Un’analisi dell’accordo Fiat Mirafiori

Scrivo alcune sintetiche considerazioni sull’accordo 23 dicembre 2010 per lo stabilimento di Mirafiori in relazione alla Joint Venture Fiat-Chrysler.
Vale la pena, preliminarmente, osservare come, da parte sindacale, esso sia stato sottoscritto dai rappresentanti delle Segreterie Nazionali e della provincia di Torino di FIM, UILM, FISMIC e dell’Associazione Capi e Quadri Fiat, e come sia previsto che “l’adesione al presente accordo di terze parti è condizionata al consenso di tutte le parti firmatarie”.
Ossia, mentre un tempo FIM e UILM non firmavano accordi insieme alla CISNAL (oggi UGL), ora non solo li sottoscrivono con tale organizzazione sindacale, ma decidono di subordinare il successivo accordo di terze parti (cioè la FIOM) al consenso proprio, dell’UGL e dell’Associazione Capi e Quadri.

Nel merito non sembra proprio un problema, giacché FIOM non pare affatto intenzionata a chiedere di poter sottoscrivere, ma nel metodo è sicuramente una svolta di “schieramento”.
E’ poi interessante esaminare la metodologia con cui Fiat intende scardinare la precedente sistematica contrattuale: viene infatti stabilito che la Joint Venture non aderirà al sistema confindustriale e “applicherà un contratto collettivo specifico di primo livello che includerà quanto convenuto con la presente intesa”.

L’intento è quello di liberarsi di ogni altra forma di contrattazione nazionale, anche con la forzatura definitoria di chiamare “contratto collettivo di primo livello”, cioè con il termine usato per i contratti collettivi nazionali di settore, quello che, al più, è un accordo aziendale, e che rientra, dunque, nella contrattazione di secondo livello.
In questo modo, uscendo dal sistema confindustriale e negando ogni forma di effettiva contrattazione nazionale, Fiat cerca di porsi al riparo da eventuali interferenze (e comunque, sotto il profilo giuridico, non sarà un risultato così facile) derivanti dal complesso delle relazioni industriali a livello nazionale. Vuole realizzare, cioè, qualcosa di nuovo e, contemporaneamente, di vecchio: il sogno del piccolo imprenditore brianzolo di evitare che altri mettano il becco nel suo modo di gestire i rapporti con i “suoi” operai, ma elevandolo alla “massima potenza”, con la forza, tendenzialmente pari – o superiore – a quella di uno Stato, che è propria di una multinazionale, così riunificando, al di là di ogni possibile mediazione, il suo diretto, esclusivo ed univoco comando. Inoltre pone le basi per liberarsi, come vedremo, delle Rappresentanze Sindacali dei sindacati non graditi, perché non firmatari di questo accordo (che, come visto, non è altro che un accordo aziendale…).

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Subito in esordio dell’Accordo è prevista la “Clausola di Responsabilità”. Essa prevede che il mancato rispetto degli impegni da parte delle OO.SS. e/o della Rappresentanza Sindacale dei lavoratori, o anche solo “comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate per la realizzazione del Piano e i conseguenti diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti all’Azienda dal presente Accordo”, posti in essere anche a livello di “singoli componenti”, liberano l’Azienda dagli obblighi derivanti dall’Accordo, “nonché da quelli contrattuali in materia di: contributi sindacali; permessi sindacali retribuiti per i componenti degli organi direttivi delle Organizzazioni Sindacali;  permessi sindacali aggiuntivi oltre le ore previste dalla legge 300/70 per i componenti della Rappresentanza Sindacale dei Lavoratori”.

Ma non solo, liberano l’Azienda da tutti gli obblighi anche i “comportamenti individuali e/o collettivi dei lavoratori idonei a violare, in tutto o in parte e in misura significativa, le clausole del presente accordo ovvero a rendere inesigibili i diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti da esso all’Azienda”.
E dunque le Organizzazioni Sindacali firmatarie, ancor più di quanto già non lo siano adesso, dovranno essere attentissimi cani da guardia dei lavoratori, pena perdite economiche (contributi ottenuti per il tramite dell’Azienda, permessi).

E che dire della terminologia utilizzata? Notiamo come ci si riferisca a “comportamenti idonei” a rendere inesigibili ecc. ecc.. Quindi, per l’Accordo, non è neppure necessario che vi sia una effettiva e concreta “inesigibilità”, un’effettiva “impossibilità di esercizio dei poteri”. E’ un segno dei tempi: come nella concreta applicazione del diritto penale “politico”, non sembra esservi necessità della lesione di un preteso bene (l’esercizio dei poteri), ma è sufficiente la pericolosità che deriva dalla “idoneità”. Repressione preventiva, dunque.

