L’eccesso di capacità produttiva è ancora grande, ma solo in Occidente

Continua l’inchiesta di Ennio Bilancini sul declino del capitalismo occidentale
Dopo essere crollata di quasi il 25% all’inizio del 2009 (rispetto all’anno precedente), la produzione industriale mondiale è poi cresciuta fortemente nel corso del primo semestre del 2010. Ad Ottobre 2010 la produzione industriale globale era già tornata circa ai livelli pre-crisi (Agosto 2008).

Tre fatti sono tuttavia da considerare. Primo, nel secondo semestre 2010 la produzione ha rallentato fortemente, di fatto rimanendo costande a partire da Ottobre. Secondo, la produzione industriale globale ad Ottobre 2010 è circa il 5% inferiore a quella “normale” (stimando la crescita “normale” con la mediana del tasso di crescita osservato nel periodo 2005-2010). Terzo, la ripresa della produzione è fortemente asimmetrica con i paesi emergenti a fare la parte del leone (tra questi specialmente Cina e India) e l’Occidente che arranca nettamente [fonte: World Bank].

In prima approssimazione, il cicli della produzione industriale si sono dimostrati fortemente sincronizzati nei paesi emergenti e nelle economie ad alto reddito. Ad un’analisi più attenta, però, esistono grandi differenze nel recupero di produzione successivo al momento di massima contrazione. Se confrontiamo i livelli di produzione industriale di Ottobre 2010 con i loro rispettivi livelli del 2008 (massimo livello mensile di produzione industriale nel 2008), vediamo che la produzione mondiale nel 2010 è circa allo stesso livello; tuttavia, mentre la produzione dei paesi ad alto reddito è di circa l’11% inferiore rispetto al picco massimo, quella dei paesi emergenti (in gran parte grazie a Cina e India), è superiore di circa il 12% (vedi figura 1).

Figura 1. Evoluzione della produzione industriale 
2008-2010 (fonte: World Bank)

Una seconda questione da valutare è il terreno perso rispetto alla crescita potenziale. Se stimiamo come crescita “normale” la crescita mediana registrata nel periodo 2005-2010, allora gli attuali livelli di produzione industriale mondiale sono inferiori di circa il 5% rispetto alla crescita “normale”. Anche qui, tuttavia, l’asimmetria è evidente: nei paesi emergenti la produzione è praticamente ai livelli “normali” mentre la produzione industriale dei paesi ad alto reddito è decisamente inferiore al livello “normale”.

Figura 2a. Paesi ad elevato reddito: produzione industriale 
rispetto al livello stimato come “normale” (fonte: World Bank)

Di particolare interesse a questo riguardo è la dinamica della capacità di utilizzo degli impianti produttivi. Sebbene non esista una regola aurea (poichè ogni settore produttivo ha le sue particolari esigenze), in prima approssimazione la percentuale di capacità non utilizzata quando gli impianti lavorano a pieno regime in condizioni normali è tra il 10% e il 5% (la ragione, intuitivamente, è quella di far fronte a variazioni della domanda di beni e servizi senza dover costruire nuovi impianti o magazzini).

Il mondo nel suo insieme ha riacquistato, in media, il pieno uso della capacità di utilizzo, cioè la capacità inutilizzata si colloca mediamente tra il 5% e il 10%. Tuttavia, anche in questo caso siamo in presenza di una fortissima asimmetria: mentre l’attività industriale in Europa e in Asia centrale rimane di circa 17% al di sotto della capacità potenziale, in Cina e in India la capacità inutilizzata è di circa l’1% e il 6%, rispettivamente. Per i restanti paesi emergenti, la capacità inutilizzata è di circa il 6% ad Ottobre 2010.

Figura 2b. Paesi emergenti: produzione industriale 
rispetto al livello stimato come “normale” (fonte: World Bank)

La capacità di utilizzo degli impianti produttivi è una variabile che anticipa gli investimenti futuri. Infatti, quando la capacità produttiva è utilizzata al massimo e si prevede che le cose rimangano tali nel futuro, si procede ad ampliare la capacità produttiva stessa (come sottolineato precedentemente, per poter sfruttare tutte le occasioni di profitto è utile, in media, avere un eccesso di capacità tra il 5% e il 10%). Questo genera un incremento degli investimenti produttivi che a sua volta induce una serie di effetti a catena positivi sulla crescita economica. Al contrario, quando la capacità produttiva utilizzata è largamente sotto quella massimale, è probabile che non vengano fatti investimenti per ampliare ulteriormente la capacità produttiva. Anzi, se si prevede un sottoutilizzo prolungato nel tempo è probabile che non si facciano nemmeno gli investimenti necessari per mantenere la capacità corrente, con effetti permanenti negativi sul prodotto futuro.

Questi dati descrivono una situazione tutt’altro che promettente per i paesi Occidentali, soprattutto per quelli ad alto reddito. La crisi ha accentuato lo spostamento della produzione nei paesi emergenti in generale, ed in Asia in particolare. I dati indicano che tale spostamento non è temporaneo. Conseguentemente, sebbene l’economia mondiale sia in un sentiero di debole ripresa, i benefici di questa saranno probabilmente esigui per i paesi Occidentali, soprattutto in termini di occupazione e di aumento dei redditi dei lavoratori del comparto manifatturiero. Non è un caso, infatti, che i paesi Occidentali che meglio si stanno riprendendo dalla crisi sono quelli che riescono ad esportare verso i mercati emergenti (vedi Germania). E’ anche da notare che non tutti i paesi emergenti sono uguali, anzi. Mentre Cina e India avanzano a grandi passi, gli altri paesi emergenti faticano a stare loro dietro, di fatto amplificando l’ascesa delle due potenze asiatiche.

In conclusione, i nuovi dati confermano l’ipotesi già avanzata in questa sede che la crisi abbia accelerato il processo di spostamento del baricentro economico verso oriente, processo già in atto durante gli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo. Tale processo, forse in precedenza meno evidente, ora si manifesta in modo netto e, a mio parere, non potrà non avere conseguenze altrettanto nette negli equilibri economici, politici e sociali del globo.

da Rivoluzione Democratica