«Non sono un revisionista»

Intervista a Baburam Bhattarai
«Portare a compimento la transizione pacifica»

I nostri lettori sanno con quanta assiduità abbiamo cercato di seguire le vicenda nepalesi e l’evoluzione del dibattito e delle dispute interne al partito maoista del Nepal. Lo abbiamo fatto perché riteniamo che questa discussione riguardi in modo diretto gli antimperialisti di tutto il mondo, e li riguarda perché in ballo ci sono questioni dirimenti: il rapporto tra trasformazioni istituzionali e sociali, tra democrazia e socialismo, tra lotta pacifica e lotta armata, la questione della alleanze. Il tutto senza dimenticare il concreto contesto geo-politico nepalese, un paese incastonato tra due grandi potenze emergenti e conflittuali: l’India (che considera il Nepal un suo satellite), e la Cina. Bhattarai (foto) guida l’ala cosiddetta “di destra” dei maoisti, in aperta opposizione alla “sinistra” guidata da Baidya (Kiran). L’intervista che pubblichiamo qui sotto, realizzata dal giornalista B. Basnet del quotidiano nepalese Republica, è straordinariamente importante poiché rende espliciti i punti decisivi di dissenso in seno ai maoisti nepalesi.

 

Attualmente in cosa è impegnato il tuo partito?
Proprio ora il nostro partito è impegnato nell’istituzionalizzazione dei progressivi cambiamenti nella società, mentre attraversa una fase storica di transizione, di evoluzione dall’autocrazia e dal feudalesimo e di istituzionalizzazione di un moderno stato industriale basato su un sistema politico democratico multipartitico. Questa transizione ha i suoi problemi. Ma, come partito politico responsabile, stiamo ancora cercando di trovare una via d’uscita fra la presenza di forze democratiche borghesi che credono nella democrazia parlamentare e noi, comunisti rivoluzionari, che crediamo nella democrazia popolare. Stiamo provando a trovare un comune terreno di incontro dove possiamo istituzionalizzare un sistema democratico nel quale le masse oppresse avranno la loro partecipazione nello stato in un nuovo contesto strutturale socioeconomico federale.

Ci sono acute divergenze ideologiche fra te, il presidente Pushpa Kamal Dahal e Mohan Baidya. Siete di fronte ad un dilemma ideologico?
In ogni partito politico ci sono discussioni politiche. Se non ci fosse discussione, non si potrebbe avere un partito politico vivace; soprattutto in un partito comunista la discussione su questioni ideologiche e  politiche c’è sempre. Crediamo nel materialismo dialettico e nell’unità degli opposti. Unità, lotta e trasformazione danno impeto al processo di sviluppo. Così, di conseguenza, il nostro partito è un’entità vitale e c’è una costante lotta fra diverse opinioni. Ma, fondamentalmente, siamo uniti su un punto: che abbiamo necessità di una generale ristrutturazione dello stato e della società Nepalese. Per raggiungere questo obiettivo, abbiamo lanciato la guerra popolare e abbiamo già visto i risultati nella forma del repubblicanesimo, del federalismo e della laicizzazione. Questi sono risultati positivi e debbono essere preservati. Dobbiamo ancora lottare per istituire un sistema democratico con il quale le classi oppresse, le nazionalità, le regioni, i generi e le caste sottomesse potranno dire la loro. Stiamo cercando di capire il percorso corretto dentro al partito per raggiungere questi obiettivi.
C’è anche il problema di eliminare i residui di feudalesimo e autocrazia in differenti settori dello stato e della società. Dai giorni del Trattato di Sagauli, la nostra economia, il nostro stato e la nostra società sono stati soggiogati. Quindi vogliamo farla finita con tale dominio e riaffermare la totale sovranità ed indipendenza nazionale. Dobbiamo risolvere  la disputa relativa al dare priorità alla democrazia o piuttosto alla sovranità nazionale.
 

Parliamo del partito. Il plenum di Palungtar ha fallito nell’assumere una linea politica. Cosa hai da dire?
No, questo non è un problema di fallimento. Abbiamo avuto una vera buona pratica democratica: 7000 persone riunite per sette giorni ed impregnate in discussioni politiche costruttive è stato già esso stesso un grande risultato.  Ha creato una base per ottenere una superiore unità all’interno del partito e per chiarire le linee politiche. In questo senso il plenum di Palungtar è stato veramente utile e storico e abbiamo assunto una visione unificata per la quale l’attuale processo di pace, la fase costituente e la democrazia debbono essere perseguiti e per fare di ciò un successo dobbiamo mobilitare le masse pure dalle strade. Le forze reazionarie e interessate allo status quo non vogliono cambiamenti progressisti nella società. Così, per far pressione su di esse, dobbiamo mobilitare le masse. Su questa questione il partito è unito.

