Sulla natura e sulle prospettive delle rivoluzioni arabe è ormai aperto un dibattito assai vivace. Come i nostri lettori sanno, questo sito ha cercato di offrire analisi e contributi specifici, in particolare sulle sollevazioni popolari in Tunisia ed in Egitto, nonché sulla guerra civile di fatto in corso in Libia. Continueremo a farlo, com’è naturale per un sito antimperialista, ma cercheremo anche di sviluppare il dibattito pubblicando tutti i contributi utili a comprendere i grandi rivolgimenti in atto in tutto il mondo arabo. Oggi potete leggere di seguito un’intervista di Mohamed Hassan a Michel Collon e Gregory Lalieu. L’intervista è del 16 febbraio.
Dopo la Tunisia, l’Egitto! Sotto la pressione popolare, il presidente Hosni Mubarak al potere da trent’anni, ha finalmente lasciato il suo posto. Quali sono le sfide della rivoluzione egiziana? Quali implicazioni per gli Stati Uniti e Israele? La caduta del rais promuoverà l’ascesa dell’islamismo come temono i media occidentali? Mohamed Hassan risponde a queste domande.
Per lungo tempo in Europa molti pensavano che sarebbe stato difficile abbattere le dittature arabe. Ma tu non eri dello stesso avviso. Perché?
Durante gli anni ’60, ho studiato in Egitto. Eravamo all’epoca trentamila studenti stranieri provenienti da Africa, India o addirittura Indonesia, per approfittare di un programma di formazione istituito da Nasser qualche anno prima. Dirigevo l’ufficio degli studenti somali e ricordo come la maggior parte degli egiziani avesse molta simpatia per noi perché la nostra presenza in Egitto simboleggiava la solidarietà con l’Africa: erano orgogliosi!
Nel 2009, dopo un’assenza di 30 anni, ho deciso di tornare nella terra dei faraoni. Sull’aereo, ho parlato con dei giornalisti egiziani e li feci parte delle mie preoccupazioni: mi era stato detto che l’Egitto era diventato uno stato di polizia e che gli arresti erano comuni. Ma i giornalisti mi rassicurarono: il loro paese era una democrazia e non c’era nulla da temere.
Giunto al Cairo rimasi impressionato di vedere come la città si era sviluppata. Incredibile! Una città immensa capace di accogliere ogni giorno duemila nuove persone. Ho preso un taxi e andai alla sede dell’associazione che dirigevo. Ho trovato una vecchia conoscenza egiziana, Mohamed, con il quale prendevamo regolarmente il tè all’epoca e che sapevamo essere in contatto con i servizi di intelligence. Gli ho chiesto qual era la situazione in Egitto. Mi rispose rabbiosamente che il paese era gestito da gangster che ne saccheggiavano la ricchezza. Conoscendo il suo passato nei servizi segreti, sospettai che Mohamed volesse indurmi a parlare. “Si puoi parlare”, disse “Qui tutti se ne fregano. Le autorità non controllano nulla. E questo bastardo – ha aggiunto, indicando una foto di Mubarak sul muro – non vive nemmeno al Cairo ma a Sharm el-Sheik (una popolare località per i turisti)”.
Fui molto sorpreso perché pensavo che la gente non osasse criticare il regime in stato di polizia. Inoltre, nei giorni successivi, ho interrogato le persone in strada, sul bus, al mercato… Le risposte erano simili: “I dirigenti sono ladri; un giorno o l’altro gli si mozzerà le dita!” Sono giunto alla conclusione che l’Egitto era pronto per una rivoluzione.
Tu dici che il paese era pronto due anni fa. Perché la rivoluzione è scoppiata oggi?
Il detonatore è stato il suicidio di Bouazizi Mohamed, un giovane tunisino che si è immolato. Questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Per i musulmani, il suicidio è un peccato perché Dio dà la vita e la riprende. Ma Bouazizi è diventato un martire, perché rappresenta la gioventù del mondo arabo che vive in condizioni difficili. La sua morte quindi è stato un innesco non solo per la Tunisia, ma anche per l’Egitto e gli altri paesi della regione. Perché le condizioni sono le stesse ovunque: una popolazione molto giovane, senza un futuro, una forte repressione poliziesca, dirigenti corrotti …
I giovani arabi non si adattano a questo sistema in cui non riescono nemmeno a intravedere un futuro. A trent’anni, molti non possono comprare una casa e vivono ancora con i genitori. Altri cercano di emigrare: perdono la vita attraversando il Mediterraneo, un enorme cimitero, o se riescono a raggiungere l’Europa vengono trattati come bestie.
