “brogli e gravi irregolarità”, va detto che osservatori indipendenti hanno denunciato trucchi a scala industriale anche nel Sud Sudan.
La regione contesa di Abyei, la più ricca di petrolio e adagiata proprio sulla per ora virtuale linea di confine tra il Sud Sudan e il resto del paese, dove vivono da sempre le contrapposte tribù arabo-semitiche e nilotiche invece, non voterà il 9 gennaio, visto che non è stato ancora raggiunto un accordo definitivo sulla delimitazione e lo status della regione. La questione è esplosiva, visto che con la regione di Abyei in sospeso, gli stessi confini tra nord e sud sono incerti e aleatori, ciò che rappresenta una vera e propria mina vagante sull’esito finale del processo di pace avviato nel 2005 e che posero fine a vent’anni di cruenta guerra civile.
Sarebbe un errore ritenere che in ballo ci sia solo la questione del petrolio e l’allocazione delle risorse. Il governo di Khartoum ha da tempo avanzato al SPLM proposte alquanto vantaggiose, sempre respinte al mittente. La posizione intransigente del SPLM si spiega piuttosto con lo sfrontato appoggio nord-americano alla battaglia secessionista. Non è un segreto per nessuno che gli USA considerano il governo del NCP un “regime ostile” e dopo aver invano tentato di abbatterlo, con le buone e con le cattive, ora puntano a sfasciare e a balcanizzare il paese, a seppellirlo come stato sovrano, facendo sorgere al suo posto alcuni protettorati.
Non c’è, com’è noto, solo il fronte del Sud. Focolai di conflitto ove sono operative guerriglie antisudanesi, li abbiamo infatti pure nell’ovest (Darfur), nell’estremo Est del paese (ai confini con l’Eritrea), oltre a quello delle regioni del Nilo blu e delle Montagne Nuba. In quasi tutti i casi questi focolai sono tenuti in vita dal blocco imperialista euro-americano, che arma e finanzia le guerriglie per interposta persona, grazie ai paesi limitrofi (Ciad, Libia, Repubblica Centrafricana, Uganda, Kenia ed Etiopia). In ballo c’è quindi l’assetto geopolitico, non solo dell’Africa orientale, ma di tutto il continente africano, con ripercussioni sullo stesso Medio Oriente. La penetrazione del capitale finanziario cinese, la generale instabilità continentale, accentuano la pressione euro-americana a dotarsi di stati fantoccio e di piazzaforti strategiche. In questa prospettiva gli occidentali debbono schiacciare i regimi nazionalistici e i diversi movimenti antimperialisti a carattere islamico (vedi la Somalia). Azzoppare il governo di Khartoum, portandogli via il Sud, è quindi un tassello di una strategia ad ampio raggio, che punta a strappare prima la regione di Abyei e poi anche il Darfur.