Quale è la differenza fra l’insurrezione popolare lanciata da te, da Dahal e da Baidya?
Abbiamo tutto il diritto di rivoltarci contro l’ingiustizia; il Mahatm Gandhi chiamava ciò disobbedienza civile, qualcuno la chiama insurrezione, mentre altri la chiamano rivoluzione. Sono la stessa cosa. Vogliamo cambiamenti nella società. Quindi, se tale processo di cambiamento è bloccato, il popolo ha il diritto di ribellarsi contro questo; questa è filosofia politica generale. In questo senso, noi vogliamo proseguire il processo di pace e la democrazia. Ma se tale processo viene fermato, il popolo ha il diritto di resistere e di ribellarsi. Questo è un principio generale e perciò non abbiamo diatribe di fondo su questo punto.

Questa è la tua visione. Ma ci sono divergenze di fondo fra te e Baidya su questo punto?
No, non penso ci siano divergenze fondamentali. La sola questione è se noi accettiamo e il nostro partito accetta che gli obiettivi, i traguardi politici, possano essere conseguiti attraverso mezzi pacifici e democratici, e se le forze reazionarie lo permetteranno. Sulla questione della valutazione ci sono alcune divergenze. Anche allora noi tutti abbiamo convenuto sui principi che dobbiamo perseguire.

Quale è la differenza?
La differenza è se noi dobbiamo proseguire questo processo (l’attuale percorso pacifico) fino alla fine. E se questo è bloccato, il popolo deve comprendere che dovremmo intraprendere un altro percorso. Solo quando le masse nel loro complesso comprendono, un “movimento popolare” potrà  diventare vittorioso. Se il popolo non comprende, l’attuale cammino non è più praticabile e possibile. Essi non scenderanno sulle strade a protestare.

Ma Baidya sta invocando una fine del processo in corso?
Nessuno sta dicendo davvero questo. La differenza sta solo nelle valutazioni. Ciò che io sto sottolineando è che da parte nostra noi dobbiamo compiere sinceri sforzi fino alla fine. Dobbiamo proseguire pazientemente e tentare il nostro meglio fino alla fine, fare una nuova costituzione e concludere il processo di pace. Ma, fianco a fianco, abbiamo bisogno di rafforzare le masse. Dobbiamo di nuovo mobilitare le masse, nel caso  questo percorso fallisca. Allora il popolo si solleverà in un “movimento popolare” e darà impulso a questo processo di sviluppo. Io ho sottolineato questo aspetto.Alcuni compagni stanno sostenendo che questo cammino è già ormai moralmente logorato. Il modo in cui processo di pace si è sviluppato negli ultimi due anni ha dato l’impressione che non ci sia alcuna possibilità che tale percorso progredisca in una direzione positiva. Quindi, forse, adesso questo è il grande momento che noi abbiamo veramente preparato per un altro cammino. Ci sono divergenze solo su ciò che abbiamo sottolineato. Diversamente, sul percorso fondamentale da seguire per un cambiamento nella società, non c’è divergenza alcuna.

Ritieni che la linea di Chunwang sia ancora prevalente nel partito?
Naturalmente! Non c’è contraddizione fra la “guerra popolare” che abbiamo proseguito per 10 anni e la linea politica successiva a Chunwang: esse sono complementari l’una all’altra perchè il nostro traguardo di base era la trasformazione della società. Per 10 anni abbiamo condotto la guerra popolare per lo più nelle campagne per rafforzare le masse e abbattere la roccaforte feudale esistente da migliaia di anni. Così abbiamo conseguito, più o meno, questo risultato. E dopo Chunwang e dopo il completamento di tale processo, dovevamo mobilitare le masse nelle aree urbane e ottenere il sostegno della comunità internazionale. Ecco perché noi abbiamo perseguito tale cammino e ora vogliamo concludere questo processo attraverso il quale la società nepalese si è totalmente democratizzata e le classi, i generi e le nazionalità oppresse si sono pienamente rafforzate; noi creeremo uno nuovo stato del tutto democratico attraverso il quale tutte queste persone godranno di una democrazia reale, non solo di una democrazia formale, in cui il popolo può partecipare al processo politico. Vogliamo arrivare a questo traguardo mediante l’Assemblea Costituente (CA) e una nuova costituzione. Quindi non c’è contraddizione fondamentale fra la guerra popolare che abbiamo condotto prima e la via pacifica che stiamo portando avanti adesso.