Di fronte a questa miseria, un’élite araba se la spassa, fa shopping nei negozi di lusso, si pavoneggia sulle loro 4×4 ultimo grido e nei loro yachts…
Fino ad ora, i poveri sono sopravvissuti grazie alla solidarietà. Non si vedono, come nel mio paese, l’Etiopia, tutte quelle ONG occidentali a distribuire pane e altri beni essenziali. Ma le contraddizioni della società erano tali che il sistema doveva esplodere.
Non è la prima volta che scoppiano insurrezioni popolari nel mondo arabo. Ma sono sempre state represse. Come si spiega che questa volta portino verso una rivoluzione?
Un poeta tunisino disse una volta: se il popolo vuole vivere anche solo per un giorno, tutto può accadere. Il popolo può dormire pacificamente per centinaia di anni. Ma se decide di vivere anche un solo minuto, niente può fermarlo.
Questo è ciò che accade ora. Non esiste una spiegazione scientifica. Nessun storico può dire con precisione perché questo sta accadendo oggi. Se fosse stato possibile prevederlo, il nemico che non avesse voluto dare la libertà al popolo egiziano avrebbe presagito gli eventi e avrebbe fatto di tutto per impedirli.
Come hai giustamente notato, rivolte spontanee sono scoppiate regolarmente e sono sempre state represse. Ma tutte queste rivolte erano come torrenti che nel tempo hanno formato un fiume in piena.
Inoltre, dobbiamo tenere conto del particolare contesto del mondo. Lenin disse che, a differenza delle tartarughe, gli esseri umani non vivono centinaia di anni. Pertanto, dobbiamo analizzare la storia dell’umanità per decenni. E il mondo è cambiato drasticamente negli ultimi dieci anni.
La crisi economica è un fattore importante?
Vi è infatti una grave crisi del capitalismo, il declino delle potenze occidentali e il passaggio da un mondo unipolare dominato da Washington in un mondo multipolare con l’ascesa dei Paesi emergenti. Tuttavia, la debolezza degli Stati Uniti non è un fattore così nuovo. Il vero cambiamento è che l’immagine degli Stati Uniti nel mondo oggi riflette questa debolezza. Infatti, non c’è solo la forza economica o militare. C’è anche l’impatto psicologico dell’immagine che una potenza come gli Stati Uniti offre. Questa dominazione intellettuale e culturale è molto importante.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, c’è stato un attacco orchestrato dagli intellettuali statunitensi come Francis Fukuyama con La fine della storia e Samuel Huntington con Lo scontro delle civiltà. Questa offensiva ha creato un vero terrore intellettuale sul resto del pianeta affermando che l’Occidente era diventato il padrone del mondo.
Come è accaduto che l’immagine di onnipotenza dell’Occidente si sia sgretolata?
In primo luogo, vi è la guerra in Afghanistan. Mi ricordo nel 2001, nel pieno dell’affare delle lettere all’antrace: i giornalisti della CNN intervistavano un ministro talebano. Era un uomo vecchio, un po’ anacronistico, con un turbante, una grossa barba, ecc. Un giornalista gli ha chiesto se il suo paese era responsabile degli attacchi all’antrace. Il vecchio rise: non capiva e non sapeva nemmeno cosa fosse l’antrace! Ma la televisione degli Stati Uniti, tuttavia presentava questo uomo modesto come un pericoloso terrorista! In questo scenario ridicolo, gli Stati Uniti hanno invaso l’Afghanistan. Ma questa guerra si è rivelata un fiasco e l’immagine di superpotenza dell’Occidente ha subito un grave smacco.
L’altro elemento importante è la resistenza irachena. Gli Stati Uniti sono stati incapaci di controllare il paese e la loro sconfitta militare contro la resistenza ha fatto balzare il barile di petrolio da 30 a 75 dollari in breve tempo. Questo impennata ha portato un sacco di soldi nelle casse dei paesi produttori di petrolio. Indebitati a causa dei programmi della Banca Mondiale e del FMI, questi paesi sono stati in grado di riordinare i conti e riconquistare una certa indipendenza.
