Ripubblichiamo il comunicato dei Comitati IRAQ LIBERO del 5 maggio 2005
Il «caso Calipari» è tornato agli onori della cronaca. Come noto, WikiLeaks ha reso pubblico un dispaccio dell’ambasciata americana a Roma, datato 3 maggio 2005, nel quale si legge che il rapporto italiano sull’uccisione di Nicola Calipari era stato costruito per impedire che venisse accertata la verità. Più precisamente, l’ambasciatore Sembler annotava che l’affermazione contenuta nel rapporto, secondo cui non erano state trovate prove sull’intenzionalità dell’omicidio, era stata costruita appositamente – «designed specifically» – per impedire ulteriori indagini.
Chi, nella giornata del 2 maggio, annunciava la lieta novella al rappresentante di Bush in quel di Roma, prima ancora che il primo ministro Berlusconi andasse a riferire in parlamento?

L’annuncio che il governo italiano «voleva lasciarsi alle spalle» l’omicidio di Calipari, assicurando così Washington sul proprio inossidabile servilismo, veniva dato da un terzetto costituito dall’oggi terzopolista (ma amerikano oggi quanto ieri) Gianfranco Fini, da quel Gianni Letta che molti vorrebbero al posto di Berlusconi a Palazzo Chigi e dall’allora capo del Sismi, Nicolò Pollari, che incredibilmente contava qualche amico anche nella presunta «sinistra radicale».
Per chi aveva occhi per vedere la vicenda Calipari era già chiarissima allora. Quello che segue è il comunicato, emesso il 5 maggio 2005, dai Comitati Iraq Libero.

4 Marzo a Bagdad: l’arroganza imperiale americana ed il servilismo italiano
Comunicato dei Comitati Iraq Libero – 5 maggio 2005

Sono noti da alcuni giorni i due rapporti (americano ed italiano) sui fatti del 4 marzo a Bagdad che portarono alla morte dell’agente del Sismi Calipari.
Entrambi i rapporti, pur in contrasto tra loro sulle responsabilità dell’accaduto, vogliono accreditare la tesi dell’incidente. Per gli USA un incidente da inquadrarsi nel contesto di guerra, di cui ammettono l’esistenza dopo mille discorsi sulla “normalizzazione”,  determinato da imprudenze italiane; per i rappresentanti italiani nella commissione d’inchiesta un incidente causato dall’inesperienza dei militari americani e dalla mancanza di una adeguata segnalazione del check point “alleato”.
In ogni caso, incidente. Ed è attorno a questa parola che i rappresentanti del governo italiano, a partire da Fini, si sbracciano per dichiarare che “questo episodio non ha messo in discussione un rapporto bilaterale storico che si fonda su una comunanza di valori e di obiettivi”. Il succo della relazione di Berlusconi in parlamento è tutto qui: “non c’è stato dolo, ma  non è da escludere la colpa.”

Questa tesi fa acqua da tutte le parti. Se incidente fosse stato, perché arrivare a due conclusioni distinte? E perché la preoccupazione del coro dei filoamericani di casa nostra che chiede all’unisono di non incrinare il rapporto con gli USA?
Molti fatti indicano che quello del 4 marzo non è stato un “incidente”. Intendiamoci, la pratica di sparare contro tutto ciò che si muove ai check point è arcinota. Migliaia di civili iracheni sono morti in questo modo, anche se il circo mediatico occidentale si guarda bene dall’occuparsene.
Tuttavia, è nostra convinzione che i fatti del 4 marzo richiedano una lettura ben diversa.
In primo luogo non è credibile che vi sia stato un difetto sostanziale di comunicazione tra i responsabili americani e quelli italiani, in secondo luogo non si spiegherebbe il perché della rimozione dell’auto e della manomissione del luogo della sparatoria. E non si spiegherebbe neppure il perché del tentativo di inquinare le acque portato avanti da un personaggio oscuro (ma assistito  dall’avv. Taormina), che ha addirittura accusato gli antimperialisti italiani – e per questo è stato ovviamente querelato per calunnia – di avere a che fare sia con il sequestro della Sgrena che con l’uccisione di Calipari.
La verità è che i commissari italiani, per non parlare della magistratura, non hanno avuto alcuna vera possibilità di effettuare un minimo di inchiesta degna di questo nome.
Se da parte americana c’è stata la solita protervia, da parte italiana c’è stato il solito servilismo preoccupato unicamente di salvare la faccia.

La tesi dell’incidente non è dunque credibile. Assai più realistico è che da parte della superpotenza americana si sia voluto dare un segnale a chi paga riscatti, come il governo italiano.
Assai più probabile che la situazione di disfacimento della coalizione occupante, testimoniata dalle difficoltà politiche in Iraq, dalla situazione sul terreno (emersa anche dalle parti secretate della relazione americana in cui si ammettono 3.306 attacchi della resistenza nella sola area di Bagdad dal primo novembre 2004 al 12 marzo 2005, di cui – ecco la verità sui cosiddetti “attacchi terroristici”! – 2.400 contro le forze della coalizione) e dal ritiro delle truppe effettuato o anche solo annunciato da molti paesi abbia creato attriti pesanti tra gli alleati.
Ed a proposito del clima torbido che si respira, è da notare la minaccia diffusa attraverso le dichiarazioni del segretario radicale Capezzone che ha testualmente dichiarato al Corriere della Sera: “Ora attenzione…..Gli USA non sono mammolette. Ma spero che nessuno coltivi la velleitaria ambizione di costruirsi la sua piccola Sigonella. Ci hanno umiliato con il filmato della Cbs; potrebbero rifarlo con le conversazioni tra Letta, Pollari e Calipari”.
Strano che nessuno chieda conto su quanto è informato questo esponente del partito americano che può permettersi di lanciare avvertimenti mafiosi perfino al presidente del consiglio! Strano soprattutto se si volesse davvero credere alla storiella dell’incidente.

In ogni caso è chiara la volontà americana di ribadire la totale impunità dei propri soldati, come è chiaro il servilismo di un governo che ricorda la vergognosa sudditanza di Prodi e D‘Alema all’epoca del Cermis.
A questo asservimento è necessario ribellarsi. Battersi per il ritiro immediato delle truppe italiane è il minimo che si possa fare; limitarsi a rivendicare una “strategia d’uscita” come ha fatto Fassino a nome dell’Ulivo, oltretutto dopo l’adesione di D’Alema alle tesi bushiane sull’“esportazioni della democrazia”, è la prova che è proprio questa sudditanza che anche il centrosinistra vuole rinverdire.

COMITATI IRAQ LIBERO   05/05/2005