Ma, inoltre, la Clausola di Responsabilità, nel suo complesso, è di una estrema vaghezza, ed è, quindi, ulteriormente pericolosa. Infatti non è neppure prevista la illiceità del comportamento da parte dei lavoratori, ma è ritenuta sufficiente – in sé e per sé – la idoneità a violare le clausole dell’accordo o a vanificare l’esercizio dei poteri da parte dell’Azienda: ma allora una azione giudiziaria tesa a far accertare dal giudice la illiceità di una clausola, o la illiceità dell’esercizio dei poteri aziendali in tema di orario, straordinari, turni, ritmi ecc., potrà essere ritenuta idonea a liberare l’Azienda da ogni suo obbligo? Certamente una simile interpretazione cozzerebbe contro numerose norme della Costituzione, ma le basi per, spregiudicatamente, sostenerla ci sono tutte. Del resto è evidente l’intento antisciopero e antisindacale di una simile clausola (che succederà nel caso di sciopero contro i ritmi imposti, contro le modifiche di orario e di turnazione?), e quindi già solo per questo è manifestamente contraria a Costituzione, ma proprio per questo è, evidentemente, voluta.

Se proseguiamo nella lettura dell’Accordo, subito dopo la Clausola di Responsabilità vi è la clausola n.2 “Clausole integrative del contratto individuale del lavoro”. Ebbene, con questo articolo i firmatari pretendono di inserire tutte le clausole dell’Accordo nei singoli contratti individuali di lavoro, sostenendo che la violazione anche di una sola di esse costituisce, così, infrazione disciplinare da cui può derivare perfino il licenziamento.
Senza ora diffondersi in disquisizioni giuridiche sulla differente natura di contratto collettivo e contratto individuale, limitiamoci a considerare (in epoca di liberalismo trionfante!) l’intento, di Multinazionale e organizzazioni sindacali collaborazioniste, di annullare la volontà del singolo individuo.

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L’Accordo consta di decine e decine di pagine. E’ dunque evidente che una sua disamina non può essere completa e particolareggiata.
Ricordiamo perciò alcuni punti, ad esempio la diminuzione delle pause sulle linee a trazione meccanizzata, da 40 minuti a 30, con la ricca “monetizzazione” pari a 18 centesimi lordi l’ora non incidenti, però, si badi, su ferie, tredicesima e TFR!
Rilevante, ci sembra, la normativa in tema di “Assenteismo”. Già l’uso del termine disgusta, e disgusta ancor di più che organizzazioni sindacali lo facciano proprio. Non ci sono, cioè, lavoratori che si ammalano (magari, guarda un po’, proprio a causa dei ritmi e delle condizioni di lavoro), ma c’è l’Assenteismo!

Bene, se “il dato consuntivo medio dell’assenteismo per malattia per il periodo gennaio-giugno 2011” riferito agli operai non sarà inferiore al 6% medio, l’Azienda nulla corrisponderà per il primo giorno di assenza (per malattie non superiori a 5 giorni) a quegli operai che nei precedenti dodici mesi si sono assentati “per malattia di durata non superiore a 5 giorni nelle giornate lavorative che precedono o seguono le festività o le ferie o il giorno di riposo”. Se nel gennaio 2012 il tasso di assenteismo non sarà sceso sotto il 4%, l’Azienda non corrisponderà nei casi descritti la retribuzione dei primi due giorni. E negli anni successivi, per evitare tutto questo, il tasso dovrà essere inferiore al 3,5%. E tutto questo si aggiunge, è giusto ricordarlo, alla consolidata disciplina punitiva dei lavoratori ammalati attraverso gli “arresti domiciliari” durante le fasce orarie mattutine e serali.

E’ pure già prevista, a partire dal 14 febbraio 2011 e per la durata di un anno, la cassa integrazione guadagni straordinaria.
Sull’orario di lavoro vi è da dire che sono previsti numerosi e differenti schemi di turno (sulle 24 ore), che vanno dai tre turni giornalieri di 8 ore ciascuno per cinque giorni alla settimana, ai turni di 8 ore per sei giorni che si alternano a turni di 8 ore per quattro giorni, ai turni di 10 ore (6-16 e 20-6) per quattro giorni la settimana. E a decidere quali schemi di turno, e quali turni, saranno applicati sarà la Direzione Aziendale che dovrà solo illustrare le sue motivazioni alla Rappresentanza Sindacale.

E’ prevista possibilità di ricorso a 120 ore annue pro capite di lavoro straordinario senza preventivo accordo sindacale, con ulteriori 80 previo accordo sindacale.
E’ previsto che nella prima ora di turno venga disposta “mobilità interna da area ad area” per un “corretto rapporto produzione-organico”.