Ma l’incontro nazionale di Kharipati, che ha deciso di lanciare una insurrezione popolare per una “Repubblica Popolare Federale Democratica”, ha soppiantato la linea di Chunwang per una repubblica federale democratica?
No. Puoi vedere il documento di Chunwang, nel quale abbiamo chiaramente affermato che dopo l’istituzione di una repubblica democratica ci sarebbero state due tendenze. Quella interessata allo status quo (le forze borghesi) proverà a fermare la marcia in avanti della società; esse saranno felici solo con la democrazia modello Westminster. Ma nel contesto del Nepal la democrazia vecchio stile non basterà, perché la nostra società è molto complessa: la nostra è una società multiclasse e multietnica. Ci sono discriminazioni di genere e di classe con cui bisogna farla finita per realizzare una democrazia effettiva, noi dobbiamo avere un nuovo modello di democrazia per soddisfare tutte queste forze. Quindi noi già prevedevamo nell’incontro di Chunwang che ci sarebbero state lotte politiche fra queste due tendenze. Questo è ciò che sta avvenendo adesso.

Quale è la differenza fra una repubblica federale democratica e una repubblica popolare federale democratica?
“Popolare” significa classe oppressa del popolo. Contadini, operai, dalit (intoccabili, n.d.t.), donne, nazionalità. Essi sono chiamati “popolo”.


Perché devi aggiungere “popolo” alla linea di Chunwang?

Noi vogliamo un tipo di sistema democratico dove questo popolo avrà voce in capitolo nel sistema statale. Nel sistema democratico generale, così come solitamente praticato in alcuni dei paesi più sviluppati, solo pochi ricchi vengono eletti; essi sono inseriti nello stato e la maggioranza della classe povera lavoratrice non ha voce in capitolo nel sistema statale. Questo è il sistema democratico formale.

Ma non avevate inserito la parola popolo nel documento di Chunwang?
No. Ascolta, il nostro obiettivo è avere la democrazia, anche se possiamo scegliere la parola. Ma la vera spinta è che noi vogliamo un modello di democrazia in cui la massa oppressa del popolo abbia la sua voce in capitolo, questa è l’essenza. Puoi darle qualsiasi nome. Non stiamo parlando del vecchio sistema di democrazia in uso nell’Europa orientale o in Cina. Questi sono solo sistemi a partito unico. Abbiamo già approvato la risoluzione della “Democrazia nel XXI secolo”, dove abbiamo accettato un sistema politico multipartitico anche nel futuro socialismo. Quindi anche la nostra “democrazia popolare” non è un sistema politico comunista monopartitico; esso è un sistema multipartitico competitivo, nel quale tutte le voci saranno rappresentate. In questo senso, noi abbiamo superato tutto il modello del sistema monopartitico come praticato nell’Europa orientale e in altri paesi socialisti.

Ci sono, nel tuo stesso partito, persone che dicono sempre che tu sei un revisionista?
No, nessuno dice questo. Questa è solo una diceria; nessuno e nessun documento ufficiale o qualche risoluzione mi ha marchiato come tale.

Perché sei contrario a dichiarare l’India il nemico principale?
Non siamo in posizione tale da combattere direttamente l’India.

Cosa sta succedendo proprio ora nel partito?
Stiamo per tenere la riunione del nostro comitato centrale (CC), che emetterà programmi politici per mettere fine a questo stallo politico. Cercheremo di trovare una via d’uscita e di rendere questo processo di pace e costituente un successo. Abbiamo deciso che dobbiamo mobilitare le masse fianco a fianco. Se le masse non vengono rafforzate e mobilitate, le forze reazionarie interne ed esterne proveranno ad autoaffondare questi risultati politici che abbiamo realizzato fino ad ora e c’è il pericolo dello scioglimento dell’Assemblea Costituente e dell’opzione per una dittatura militare o altra forma di dittatura nel paese.