Le campagne militari in Afghanistan e in Iraq sono dunque dei fallimenti. L’uso brutale della forza ha aperto gli occhi delle popolazioni arabe: solo gli sciocchi e i vigliacchi uccidono in questo modo. Questa violenza insensata è dunque servita a rafforzare la resistenza contro l’imperialismo. Inoltre, vi era la teoria che le forze armate USA fossero in grado di condurre cinque guerre contemporaneamente: due maggiori e tre a medio livello. La resistenza afgana e irachena ha mostrato al resto del mondo che era tutto falso. Non era altro che il frutto del terrore intellettuale.
L’evoluzione delle tecnologie dell’informazione ha svolto un ruolo importante?
Certo. Le reti sociali su Internet hanno permesso ai manifestanti di organizzarsi nonostante la repressione della polizia. Ma credo che l’elemento principale sia stato l’emergere di mezzi di informazione come Al Jazeera. La dominazione mediatica dell’Occidente è infranta e il divario che separava le élite e le popolazioni occidentali da quelle del Terzo Mondo non è più così grande. Oggi, i giovani studenti latini o arabi ricevono una migliore informazione rispetto ai loro corrispettivi in Occidente. Si è democratizzato l’accesso alla televisione e diffusi canali locali nella lingua dei cittadini del Terzo Mondo. E’ molto importante perché il controllo dell’informazione è un elemento chiave nel conflitto.
Mussolini fu il primo a utilizzare i mezzi di informazione come arma di guerra. Negli anni ’30, le radio italiane trasmettevano programmi in lingua araba destinate alle colonie controllate dagli Alleati. Alla radio era invitato anche il Mufti di Gerusalemme, al servizio della propaganda fascista. Poi gli inglesi hanno messo a sistema questo espediente e hanno creato la BBC International, che trasmette in varie lingue. A poco a poco, i media occidentali sono diventati maestri del mercato dell’informazione e hanno riversato la loro propaganda sul resto del pianeta.
Ma oggi, le popolazioni del Sud hanno i loro propri media. Questo sviluppo ha contribuito a democratizzare l’informazione e la cultura, prima accessibile solo attraverso i libri. Ciò di conseguenza ha ridotto in qualche modo il divario tra le diverse classi sociali.
Altra conseguenza: il livello di coscienza politica degli arabi si è molto elevato. Le persone non hanno più paura, si organizzano e scendono in piazza. Normalmente, in tempo di pace, possono volerci anni per risvegliare le coscienze. Ma in tempi di crisi, le cose accelerano. Poche settimane fa, chiedendo le dimissioni di Mubarak, gli egiziani hanno organizzato una marcia di un milione di persone al Cairo. Sapete qual è l’origine di ciò? La marcia di un milione nel 1995, organizzata da Louis Farrakhan attivista negli Stati Uniti per attirare l’attenzione dei politici sulla situazione degli afroamericani. Si tratta di un occhiolino, un messaggio inviato al presidente Obama per dimostrare che il livello di coscienza politica degli egiziani è molto alto.
L’Egitto di Mubarak è stato un pilastro fondamentale della politica statunitense in Medio Oriente. Questo pilastro potrebbe stare per crollare e altri potrebbero seguire nella regione. Pensi che gli Stati Uniti siano preparati a tali cambiamenti nel mondo arabo?
L’imperialismo degli Stati Uniti è fuori dalla realtà. Vive nel magico mondo di Disney dove tutto è bello e tutto funziona. Non avevano previsto la disfatta in Afghanistan e in Iraq e pensavano di poter soggiogare l’Iran. Un altro esempio: lo sviluppo pianificato della Cina per la costruzione di un nuovo modello di aereo da combattimento molto sofisticato. Secondo le sue informazioni, il Pentagono stimava che a Pechino ci sarebbero voluti quindici anni per padroneggiare la tecnologia necessaria. Pochi mesi fa, il. Segretario della Difesa statunitense Robert Gates, è andato in viaggio ufficiale a Pechino. Voi sapete come sono i cinesi: molto gentili! All’arrivo del loro ospite sulla pista dell’aeroporto gli hanno preparato un regalo di benvenuto e davanti agli occhi attoniti del Segretario hanno fatto decollare il famoso aereo da caccia!
