Condannati per aver presieduto un convegno contro la repressione e per il sostegno alle Resistenze antimperialiste

Ci sono da sempre sentenze discutibili, sentenze ingiuste, sentenze di parte. Quella pronunciata ieri al tribunale di Firenze, dal giudice monocratico De Cataldo, è semplicemente assurda e spudorata. Assurda perché fondata letteralmente sul nulla, spudorata perché ha totalmente ignorato ogni risultanza processuale.

Si tratta di un episodio minore dello spirito repressivo e fazioso che si respira spesso nelle aule della “giustizia” italiana. Un episodio che, proprio perché minore, risulta assai illuminante della mentalità arrogante di certi PM e di certi giudici.

Ma vediamo come siamo arrivati alla condanna di Leonardo Mazzei, del Campo Antimperialista, e di Alessandro Leoni, di Rifondazione Comunista.

E’ il 12 giugno 2004 e si tiene a Firenze un convegno dal titolo «Democrazia Rovesciata – Guerra permanente, torture, liste nere, repressione dei reati associativi, costruzione del nemico interno». Lo promuovono numerose associazioni, tra le quali il Campo Antimperialista e la rivista “Ernesto Toscano”. Solo due mesi prima, con grande strombazzamento delle fanfare mediatiche, erano stati arrestati tre esponenti del Campo – Moreno Pasquinelli, Maria Grazia Ardizzone ed Alessia Monteverdi – accusati di appartenere ad una rete terroristica internazionale. Dopo 24 giorni di detenzione i 3 compagni erano stati scarcerati dal tribunale del riesame, mentre la sentenza di assoluzione «perché il fatto non sussiste» è arrivata lo scorso 23 settembre. Il tema del convegno era dunque quello della repressione, più specificamente di quella riservata a chi sostiene le cause dei popoli in lotta contro le guerre e le aggressioni imperialiste. In particolare, in quel periodo, la discussione era incentrata sulla situazione in Iraq.

Cosa avviene dunque il 12 giugno 2004? Avviene che ad un certo punto dei lavori irrompe nella sala, con fare chiaramente provocatorio, un fotografo del Giornale, che poi risulterà chiamarsi Sandro Bedessi. La stampa è invitata al convegno ed egli può tranquillamente scattare le sue foto, ma evidentemente lo scopo della sua “visita” non è quello. Il Bedessi assume un atteggiamento provocatorio, quasi volesse fotografare tutti i presenti. Diverse persone del pubblico protestano per questo atteggiamento, al che il fotografo improvvisa addirittura uno strampalato comizietto sulla “democrazia”. Ne nasce una discussione che provoca l’interruzione dei lavori del convegno.

A quel punto la presidenza, come avrebbe fatto qualsiasi presidenza di qualsiasi convegno pubblico al mondo,  chiede di mantenere la calma e di riprendere regolarmente i lavori. E dato che il Bedessi insiste ad urlare, e visto che ha comunque potuto scattare le sue foto, gli viene gentilmente chiesto di allontanarsi dalla sala. I lavori riprendono regolarmente, e solo il giorno dopo leggeremo sul Giornale (siamo tra l’altro in una giornata elettorale) la “notizia” di un'”aggressione” subita dal fotografo. 

Fin qui i fatti. Nei mesi successivi il Bedessi presenta la sua denuncia, ma il PM – vista evidentemente l’inconsistenza della stessa – ne chiede l’archiviazione. Richiesta che viene accettata dal GIP. La vicenda però non è chiusa: il Bedessi chiede infatti la riapertura delle indagini e si arriva così al processo.

Il processo non fa altro che confermare l’inesistenza dei fatti. Non solo i testimoni confermano la versione resa dagli imputati, non solo l’accusa non riesce a dire in quali comportamenti si sarebbe determinata la presunta “violenza privata” (art. 610 CP), ma la stessa deposizione di un carabiniere in borghese presente all’incontro non fa altro che confermare che quel giorno non è avvenuto nulla di rilevante, e che comunque quel che è accaduto non è riconducibile alle due persone che presiedevano l’incontro, cioè Leoni e Mazzei.

Che, dopo un simile svolgimento del processo, si sia potuti arrivare ad una sentenza di condanna – 4 mesi di reclusione più il pagamento del “danno” (quale?) e delle spese processuali, per oltre 5mila euro – supera davvero ogni immaginazione. Ma la verità dei fatti, puntualmente emersa nell’aula del tribunale di Firenze, evidentemente non interessava più di tanto né al PM né alla dottoressa De Cataldo.

Ovviamente, Leoni e Mazzei presenteranno ricorso in Appello, ma – comunque vada a finire – resta una condanna che può avere unicamente e palesemente solo una spiegazione politica. Sostenere la causa e le Resistenze dei popoli in lotta contro l’imperialismo: questo è il reato per il quale è stata emessa la sentenza di ieri. E’ un reato non ancora inserito nel Codice penale… fino a quando?