Come l’impazzimento di un uomo rivela la crisi di un intero sistema politico

Scrivere di politica in questo inizio 2011 è diventato assai arduo. A che serve interrogarsi su strategie, tattiche, alleanze, programmi, se ad irrompere sulla scena sono i festini a “luci rosse”, con il contorno di una prostituzione elevata nella circostanza ad una sorta di occasione di “promozione sociale” della donna?

Una settimana fa Berlusconi ha annunciato di avere una “fidanzata”. In pochi giorni i quotidiani hanno fatto l’elenco di una ventina di “aspiranti” pronte a dire «Sono io!, ma aspettiamo che parli lui». Qui il problema non è la perdita di ogni riferimento etico e morale – fenomeno già consumatosi da tempo -, qui il problema è la perdita totale di ogni senso del ridicolo. Se così non fosse, mal si spiegherebbe un presidente del consiglio che di fronte all’attuale sfascio dichiara di “divertirsi”.

Ma che rapporto c’è tra l’evidente impazzimento di un Paperone drogato dal successo e dal denaro ed il sistema politico che lo vede ancora al vertice? Non fosse per altro, questo rapporto è rivelato proprio dall’incapacità del sistema politico di liberarsi rapidamente del soggetto in questione. Se ne libererà – chi scrive è convinto che Berlusconi sia davvero alla fine – ma lo farà nel peggiore dei modi, avvitandosi su se stesso, rendendo ancora più putrescente un sistema politico marcio e corrotto.

La riprova di quanto la politica istituzionale sia sempre più lontana dalle questioni reali, dalla vita quotidiana, dai problemi sociali, ci è data dallo stato comatoso in cui versa la cosiddetta opposizione parlamentare. Un’opposizione che non è letteralmente in grado di proporre alcunché. E non parliamo di proposte sulle grandi questioni politiche – figurarsi, quelle le hanno delegate da tempo a Washington, a Francoforte ed alle oligarchie finanziarie di riferimento. Il fatto è che non hanno proposte neppure su come chiudere davvero la partita con Silvio Berlusconi.

Dopo un anno di crisi progressiva del governo, le opposizioni non solo non sono ancora riuscite a disarcionarlo, ma continuano a non avere una rotta degna di questo nome. Ogni tanto evocano un nuovo governo, gridano all'”emergenza” per poi ritornare il giorno dopo alla routine parlamentare. E mentre il cosiddetto “Terzo Polo” non disdegna il “dialogo” con il governo dell’odiato tiranno, il Pd si dedica soprattutto alle divisioni interne, tanto più curiose in quanto fondate sul nulla.

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E’ in questo quadro che i sondaggi più recenti segnalano un Berlusconi sempre più censurato dagli italiani, ma non per questo sicuramente sconfitto in eventuali elezioni politiche. Personalmente sono invece convinto che la sconfitta vi sarebbe, eccome. Ma resta la grande passività delle masse, a far da cornice ad un tramonto inglorioso quanto surreale, che prelude ad albe incerte e ben poco radiose.

Sulla ragione di questa indifferenza fa riflettere quanto osservato da Francesco Verderami sul Corriere della Sera di ieri, secondo cui i “sismografi” dei sondaggisti hanno registrato più variazioni per il referendum di Mirafiori che per l’ennesima puttanopoli di Arcore. La cosa non stupisce affatto, perché se la passività sulle vicende governative è frutto – come esplicitamente segnalato dagli stessi istituti demoscopici – dell’assenza di un'”offerta” alternativa, la portata dell’attacco mosso da Marchionne all’insieme dei lavoratori di fabbrica è stata colta da milioni di persone.

Attenzione! Questo non significa che non sia in atto un forte calo di consensi per il governo.  La cosa è talmente evidente che Berlusconi non solo non minaccia più il ricorso al voto, ma parla di questa eventualità come una specie di disastro nazionale. Tutto questo avviene, però, in un contesto spento, privo di vere passioni, che potrebbero accendersi invece solo nel momento in cui (come è avvenuto lo scorso 14 dicembre) le vicende politiche andassero ad incrociarsi direttamente con le grandi questioni sociali.

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Ad agosto abbiamo detto che con la crisi politica si sarebbe aperta l’«ora degli zombi». Eravamo stati facili profeti. Il fatto è, che proprio come in un film dell’orrore, questa ora sembra non finire più. Prendiamo quello che vorrebbe essere la novità della politica italiana: il gasatissimo “Terzo Polo”. Di costoro è difficile dire se siano più presuntuosi o più insipienti. Di certo sono codardi assai. In questi mesi di pantano istituzionale non hanno avuto il coraggio di una proposta: Berlusconi deve andarsene, anzi no deve governare, ma se se ne va noi accettiamo qualsiasi altro premier, fosse pure Bonaiuti…

