Il problema non è se cadrà il governo ma da cosa sarà sostituito
Quando l’ex-berlusconiano d’assalto Guzzanti ha descritto il sistema incarnato da Berlusconi “mignottocrazia”, lo confesso, anch’io ho pensato si trattasse di un’esagerazione dovuta al rancore del trombato. Debbo ricredermi. Il fiume di merda che sta fuoriuscendo dalla cloaca massima di Arcore dimostra che la realtà supera di gran lunga le pur turpi accuse degli antiberlusconiani ossessivi. Sì, siamo al finale di partita, anzi, della dipartita del Primo ministro e, con molta probabilità della sua corte dei miracoli.
Scriveva Pasquinelli, solo qualche giorno fa, ipotizzando che il Berlusca sarebbe stato rimpiazzato dal suo super-Ministro dell’Economia Tremonti:
«Il Berlusconi sa che il suo destino, e il consenso di cui va tanto fiero, già agli sgoccioli per le infinite mancate promesse, si gioca tutto su questo fronte, sul fronte della crisi economica e del debito pubblico, di ciò che riuscirà a fare per rilanciare un ciclo economico in depressione. Le cartucce dell’ottimismo sono ormai bagnate. Il suo stesso blocco sociale si attende una svolta, mentre nel paese cominciano a vedersi i lampi di un nuovo conflitto sociale. Non ci vuole molto per comprendere che Berlusconi non riuscirà a farla franca anche stavolta e che sarà travolto, con o senza “ribaltone”, con o senza elezioni anticipate».
Un ragionamento serio, argomentato. Ma aveva un difetto: era fin troppo serio, prendeva fin troppo seriamente i protagonisti della scena, dando loro, tutto sommato, una dignità politica che non possiedono. Esso si fondava su ragionamenti macroeconomici e sulla tesi che alla fine le questioni di fondo, davvero dirimenti, avrebbero avuto il sopravvento sugli scandali e gli scandalucci, sulle liti da cortile.
Che vien fuori invece dallo scoperchiamento di pentola della Procura milanese? Non solo che siamo alle prese con un sistema degenerato, fondato sulla corruzione e la menzogna, come nella più meschina repubblica della banane. Viene fuori che l’Italia ha un Presidente del consiglio — non è chiaro se affetto da erotomania, certamente da narcisistica megalomania e presunzione di onnipotenza — che tra un festino e l’altro, sua evidente principale preoccupazione, riunisce il governo, delegando ai ministri e anzitutto al super-ministro Tremonti, l’ordinaria amministrazione.
Ne vien fuori che Berlusconi mai è stato davvero il demiurgo, ma un semplice picaresco pagliaccio, forte solo dell’empatia dei suoi sudditi beoti. Una forza, quella del consenso tele-pilotato, che in un sistema allo sfascio, privo di una solida classe dirigente, si è rivelata per circa un ventennio, un’arma letale, di vera e propria distruzione di massa.
Ora siamo al finale di partita, poiché per quanto parte del suo consenso sia dovuto proprio alla sua decadente figura di puttaniere latino, al puttanismo c’è pur sempre un limite, che non è la decenza — il limite della decenza Berlusconi l’aveva già ampiamente superato — ma quello della menzogna, che chiama in causa il rispetto dell’intelligenza altrui. Vero è che siamo in un paese cattolico, dove impera l’adagio «fai quel che il prete dice, non quello che fa». Questa volta però, il prete, oltre ad averla fatta grossa (è stato preso con le mani nel sacco, colto in flagranza nella sua depravazione), non ha saputo mentire. Maestro della menzogna, col suo stucchevole video-messaggio, Berlusconi ha debordato. I suoi stessi sudditi si son sentiti grossolanamente presi per il culo e questo, per un suddito italiano, è troppo. Quest’ultimo può accettare di venir preso per i fondelli, ma contestualmente, chi ce lo prende, gli deve fornire un buon alibi per fargli salvare la faccia e la coscienza. Berlusconi cade quindi a causa del fallimento del suo stesso incantesimo. Pare che così dovesse andare a finire.
Il clero della politica, a partire dalla curia romana, deve quindi toglierlo di mezzo, prima è, meglio è, non per fare pulizia morale, che questa curia non ne sarebbe capace, ma proprio per salvare il sistema che esso rappresenta e per il quale Berlusconi è oramai una minaccia assoluta.
da Rivoluzione Democratica