Mentre l’Iraq non è ancora uscito veramente dalla crisi politica che si trascina dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento dello scorso 7 marzo, nel nord i kurdi stanno costruendo il loro esercito – e i loro servizi di intelligence.
Il 20 ottobre, nel mezzo dei negoziati che cercavano una via d’uscita per riuscire a formare finalmente un governo a Baghdad, Barham Salih, il Primo Ministro del Governo Regionale del Kurdistan (KRG), ne ampliava i poteri, assumendo il controllo diretto delle forze armate e dei servizi segreti della regione autonoma.

Lo strumento scelto per realizzare l’obiettivo si chiama “Consiglio degli Assiyeh”, e funzionerà come una sorta di Consiglio per la sicurezza nazionale del Kurdistan, sotto la guida di Karim Sanjani e Korsat Rasul, responsabili militari rispettivamente del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) e dell’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) – i due maggiori partiti kurdi, che governano insieme la regione.

Secondo fonti kurde, i cosiddetti Peshmerga – combattenti kurdi che costituiscono le forze armate locali – verranno unificati in un unico esercito, composto da otto divisioni, e forte di 80.000 uomini: processo che avverrebbe sotto la supervisione di Ja’afar Sheikh Mustapha, attuale ministro per i Peshmerga, a tutti gli effetti un ministro della Difesa.
Quest’ultima informazione arriva da Intelligence Online, sito Internet con sede a Parigi specializzato in questioni di sicurezza, secondo il quale Mustapha avrebbe diversi consulenti israeliani a dargli una mano.

Il Mossad aiuta i kurdi?

Mustafa Barzani, presidente della regione kurda nonché leader del KDP, avrebbe incontrato in gennaio a Vienna Danny Yatom, ex capo del Mossad, che avrebbe l’incarico di coordinare l’unificazione dell’esercito.
Non è la prima volta che si parla di legami fra i kurdi iracheni e il Mossad e compagnie private israeliane legate al ministero della Difesa di Tel Aviv: i rapporti, secondo alcune fonti, andrebbero avanti da una quarantina d’anni, sia pure con alterne vicende.

All’origine della decisione di accelerare le scelte militari del KRG sarebbe il timore per il ritiro delle forze statunitensi dall’Iraq, che dovrebbe essere completato entro fine 2011, in base all’accordo di sicurezza firmato fra il governo di Baghdad e l’allora amministrazione di George W. Bush a fine 2008 – il cosiddetto SOFA (che sta per Status of Forces Agreeement).
Da qui la preoccupazione dei kurdi, che agli americani si sono sempre appoggiati, pur continuando a mantenere forze armate proprie consistenti e ben addestrate.

L’incognita del dopo 2011

Ma quanto succederà dopo il 2011 resta un’incognita – alla quale è meglio prepararsi, a maggior ragione dato che non è ben chiaro a chi andrà il ministero della Difesa nel prossimo governo di Baghdad, che dovrebbe essere formato fra meno di una ventina di giorni.

Dunque la regione del Kurdistan vuole il suo esercito, e i suoi servizi segreti, nonostante ci siano già circa 35.000 kurdi all’interno delle forze armate federali.
Ma i Peshmerga sono un’altra cosa – fedeli innanzitutto alla causa kurda, una lealtà forgiata nei decenni in cui hanno combattuto contro il regime ba’athista che negava i diritti di questo gruppo etnico.

Non solo: il governo di Baghdad ha schierato le brigate a maggioranza kurda delle sue forze armate (prevalentemente composte da arabi sciiti), quelle della Seconda e della Terza divisione, nel sud, proprio per ridurre l’influenza da parte del KRG.

E’ uno scenario che non lascia tranquilli.
Dall’International Crisis Group, organizzazione internazionale indipendente che lavora sulla prevenzione dei conflitti, avvertono che il trascinarsi della crisi politica irachena “aumenterà probabilmente il rischio della balcanizzazione delle forze di sicurezza”.

A Baghdad c’è preoccupazione per i piani di un esercito unificato del Kurdistan, e il governo centrale ha proposto di assorbire altri 30.000 Peshmerga nelle forze armate federali: proposta respinta dal governo regionale kurdo, che probabilmente teme quanto potrebbe accadere nel caso di un conflitto sulla zona di Kirkuk.
E’ un’altra delle incognite che attendono l’Iraq “post-americano” – e una delle più inquietanti.

Fonte: United Press International
da Osservatorio Iraq