Una roba da ridere. Qualche giorno fa Casini ha informato il popolo italiano che – chissà perché – è l’ora di Letta, cioè dell’eminenza grigia del premier. Ma il più comico è stato l’imprevedibile Bocchino. Accusato anche da una parte dei suoi di essere una specie di ultras dell’antiberlusconismo, ha proposto che sia proprio il capo del governo ad indicare il nome del successore all’interno della triade Letta-Tremonti-Alfano. Pure Alfano!, niente male come ultras

Parlare del Pd è come sparare sulla Croce Rossa. Bersani ha proposto già a fine agosto (vedi Ammucchiata nell’uliveto) uno schema plausibile di alleanze elettorali e di governo, ma da allora la confusione interna è solo aumentata. Primarie sì o primarie no, accordo con l’Udc (e magari Fli) oppure no, premere per le elezioni o starsene prudenti ad attendere gli eventi? Mai si è visto un partito di queste dimensioni, e di queste ambizioni, in una simile condizione di sbando.

Come è possibile tutto questo? Qual è la ragione vera di questa paralisi? Se siamo arrivati alla “mignottocrazia” – sia chiaro, in senso ben più ampio (basti pensare alla “normale” compra-vendita di parlamentari, ma non solo) di quello evocato dalle squallide vicende del premier – dovranno pur esserci delle ragioni un po’ più profonde di quelle solitamente indicate da analisti pigri e desiderosi di non scavare troppo. Silvio Berlusconi è certamente il simbolo di questo degrado, ma ridurre tutto al Paperone nazionale sarebbe il peggiore degli errori, il non voler vedere il marcio che si è impadronito dell’Italia negli ultimi vent’anni. E non è che prima fossero rose e fiori…

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Più volte abbiamo richiamato l’attenzione sul fatto che il “fenomeno” Berlusconi non è arrivato per caso. Se si è imposto è perché se ne erano create le condizioni sociali e culturali ancor prima che politiche. Proviamo allora ad elencare all’ingrosso i fattori di “lunga durata”, perlomeno quelli più importanti, che hanno portato alla situazione attuale.

Negli anni Ottanta si impongono in Italia, ma dentro un trend che coinvolge tutto l’occidente, tre idee-forza che intendono rimodellare la politica (e dunque la democrazia) così come uscita dalla seconda guerra mondiale. Idee che si fondano sull’assopimento del conflitto di classe, sul prevalere di uno stile di vita fortemente individualista e sulla cancellazione di ogni spinta egualitaria. Tutti elementi che, sul versante potenzialmente antagonista, conducono al triste disincanto di una generazione perduta che finisce per chiedere solo “efficienza”, rinnegando ogni impegno personale – non parliamo di militanza! – nell’ambito della politica.

Sinteticamente, le tre idee-forza sono:

1) Il presidenzialismo, l’idea di concentrare al massimo il potere esecutivo, rendendolo sempre più preponderante su quello legislativo. Di quello giudiziario allora si parlava meno, anche se la questione iniziava a porsi.

2) Il partito leggero, sulla base del modello americano. Un partito mera macchina elettorale, con la relativa de-ideologizzazione (altra parola chiave di quel periodo) e la conseguente personalizzazione della politica e della rappresentanza.

3) La politica-spettacolo, fondata su una sostanziale equivalenza programmatica e sulla intercambiabilità di un personale politico comunque asservito alle oligarchie dominanti.

Tutto ciò non poteva che condurre ad un preciso risultato: la riduzione della politica a mera amministrazione dell’esistente. Dove la scelta dell’amministratore (sia esso un sindaco, un presidente di Regione, od il capo del governo) avviene di norma in circoli ristrettissimi che non hanno poi grandi difficoltà, grazie ai partiti leggeri ed alla politica spettacolo, ad imporsi presso una platea elettorale sempre più fiacca ed inebetita.
 
Come si vede si tratta di un meccanismo lobbystico, dove i diversi centri di potere – a volte in aperto conflitto tra loro – cercano di trovare i necessari equilibri per tutelare i propri interessi e per garantirsi la riproduzione del proprio potere come classe dominante intesa in senso complessivo. In questo meccanismo relativamente complesso – ovviamente, e per fortuna, imperfetto come tutte le costruzioni politiche – il berlusconismo c’entra fino ad un certo punto. Il miliardario delle Tv ha infatti mezzi propri che gli consentono di saltare le normali intermediazioni. Ecco perché egli riesce addirittura a presentarsi come campione dell’antipolitica.

In un certo senso Berlusconi è stato da un lato una variabile non prevista nel sistema che si andava costruendo e, dall’altro, il massimo beneficiario dello stesso, ma soprattutto colui che ne ha esaltato le caratteristiche autoritarie ed antidemocratiche. In Italia il presidenzialismo non c’è ancora, ma presidenzialistico è lo stile impresso alla politica del governo. Il suo partito è così leggero da essere stato fondato con un semplice annuncio e senza un vero congresso. In quanto alla politica-spettacolo, basta accendere la tv per capire di cosa stiamo parlando.