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Una qualche specifica considerazione merita, inoltre, quanto disposto per i “Fabbisogni Organici”. La Joint Venture assumerà, con cessione individuale del contratto, i lavoratori provenienti dallo stabilimento di Mirafiori (cioè quello stabilimento lì) di Fiat Group Automobiles spa, e non sarà applicato l’art. 2112 c. c. (cessione di ramo di azienda), e quindi Fiat Group si libererà di ogni obbligo. Assumerà, poi, lavoratori dalle altre aziende del gruppo dell’area torinese (ma non viene indicato il numero). I lavoratori potranno essere assegnati a mansioni diverse rispetto a quelle svolte in precedenza, e, successivamente, essere assegnati, ancora, ad altre postazioni di lavoro.
Infine (bell’esempio di lotta contro la precarietà!) “eventuali ulteriori fabbisogni di organico saranno soddisfatti con il ricorso a contratti di lavoro somministrato, contratti a termine e apprendistato professionalizzante”. E così i firmatari prescindono anche dalle previsioni di legge in questa materia. E se un lavoratore impugnerà, perché illegittimo, il termine apposto al suo contratto, sarà comportamento idoneo a liberare l’Azienda da ogni suo obbligo?

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Altro punto di rilievo è quello della Rappresentanza Sindacale. Potranno, infatti essere costituite Rappresentanze solo dalle organizzazioni firmatarie dell’Accordo.
E qui, l’Azienda e i firmatari, trovano l’appiglio proprio nell’art. 19 Statuto come modificato dal referendum del 1995.
E vi è da dire che tutte e tre le OO. SS (Cisl, Uil e Cgil) hanno sempre cercato di impedire ogni forma di Rappresentanza Sindacale ai Sindacati di base, ed ora la Fiom stessa (scherzi della storia) si trova cacciata nell’angolo. Anche se, con questa Fiom, non v’é da gioirne.

Si capisce, a questo punto, ritornando un attimo indietro, la strumentalità di definire l’Accordo come di primo livello e dell’uscire da Confindustria: Fiat deve evitare che all’interno della nuova entità si applichi una qualche normativa collettiva riferibile anche alla Fiom, pena il mantenimento del suo ruolo di Rappresentante Sindacale Aziendale.
E così, ora, Fiat retribuirà i permessi solo dei firmatari, concederà solo ad essi locali aziendali, riconoscerà solo ad essi il diritto di indire assemblee, solo per essi effettuerà le trattenute sindacali.

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Tutto l’Accordo porta, per altro, a stabilire un forte potere dell’Azienda che – come visto – non deve poter essere posto in discussione sulla organizzazione del lavoro (turni, orario, mobilità, assenze) e quindi sul tema centrale dei ritmi. Ad esso è dedicato l’allegato 7 composto di ben 21 pagine. Qui sono descritte analiticamente le procedure relative alla valutazione ergonomica e al rilevamento dei tempi.
Al di là della copertura con “linguaggio scientifico” del tema, stringi-stringi si arriva poi a stabilire che ove la valutazione ergonomica porti ad individuare, in una postazione, un’area di rischio elevato di sovraccarico biomeccanico, si individua uno dei rimedi nella “rotazione dei lavoratori sulle postazioni”, mantenendo dunque il rischio di sovraccarico anziché eliminarlo alla radice.

Ma, poi, il tutto sembra riportarsi all’antica questione del rilevamento dei tempi con il sistema cronometrico (ci ricordiamo “La classe operaia va in Paradiso”, con il grande Gian Maria Volonté?) e del comando sull’organizzazione del lavoro: “il razionale susseguirsi delle operazioni necessarie alla trasformazione di un dato prodotto secondo un ordine prestabilito costituisce il ciclo di lavorazione. Le operazioni necessarie per la sua esecuzione sono stabilite dall’Ingegneria di produzione e non possono essere variate ad iniziativa di altri”.

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Se alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso si lottava per tentare (in parte riuscendovi) di portare la Costituzione in fabbrica, oggi la costituzione materiale, quella del comando diretto ed immediato, quella che ha tra i suoi principali strumenti anche il comando che nasce e vive con la guerra, connota di sé la fabbrica stessa, con l’assenza di mediazioni (o vi dichiarate d’accordo o faccio terra bruciata con la delocalizzazione), con l’esorcizzazione del conflitto (da parte dei “subordinati”), oggetto di divieto espresso (non più dunque solo sul piano ideologico) e con la costante del rapporto di dominio del capitale (e del suo ceto manageriale internazionale) sui corpi di chi lavora.

Milano, 9 gennaio 2011