Perché i governi occidentali sembrano essere stati così sorpresi dalle rivoluzioni arabe?
Durante il mio viaggio in Egitto nel 2009, sono stato molto colpito dai considerevoli dispositivi di controllo di polizia che circondavano le ambasciate occidentali. Nel bar dell’hotel dove mi trovavo, ho fatto la conoscenza con dei diplomatici britannici. Rotto il ghiaccio, ho chiesto che cosa significava quel dispositivo attorno alle ambasciate. Risero e mi dissero: “Signor Mohamed, lei tocca un nervo scoperto. Ci sembra di vivere in uno zoo. Ci hanno detto che il popolo egiziano è pericoloso quindi le nostre ambasciate sono in gabbia! In realtà, in nome della lotta contro il terrorismo, i nostri movimenti sono molto limitati. Il nostro governo e il governo egiziano ci impediscono di incontrare la gente.”
Questi diplomatici non erano in grado di farsi un’idea corretta della società egiziana e non ricevevano che notizie positive sul governo Mubarak. Mi fa venir in mente il libro La tragedia e le lezioni del Vietnam di Robert McNamara. McNamara è stato il miglior statista della storia degli Stati Uniti. Ha fatto della Ford Motor Company una delle più grandi imprese del mondo. E’ poi stato ministro sotto Kennedy e successivamente sotto Johnson.
McNamara racconta nel suo libro come, durante la presidenza di Johnson, gli Stati Uniti avessero migliaia di esperti nel Vietnam del Sud per assistere il governo. Ogni giorno ricevevano segnalazioni di questi esperti che dicevano che tutto andava bene. Da un punto di vista statistico, McNamara sospettava della probabilità di ricevere il 100% dei rapporti positivi sulla situazione nel Vietnam del Sud, non era realistico. Decise quindi di incontrare questi esperti a Honolulu, diplomatici, ufficiali e agenti della CIA che gli inviavano rapporti giornalieri. Una settimana dopo, quando gli esperti tornarono al loro posto, McNamara ricevette rapporti molto diversi: “I Viet Cong sono un pericolo, abbiamo bisogno di più rinforzi e supporto nel Sud!” McNamara ha quindi dovuto recarsi sul posto per fare chiarezza. In realtà, i diplomatici e i funzionari americani avevano l’abitudine di scrivere i loro rapporti verso le dieci del mattino, dopo una buona colazione, una partita di tennis e un bel bicchiere di whisky. I loro rapporti non riflettevano adeguatamente la situazione oggettiva del posto ma il desiderio di benessere personale e la loro incompetenza.
I diplomatici britannici che avevo incontrato si trovavano in una situazione in qualche misura simile. Non avevano idea della realtà, mentre io, nell’arco di una settimana, mi ero reso conto che la società egiziana era sul punto di esplodere.
La caduta di Mubarak rischia di favorire l’ascesa dell’islamismo in Egitto?
Si parla molto dei Fratelli Musulmani in effetti. Tuttavia, Mubarak non solo non era un muro di contenimento della tendenza islamista. Anzi la Fratellanza era parte essenziale della dittatura del rais.
Dal 1956 al 1970, Gamal Abdel Nasser governò l’Egitto con un programma socialista, facendo molte riforme. Aveva peraltro represso i Fratelli Musulmani e commesso degli errori contro di loro. A quel tempo, l’Egitto era vicino all’Unione Sovietica. Alla morte di Nasser, Anwar el-Sadat ha preso la testa del paese che ha gradualmente avvicinato agli Stati Uniti. Sadat ha adottato una politica economica liberale, sottomesso il Medio Oriente agli interessi americani, sepolto l’ascia di guerra con Israele.
Tuttavia, l’eredità di Nasser era ancora molto forte in Egitto. Ciò rappresentava un ostacolo per Sadat che intendeva seguire i precetti della Banca Mondiale e la svendita delle imprese pubbliche a favore delle compagnie private. Il nuovo presidente egiziano ha dovuto sbarazzarsi di coloro che ancora sostenevano la politica di Nasser. Mubarak, ebbe all’epoca un ruolo particolare. La sua missione era quella di formare bande e bracci armati attraverso i servizi segreti per combattere il nasserismo e il comunismo. Ma la repressione non era sufficiente, occorreva distruggere l’eredità di Nasser a livello ideologico.
