Malformazioni 11 volte superiori alla media, più tumori e leucemie dei casi registrati tra i superstiti di Hiroshima e Nagasaki: questa è Falluja 2010, a 6 anni dal criminale attacco americano.

La fine dell’anno è stata un’occasione di bilanci anche in Iraq, dove siamo ben lontani da quella normalizzazione di cui si parla da tempo. Secondo le cifre rese note dall’agenzia AFP (che riprende i dati diffusi dai ministeri della difesa, dell’interno e della salute) nel 2010 ci sono state 3605 vittime  tra civili, poliziotti e membri delle “forze di sicurezza”, 124 in più dell’anno precedente.

Questi dati sono normalmente sottostimati, ed altre fonti indicano cifre ben più gravi. Ma anche rimanendo ai numeri ufficiali non è difficile comprendere quanto sia pesante la situazione lasciata in eredità agli iracheni dagli occupanti che scatenarono la guerra nel 2003.
Ma in Iraq si muore anche per le conseguenze delle armi usate dagli americani (e non solo). Il caso dei bambini deformi di Falluja, città martire della resistenza devastata dall’attacco dell’autunno 2004, non è l’unico ma è certamente quello più significativo. Degli ultimi studi su questa tragedia – frutto di un crimine deliberato dei vertici politico-militari degli Usa – si occupa l’articolo di Carlo Musilli che pubblichiamo di seguito.

I bambini deformi di Falluja

A Falluja centinaia di bambini nascono con difetti al cuore, allo scheletro, al sistema nervoso. Il tasso di malformazioni nei neonati è di undici volte superiore alla norma e negli ultimi anni ha fatto registrare un incremento spaventoso, raggiungendo livelli record nei primi sei mesi del 2010. Un’epidemia di danni genetici causata probabilmente dalle armi degli americani, che nel 2004 attaccarono due volte la città irachena. E’ quanto sostiene uno studio scientifico che sarà pubblicato sul prossimo numero dell’International Journal of Environmental Research and Public Health e di cui il Guardian ha dato alcune anticipazioni.

Nessuno prima d’ora aveva avuto il coraggio di mettere in relazione la guerra con il fenomeno delle malformazioni, eppure di indagini ne erano state fatte. Due ricerche avevano già dimostrato come a Falluja, dopo l’attacco americano, le nascite di bambini maschi fossero improvvisamente diminuite del 15%. Da uno studio epidemiologico pubblicato nel luglio scorso, inoltre, è emerso che nella stessa zona, fra il 2004 e il 2009, il numero di tumori e leucemie è quadruplicato. Ora è superiore a quello registrato fra i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki.

L’ultimo rapporto ha analizzato la situazione di 55 famiglie in cui, fra il maggio e l’agosto di quest’anno, sono nati bambini con gravi malformazioni. Soltanto nel mese di maggio, dei 547 bambini presi in esame, quelli deformi erano il 15%. Nello stesso periodo si è avuto l’11% di parti prematuri e il 14% di aborti spontanei. A detta però degli stessi scienziati che li hanno prodotti, questi dati fotografano la realtà in modo incompleto. A Falluja, infatti, la maggior parte delle donne non partorisce in ospedale. E quelle che danno alla luce un figlio deforme, difficilmente si rivolgono a un medico. Eppure, alcuni casi documentati nella ricerca raccontano una verità difficile da fraintendere. Come quello di una madre e una figlia, che, dopo il 2004, hanno partorito entrambe bambini malformati. Il padre di uno dei due piccoli si è risposato e ha avuto un altro figlio, anche lui con problemi genetici.

“In condizioni normali, le probabilità che si verifichi un caso simile rasentano lo zero – ha spiegato al quotidiano inglese Mozhgan Savabieasfahani, uno degli estensori del rapporto –  e sospettiamo che la popolazione sia cronicamente esposta a un agente ambientale. Non sappiamo quale sia, ma stiamo facendo ulteriori test per appurarlo”. Non lo sappiamo, ma lo sospettiamo fortemente. Gli scienziati parlano genericamente di “metalli” come possibili responsabili delle malformazioni. Per prudenza, devono tenersi sul vago.

Chi invece non ha mai aperto un manuale di tossicologia in vita sua, ma magari ha letto un giornale, pensa immediatamente a qualcosa di specifico: i proiettili all’uranio impoverito usati dai soldati americani nell’aprile e soprattutto nel novembre del 2004, durante la seconda battaglia di Falluja. In quell’occasione, all’attacco partecipò anche l’esercito inglese.

In realtà, la questione è controversa. Molti sostengono che i famigerati proiettili portino con sé un residuo tossico, pericoloso soprattutto nel lungo periodo. Al momento, però, non ci sono prove scientifiche. Anzi, secondo alcuni sarebbe addirittura dimostrato che l’uranio impoverito non possa agire come contaminante. Ma non è questo il punto. Gli stessi ricercatori ammettono che “diversi altri contaminanti usati in guerra possono interferire con lo sviluppo dell’embrione e del feto”. Ricordano, ad esempio, “i devastanti effetti della diossina” sui bambini vietnamiti.

Anche ammettere l’innocenza dell’uranio impoverito, quindi, non basterebbe a scagionare l’esercito americano.  Nel 2005 un’inchiesta di Rainews24 documentò che, dopo i bombardamenti, i soldati Usa erano soliti gettare a caso per le strade di Falluja quintali di fosforo bianco. Inizialmente il Dipartimento di Stato americano aveva negato.

In seguito, il Dipartimento della Difesa aveva ammesso l’utilizzo del fosforo bianco come arma offensiva contro i nemici (già questo sarebbe illegale: nel ’97 gli Usa hanno firmato una convenzione contro l’utilizzo delle armi chimiche), ma aveva escluso categoricamente di aver colpito dei civili. Willie Pete, come amichevolmente viene chiamato dai militari il “White Phosphorus”, scioglie la carne umana come un’aspirina. E, negli anni, è fonte di mutazioni genetiche.

Oggi come allora l’esercito americano rifiuta ogni responsabilità. Non solo. Quasi a schernire gli iracheni, ha fatto sapere che chiunque abbia delle lamentele è invitato a scrivere messaggi di protesta al Pentagono. Alcuni disperati l’hanno fatto. Inutile dire che non hanno ricevuto risposta.

da http://www.altrenotizie.org/