Inutile ricordare che questo processo, avviatosi negli anni Ottanta, poteva andare a compimento solo nei Novanta, dopo la dissoluzione del blocco sovietico e della stessa Urss. Oggi, dopo circa un ventennio, se ne vedono dispiegati tutti gli effetti negativi. Abbiamo già detto che la politica si è ridotta, beninteso nel migliore dei casi, a mera amministrazione dell’esistente. Ne consegue che parlare di democrazia, sperando di rianimarla con la semplice cacciata di Berlusconi, o limitandosi ad evocare la Costituzione del 1948, è un esercizio del tutto illusorio se non proprio apertamente truffaldino.

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Ed infatti, cosa propone in merito a tutto ciò il composito raggruppamento antiberlusconiano? Niente, esattamente niente. Per costoro si tratterebbe soltanto di allontanare con le buone o con le cattive il ridicolo tirannello che dal 1994 – sia pure a fasi alterne – è stato il vero simbolo della politica italiana.

Abbiamo già visto che anche su questo fronte – quello del disarcionamento del Cavaliere – gli antiberlusconiani sono assai inefficaci. Ma anche quando vi riusciranno, cosa che pensiamo non potrà tardare più di tanto, questo non porterà ad alcun vero cambiamento. La cosa più positiva, insieme alla cacciata dell’attuale capo del governo, sarà la morte dell’antiberlusconismo, che non potrà sopravvivere alla dipartita di colui che ne giustifica l’esistenza.

Per il resto tutto rimarrà inalterato: presidenzialismo, partito leggero all’americana, spettacolarizzazione della politica sono una triade che ben si sposa con la gestione oligarchica della società, specie ai tempi della grande crisi ed in vista di una stagione di enormi sacrifici per le masse popolari.

Certo, qualcosa diranno. Nei pensatoi delle classi dominanti che non si limitano a parlare delle conseguenze di “Ruby e le altre”, si discute se la Seconda repubblica sia davvero mai nata. Affiora qualche rimpianto per la Prima, ma si lavora ad una Terza repubblica semplicemente concepita come completamento di una Seconda abortita chissà perché.

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Tutto faranno fuorché riconoscere la crisi della “democrazia occidentale”, il suo svuotamento totale di fronte ad una classe dominante sempre più predatoria. Un processo di lunga durata, che nel nostro Paese ha avuto però una decorso più accelerato che altrove. Una peculiarità nazionale che non dipende solo dal berlusconismo, o dal provincialismo di chi ha voluto importare meccanismi classici del modello americano (si pensi alle primarie) pretendendo di impiantarli, senza neppure una vera discussione pubblica, nel corpo delle diverse tradizioni politiche nazionali. Una peculiarità che deriva anche dalla continua ricerca di legittimazione da parte di una “sinistra” che ha fatto del pentitismo la propria dimensione psicologica più autentica.

Tutto faranno fuorché riconoscere le mostruosità messe in campo dagli inizi degli anni Novanta: il maggioritario, il bipolarismo, l’elezione diretta dei capi degli esecutivi ai vari livelli. Al massimo adotteranno qualche misura di aggiustamento per fare spazio al “Terzo Polo”, rispondendo ad una contingente esigenza tattica, ma rifiutando come la peste ogni riflessione sul disastro che hanno prodotto.

Tutto faranno fuorché venir meno all’esigenza di rispondere ai compiti assegnatigli dai centri decisivi del potere capitalistico nazionale ed internazionale (cioè americano ed europeo). Per dirla in altre parole, tutto faranno fuorché venir meno al marchionnismo, la vera linea guida bipartisan adottata dall’attuale classe politica italiana.

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Tocca dunque a chi non intende rassegnarsi all’esistente il compito di proporre un’alternativa all’attuale sistema politico. L’abbiamo già detto, ma giova ripeterlo: pensare di cambiarlo con la mera sostituzione del guidatore, o propugnando un semplice ritorno ai valori costituzionali, sarebbe il peggiore degli errori. Vorrebbe dire alimentare un’illusione che peraltro non illude più nessuno.

Di cosa si nutre, al contrario, quell’autentico esodo popolare dal sistema politico oligarchico rappresentato dall’astensionismo di massa, se non della consapevolezza della sua non riformabilità? E’ chiaro allora che non basta proporre un programma economico-sociale alternativo. Questo è necessario, e nel nostro piccolo cerchiamo di contribuirvi, ma non è sufficiente. Occorre anche una proposta di radicale cambiamento del sistema politico. Un rovesciamento delle sue modalità di funzionamento che restituisca un senso alla parola democrazia.

Si discute se dovranno esservi o meno elezioni politiche. Si dibatte se e quale “riforma” dovrà essere messa all’ordine del giorno. Rattoppi di un sistema politico in realtà irriformabile. Meglio, molto meglio, iniziare a discutere di una vera svolta. Della necessità di un’assemblea costituente che guardi alla costruzione di una nuova repubblica. Quella vecchia ormai se ne è andata, e non per colpa del solo Berlusconi. Il quale, al più, gli ha dato soltanto il colpo di grazia.