La bomba ad orologeria del debito pubblico
Di fatto, quello attuale, dati i poteri esorbitanti del Ministero dell’Economia è già un governo Tremonti, dove il Cavaliere è ridotto a fare la parte della comparsa.
A che cosa realmente è appeso il destino di Berlusconi?
«Il Berlusconi sa che il suo destino, e il consenso di cui va tanto fiero, già agli sgoccioli per le infinite mancate promesse, si gioca tutto su questo fronte, sul fronte della crisi economica e del debito pubblico, di ciò che riuscirà a fare per rilanciare un ciclo economico in depressione. Le cartucce dell’ottimismo sono ormai bagnate. Il suo stesso blocco sociale si attende una svolta, mentre nel paese cominciano a vedersi i lampi di un nuovo conflitto sociale. Non ci vuole molto per comprendere che Berlusconi non riuscirà a farla franca anche stavolta e che sarà travolto, con o senza “ribaltone”, con o senza elezioni anticipate».
Che con la fiducia strappata per il rotto della cuffia il 14 dicembre scorso i “ribaltonisti” subirono una cocente sconfitta è sicuro, certo è tuttavia che la vita del governo Berlusconi resta appesa ad un filo. Da oggi il governo ricomincerà a ballare, essendo la sua maggioranza sostenuta come un impiccato dalla corda dei 314 voti, ovvero due in meno della maggioranza relativa. Delle truppe cammellate che giungerebbero in sostegno, nel frattempo, neanche l’ombra. Pesa sul destino del Cavaliere il ricatto della Lega Nord, «o trovi questi voti in più e passa subito il federalismo, o si va dritti alle urne». Berlusconi cadrà sotto il fuoco amico? Può darsi, ma questa sarà solo la goccia che farà traboccare il vaso. Ben altro bolle in pentola.
«Berlusconi non ha più alibi, appunto, e Tremonti dovrebbe mettere mano al portafoglio. Cosa improbabile, così nel Pdl crescono i malumori contro il rigorismo». [LA STAMPA, 10 gennaio]
Il “rigorismo tremontiano”, ovvero la severa linea di contenimento dei conti pubblici e di riduzione della spesa, è il bubbone, il vero oggetto del contendere.
Dei dissapori tra Berlusconi e Tremonti riferiscono da giorni le gole profonde, dopo che qualche giorno fa in sede europea, Giulio Tremonti, per sostenere che siamo dentro e non fuori dalla crisi (e che non si possono allagare i cordoni della borsa come vorrebbe il Primo Ministro) ha ripetuto la sua analogia: «E’ come vivere in un videogame. Compare un mostro, lo combatti, lo vinci, ti rilassi e subito ne spunta un altro più forte del primo». [L’Unità del 7 gennaio]. Morale della favola: quasi quattro anni dopo lo scoppio della crisi, non solo non ne siamo fuori (come va blaterando Berlusconi), ma ci ritroviamo al punto di partenza, alle prese col rischio di crack ancor più devastanti. Più che “dissapori” un autentico conflitto politico. La posta in palio, addirittura, la poltrona di Primo Ministro.
«Il fantasma di Giulio è la nuova ossessione del Cavaliere. La sua paura è che il genio dei numeri diventi il capo dei congiurati per sostituirlo a Palazzo Chigi». [Massimo Giannini, La Repubblica del 8 gennaio]. Tesi dei soliti anti-berlusconiani di Repubblica? Per niente. Lo stesso concetto è ribadito da Il Sole 24 Ore del 8 gennaio e dagli stessi organi del berlusconismo d’assalto: «Il Cavaliere è oramai convinto che è arrivato il momento di dare ossigeno alle imprese e alle famiglie così da mettere maggiori risorse in circolazione e stimolare i consumi. Una ricetta che Tremonti non pare condividere, convinto che il rischio speculazione non sia affatto passato. E anche sulla riforma fiscale la pensano in modo diametralmente diverso, con Berlusconi che vorrebbe un alleggerimento del carico tributario e il Ministro dell’Economia a ripetere che “soldi non ce ne sono” e dunque neanche margini per ritoccare la pressione fiscale». [Adalberto Signore, il Giornale del 8 gennaio]
Insomma, ammesso che il governo superi “quota 316”, «… Palazzo Chigi e il Ministero dell’Economia dovranno avere un comune punto di vista, pena lo sconquasso. Ecco che provoca le fibrillazioni tra Silvio e Giulio, convinto che la strada delle urne sia preferibile, contrario com’è ad immolare sull’altare della stabilità gli equilibri di bilancio». [Francesco Verderami, Il Corriere della Sera del 8 gennaio ]
La Lega Nord e Bossi (una sfiatata e patetica Sibilla Cumana, oramai) fanno la voce grossa sul “federalismo”, ma è sul versante della politica economica che si gioca la partita decisiva e da cui dipende la vita del governo Berlusconi. Che Tremonti sia distante dall’autore de La paura e la speranza, scritto nel marzo 2008, è fatto risaputo. Solo tre anni fa vestiva ancora i panni ammiccanti del critico della globalizzazione, della “gabbia di ferro” di Maastricht, e anche dell’ideologia liberoscambista. Oggi, da Ministro, veste quelli plumbei del rigorismo fiscale e monetario. A tutti gli effetti è stato cooptato nella confraternita dei banchieri centrali, presieduta da Trichet.