Sadat usò la religione per questo: da un lato, vennero rivelate tutta una serie di informazioni sulla repressione da parte di Nasser dei Fratelli Musulmani. Una scelta niente affatto casuale, poiché d’altra parte Sadat si presentava come un uomo di Dio, un musulmano devoto. Ha introdotto molte misure per rafforzare l’importanza della religione nella società egiziana. Ad esempio, la lettura dei versetti del Corano prima del telegiornale. Sadat fece anche rilasciare i Fratelli Musulmani arrestati.
L’idea che la dittatura egiziana era necessaria per contenere l’ascesa dell’islamismo è dunque falsa. L’islamismo era in realtà una parte essenziale del sistema. Giustificava peraltro lo stato di polizia sostenuto dall’Occidente.
Eppure i Fratelli Musulmani vengono spesso indicati come il principale partito di opposizione in Egitto.
Sbagliato. I Fratelli Musulmani sono stati infatti l’unico partito accettabile per il regime egiziano. Se fossero stati veramente pericolosi, la dittatura di Mubarak non li avrebbe tollerati. I Fratelli Musulmani si sono seduti più volte anche in Parlamento. In una dittatura, non si accettano nemici. I Fratelli Musulmani non sono paragonabili ai comunisti o agli islamismi banditi in Tunisia. I Fratelli Musulmani rappresentano l’altra faccia del sistema totalitario sostenuto dall’imperialismo. Il loro programma socio-economico, inoltre, non è progressista. Sostengono un capitalismo sfrenato, la libera impresa, hanno già contestato movimenti operai e contadini … In sintesi, i Fratelli Musulmani sono la linea diretta per consentire agli imperialisti di continuare ad operare in Egitto.
Non vi sono dunque forze di opposizione in grado di guidare la rivoluzione in Egitto?
Abbiamo osservato che le ragioni che hanno indotto i popoli a sollevarsi in Tunisia ed Egitto sono similari. E’ anche interessante rilevare le interazioni tra i movimenti nelle due nazioni. Se la rivoluzione tunisina non avesse avuto alcun impatto nel mondo arabo, poteva essere isolata e repressa. Ma la rivoluzione tunisina ha incoraggiato il popolo egiziano a sollevarsi e, contemporaneamente, la rivoluzione egiziana ha indebolito gli elementi reazionari che volevano soffocare la rivoluzione in Tunisia.
Vi sono tuttavia notevoli differenze tra questi due movimenti. A mio giudizio, la rivoluzione in Tunisia è meglio organizzata, in particolare perché i partiti di opposizione hanno imparato molto dalle loro esperienze in clandestinità. Anche in carcere, l’opposizione si è data una organizzazione che le forze controrivoluzionarie oggi non possono spezzare.
In Egitto è diverso. I nasseristi e i comunisti non hanno avuto altrettanta pazienza dei loro omologhi tunisini e rappresentano solo un piccolo segmento della popolazione. I Fratelli Musulmani non incarnano una vera opposizione e non rappresentano una fetta consistente della società. Infine, i media occidentali hanno parlato molto di Mohamed El Baradei. Ma quest’uomo ha vissuto la maggior parte del suo tempo tra un aeroporto e l’altro e non ha una base sociale in Egitto. Nessuno lo conosce nella nazione, tranne la moglie e colleghi!
Come potrebbero cambiare le cose allora?
L’unica istituzione organizzata è l’esercito. Adesso tutto dipende da esso.
Ma l’esercito era molto vicino a Mubarak. Ed è finanziato dagli Stati Uniti. Possiamo aspettarci un cambiamento reale da questa istituzione?
L’esercito non è un corpo omogeneo. Proprio come nella società egiziana, vi si trovano diverse tendenze. E’ composto da egiziani provenienti dal popolo, che vogliono la fine della dittatura. Inoltre, i rivoluzionari che hanno messo fine alla monarchia egiziana nel 1952 erano ufficiali dell’esercito, non dimentichiamolo.
I collaboratori di Mubarak sono una minoranza all’interno dell’esercito. Ora che il dittatore è caduto, la Costituzione sarà modificata per consentire a tutti i partiti politici di partecipare alle future elezioni. Vedremo quali forze emergeranno.