Ci sono divergenze acute fra te, Dahal e Baidya. Avete rinviato due volte la vostra riunione del CC e hai cancellato la tua visita personale in Svezia?
Questa è solo una chiacchiera. Il nostro è un partito democratico e prima di assumere qualsiasi decisione abbiamo dibattiti democratici nel partito e per questo stiamo prendendo del tempo in più. Non ci sono altre differenze nel partito.

C’è pure un gruppo di lavoro che è stato costituito per risolvere tutte queste dispute. Di cosa si tratta?
No, non è per risolvere tali dispute. E’ proprio per elaborare il nostro progetto e svolgere parecchio lavoro. Già facciamo cose del genere. Alcuni compagni sono stati preposti a questi compiti in modo che possano preparare la proposta da portare avanti nella riunione.

Cosa accade al processo di pace dopo che la partenza della UNMIN?
Noi volevamo completare il processo di pace, specialmente la questione dell’integrazione delle forze armate prima della partenza della UNMIN. Ma sfortunatamente su questo fronte non c’è stato alcun progresso sostanziale. Quindi, dato che noi procediamo secondo lo spirito dell’Accordo Comprensivo di Pace (CPA), il processo di pace, che comprende l’integrazione delle forze armate, la formazione di varie commissioni compresa la Commissione per i Desaparecidos, la Verità e la Riconciliazione, la Commissione per la Riforma della Proprietà Terriera etc., doveva essere completato, ma questo non è accaduto. Fondamentalmente il processo di pace, il processo costituente e gli accordi di condivisione del potere sono interconnessi. Ma purtroppo il partito maoista, che rappresenta un 50% degli interessati al processo di pace, è stato totalmente emarginato. Quindi, in questo modo, non abbiamo avuto voce in questo processo e ciò ha prolungato il problema. Il nostro partito sta dicendo che l’integrazione e le altre parti del CPA, compreso il processo di pace, quello costituente e gli accordi di condivisione del potere debbono dovrebbero essere aggiunti nel pacchetto e  affrontati. Questa situazione di stallo politico può essere conclusa solo dopo questo. Purtroppo gli altri partiti non stanno agendo in maniera responsabile, ma hanno solo l’intenzione di isolare i maoisti.

Come vedi il Nepal nel dopo UNMIN?
Se l’UNMIN se ne va prima che il processo di pace sia completato, dovremo fare qualche altro accordo. Non abbiamo discusso di questo fino ad ora.

Quale è lo sbaglio con il processo di pace del Nepal?
I problemi sono iniziati dopo che noi siamo risultati il maggior partito politico nelle elezioni dell’Assemblea Costituente. Il principio del consenso venne abbandonato a favore del sistema basato sul principio di maggioranza. Questo è stato il più grande errore. In ogni processo di pace, gli ex ribelli vengono resi parte del sistema di condivisione del potere, ma quando dopo le elezioni noi siamo risultati il maggior partito siamo stati gettati fuori. Il processo di pace non può essere completato, a meno che questo venga corretto.

Come osservatore, e non come politico, ritieni che il consenso possa essere raggiunto e il processo di integrazione completato prima del 28 maggio?
Dobbiamo concludere il lavoro di scrittura della costituzione e portare a termine  il processo di pace prima del 28 maggio. Diversamente, c’è un grande pericolo di precipitare nuovamente il paese in un grave conflitto. Se il paese tornasse di nuovo al conflitto armato, gli attori internazionali potrebbero essere coinvolti e rendere complicata la situazione. Quindi dobbiamo fare ogni cosa per evitare ciò e provare a ultimare la stesura della costituzione e logicamente portare a termine il processo di pace entro il 28 maggio.

Esiste qualche possibilità per un ulteriore prolungamento della durata dell’Assemblea Costituente?
Non credo.

Quale sarà il ruolo del presidente nel Nepal del dopo 28 maggio?
Egli non ha alcun ruolo. Se ne assumerà uno sarà anticostituzionale. Se il processo costituente si rompe, si arriverà ad una situazione per cui “la forza è il diritto”.

Fonte: Republica  (www.myrepublica.com ) del 13.12.2010
Articolo originale
http://www.myrepublica.com/portal/index.php?action=news_details&news_id=26116

Traduzione di Maria Grazia Ardizzone