Il fatto è che l’analisi di Tremonti, ovvero la sua analogia col videogame copi mostri, è assolutamente calzante. Chi scrive ha avuto recentemente modo di sostenere che siamo alle porte di un nuovo crack finanziario, che avrà questa volta come epicentro l’Europa, grazie al mix esplosivo dell’implosione dei debiti pubblici e di quelli del sistema bancario (Il sodalizio), la qual cosa metterebbe a repentaglio la sopravvivenza della moneta unica (Bye bye euro).
Il convoglio europeo sta proprio in questi giorni imboccando la via delle Montagne russe. A metà settimana il disastrato Portogallo andrà sul mercato per reperire 1,2 miliardi di euro da rimborsare a medio-lungo termine. Il prezzo che riuscirà a spuntare dirà se la tensione sul debito lusitano diventerà panico. Già ora Lisbona paga il 7,23% di interessi sui titoli decennali, con un differenziale sui Bund tedeschi al massimo storico: il 4,4%. Nei giorni successivi batteranno cassa la Spagna e l’Italia. Insomma: i governi, gli equilibri politici, e con essi la stabilità sociale sono appesi alla corda delle aste.
Un problema solo per Portogallo, Spagna e Italia? Nient’affatto.
Nell’anno del Signore 2011 (dati del Hudson Institute di Washington) nella sola eurozona verranno collocati, ovvero messi in vendita, circa 800 miliardi di euro di titoli pubblici, compresi quindi i cosiddetti “virtuosi”, Germania e Francia in testa, che da soli emetteranno 389 miliardi. Ai titoli pubblici che attenderanno di essere acquistati vanno aggiunti i 400 attesi dalle banche. In tutto fa circa 1.200 miliardi. Una cifra già di per sé astronomica.
Ma i numeri potrebbero essere ancor più alti. Secondo l’International Financial Institute l’ammontare dei titoli pubblici dell’eurozona (ci sono poi quelli dell’Unione che non usano la moneta unica) che saranno messi all’asta nell’anno appena entrato, è di circa 2mila miliardi e circa mille quelli delle banche. L’IFI aggiunge: «A questi vanno aggiunti i tremila miliardi del Tesoro americano e i mille delle banche americane, più le emissioni del Giappone, pari a oltre la metà del suo Pil (l’Italia sarà circa ad un quarto, gli USA al 27%». [citato da Giuliano Amato, Il Sole 24 Ore, 9 gennaio]
Il 2011 sarà dunque, sotto questo profilo, un anno terribilis per tutto l’Occidente imperialista.
Il Berlusconi sa che il suo destino, e il consenso di cui va tanto fiero, già agli sgoccioli per le infinite mancate promesse, si gioca tutto su questo fronte, sul fronte della crisi economica, di ciò che riuscirà a fare per rilanciare un ciclo economico in depressione. Le cartucce dell’ottimismo sono ormai bagnate. Il suo stesso blocco sociale si attende una svolta, mentre nel paese cominciano a vedersi i lampi di un nuovo conflitto sociale. Non ci vuole molto per comprendere che Berlusconi non riuscirà a farla franca anche stavolta e che sarà travolto, con o senza “ribaltone”, con o senza elezioni anticipate.
Il guaio è che diventa davvero probabile che il suo successore sia proprio l’attuale Ministro dell’Economia, che oltre ad essere l’uomo dei poteri forti europei (leggi i banchieri), piace agli antiberlusconiani, ai leghisti e ora anche ai transfughi finiani. Di fatto, quello attuale, dati i poteri esorbitanti del Ministero dell’Economia (dopo che il centro-sinistro Prodi concentrò in un unico Ministero quelli del Bilancio, del Tesoro, delle Finanze e dei Lavori pubblici), è già un governo Tremonti, dove il Cavaliere è ridotto a fare la parte della comparsa.
Da Tremonti a Tremonti quindi, e nessuna svolta, poiché, come diceva Mario Missiroli «una roba seria non si può fare, che ci conosciamo tutti».