La “trattativa” d’Egitto

A due settimane dall’inizio della rivolta
Altro che “ordinata transizione”!

Ancora ieri, domenica, al Cairo (fonte al Jazeera) un milione di persone è sceso in piazza per «la giornata dei martiri», i 300 egiziani che hanno perso la vita sotto i colpi della polizia o delle squadracce del regime.
La forza della mobilitazione è dunque intatta. Del resto, non più tardi di venerdì 5 febbraio milioni di persone hanno manifestato nella capitale e nelle altre principali città del paese chiedendo la cacciata immediata di Mubarak dal potere. (Nella foto Suleiman con Netanyahu)

Ma quella di ieri è stata anche la giornata delle trattative tra il vice presidente Suleiman ed alcune forze dell’opposizione. Il tentativo è chiaro: procedere con quella «transizione ordinata» che vorrebbero sia Obama che tutti i governi europei.
Un tentativo che non può che basarsi su due pilastri: la compattezza dell’esercito (simboleggiata dalla permanenza al potere di Mubarak, che pure sembra aver ceduto buona parte dei poteri al suo vice), la divisione dell’opposizione.

Ed è proprio quest’ultimo obiettivo che spiega le pasticciate trattative che hanno avuto luogo ieri al Cairo.
Intanto Suleiman si è incontrato solo con alcune forze di opposizione: i liberali del Wafd, la cosiddetta “sinistra” del Tagammu e, soprattutto la Fratellanza Musulmana. Non hanno invece partecipato, o perché non invitati o perché non disponibili, il Movimento 6 aprile, Kifaya, e l’Associazione Nazionale per il Cambiamento (el-Baradei).

I risultati sembrano assai più modesti di quanto si vorrebbe far credere. Entro marzo verrà formato un comitato congiunto governo-opposizione per le riforme costituzionali, dovrebbero finire le restrizioni imposte alle comunicazioni e all’informazione, infine il governo si è impegnato a porre termine allo “stato d’emergenza” (in vigore dal 1981…) ed a rilasciare gli arrestati delle ultime settimane. Quest’ultimo impegno è però vincolato alla “situazione di sicurezza”. Decisamente poco, specie se si tiene conto del fatto che la “transizione” così progettata prevede la permanenza di Mubarak alla presidenza.

Ed infatti, quello che frettolosamente i media occidentali hanno fatto passare per un accordo con l’opposizione, è stato respinto dal Movimento 6 aprile, dal Movimento di el-Baradei, e da Kifaya.
In un comunicato della coalizione delle forze di opposizione – che comprende il Movimento 6 aprile, il Gruppo per la giustizia e la libertà, la Campagna porta a porta, la Campagna a sostegno di el-Baradei, il Fronte democratico e gli stessi Fratelli Musulmani – vengono riconfermati gli obiettivi della rivolta, in primo luogo le dimissioni di Mubarak.
Nel comunicato viene chiesta la revoca immediata dello stato d’emergenza, lo scioglimento del Parlamento eletto con il voto truffa di dicembre, la formazione di un governo di unità nazionale per arrivare alla riforma costituzionale, l’istituzione di una commissione d’indagine sulla repressione dei giorni scorsi.

Viene quindi alla luce il nodo delle contraddizioni interne alla Fratellanza Musulmana. Da un lato l’incontro con Suleiman, dall’altro le successive prese di distanza dall’esito di quell’incontro, definito “insufficiente”.
La sensazione è che quello di ieri sia stato, un po’ per tutti, solo un assaggio delle rispettive posizioni. Un primo contatto che se non ha sciolto alcun nodo, potrebbe però servire al governo come punto di partenza per un tentativo più profondo di divisione dell’opposizione e, soprattutto, della piazza.
Non bisogna sottovalutare, però, neppure il grado di confusione che regna in Egitto in questo momento, così sintetizzato da el-Baradei: «Nessuno sa chi parla a chi in questo momento».

Chiaro è il tentativo di Obama di assegnare la guida della “transizione” a Suleiman, con l’obiettivo di fermare la rivolta, mettendo in ombra la figura del “faraone” Mubarak, ma lasciando immutato il dominio americano sul paese, inclusa la sua subalternità alla politica sionista nella regione, a partire dalla partecipazione all’assedio di Gaza.

Ma chi è Omar Suleiman? «Un uomo forte che gode della massima stima a Washington: già direttore dell’intelligence militare, a capo dei servizi segreti egiziani dal 1993, ha organizzato insieme alla Cia il rapimento di Abu Omar nel 2003 a Milano e il suo trasporto in Egitto. Diversi altri «sospetti terroristi» sono stati trasportati segretamente in Egitto, nel quadro del programma «Rendition» della Cia, e qui torturati da Suleiman e i suoi agenti. Uno dei prigionieri, al-Libi, fu costretto sotto tortura a «rivelare» una connessione (inesistente) tra Saddam Hussein e al-Qaeda, argomento usato da Washington per giustificare l’invasione dell’Iraq nel 2003». (Manlio Dinucci – il Manifesto 6 febbraio)

A conferma di quale sia la vera politica Usa a sostegno del regime è arrivato il Caso Wisner. Frank Wisner – inviato speciale della Casa Bianca in Egitto – è un personaggio dai precisi interessi, come ha rivelato Robert Fisk sull’Indipendent. Wisner lavora per uno studio legale che presta le sue consulenze al governo ed all’esercito egiziano, uno studio che ha gestito in Europa e negli Stati Uniti numerosi arbitrati per conto del regime di Mubarak. Ecco chi è l’uomo mandato da Obama in Egitto per dare i suoi consigli per la “transizione”…

In conclusione, quella attuale è una situazione di stallo. Mubarak non se ne va, ma il regime ha bisogno di una copertura almeno di una parte delle opposizioni. La rivolta continua, ma deve darsi una struttura più solida, e non solo sul piano squisitamente politico. Cosa succederebbe, infatti, se la situazione precipitasse verso una repressione ancor più sanguinosa? Chi sarebbe in grado di resistere in uno scenario di guerra civile?
Domande che al momento non hanno una risposta, ma che certo in molti in Egitto si vanno facendo in questi giorni. Anche perché è evidente a tutti quale imbroglio si nasconda dietro la formula della “ordinata transizione”.