Che cosa può fare Washington per difendere i propri interessi in Egitto? Finanziare in un sistema democratico i gruppi politici favorevoli agli interessi degli Stati Uniti? La NED (National Endowment for Democracy), ente della CIA, ha praticato questa strategia in Jugoslavia e America Latina. E questa organizzazione finanziava già dei gruppi d’opposizione in Egitto sotto Mubarak.
Il Medio Oriente è così importante da un punto di vista strategico che la politica degli Stati Uniti nella regione è la repressione. E il principale alleato di questa politica è lo Stato di polizia. Washington non ha bisogno di gruppi politici di opposizione. Ha bisogno di una dittatura assoluta.
Tuttavia, questo sistema di dominio è in declino a causa del livello di coscienza dei cittadini arabi. L’Occidente aveva la pretesa di portare la democrazia, invece ha portato al potere dei ladri corrotti, fascisti che opprimevano il popolo. Questa non è democrazia, perché si basa sulla menzogna.
Eppure si tratta di un espediente essenziale della politica americana. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando gli USA sono diventati la prima potenza, il diplomatico George F. Kennan scrisse un articolo che avrebbe avuto un impatto enorme sulla politica estera del suo paese. Kennan ha spiegato che gli Stati Uniti rappresentavano il 6% della popolazione mondiale ma consumano il 50% della ricchezza del pianeta. L’obiettivo era di ampliare a proprio vantaggio tale divario! Secondo Kennan, i diritti umani e la democrazia non erano una preoccupazione primaria per gli Stati Uniti. Ma se emergeva un governo rivoluzionario da qualche parte nel mondo a minacciare gli interessi statunitensi, Washington doveva intervenire usando i diritti umani e la democrazia a pretesto.
E’ la politica estera degli Stati Uniti. Se avesse veramente a cuore la democrazia, interverrebbe immediatamente in Arabia Saudita. Ma invece non è che un pretesto e le popolazioni arabe non sono ingenue. Gli Stati Uniti hanno solo due opzioni in Medio Oriente: imporre delle dittature o andarsene.
Mubarak era anche un importante alleato di Israele. Quale potrebbe essere l’impatto della sua caduta per questo paese?
L’Egitto ha grandi riserve di gas. E Israele è il paese che beneficia maggiormente di tali risorse, pagando il gas a un al prezzo minore rispetto a quello di mercato. Ha sviluppato una vasta rete che dipende dalla fornitura dell’Egitto. Israele ha effettuato alcune simulazioni nei giorni scorsi per compensare un eventuale taglio degli approvvigionamenti. Ma a lungo termine, se un nuovo governo egiziano rivedesse gli accordi, le cose sarebbero difficili per lo Stato ebraico.
Inoltre, la questione palestinese è irrisolta. I leader egiziani, dopo Sadat, hanno concluso un’alleanza con Israele. Ma il popolo egiziano è contro l’occupazione ed è solidale con i palestinesi. Qualsiasi governo democratico che rappresenti anche solo in parte le aspirazioni del popolo egiziano non manterrebbe questo rapporto con Israele.
Ciò avrebbe ripercussioni sulla politica USA in Medio Oriente?
Indubbiamente. Nel 1973, la guerra del Kippur tra Egitto e Siria contrapposte a Israele si è conclusa con la sconfitta delle forze arabe. A seguito del conflitto, un accordo di pace è stato firmato tra Egitto e Israele e l’accordo costituisce un pilastro importante della politica americana in Medio Oriente. E’ stata una strategia di Henry Kissinger: la pace tra Egitto e Israele ha consentito di liquidare la questione palestinese e rompere l’unità dei paesi arabi. A mio parere, questo accordo è chiuso. Gli Stati Uniti hanno perso l’Egitto con la caduta di Mubarak e i rapporti di potere cambieranno nella regione.
Che cosa può accadere nel mondo arabo, ora? Le rivoluzioni riguarderanno solo Egitto e Tunisia?
No. Sono scoppiate rivolte nello Yemen, dove la caduta di Ali Abdullah Saleh, un altro dittatore filo-statunitense, è inevitabile. E’ una posta in gioco notevole per l’Arabia Saudita: se scoppia una rivoluzione popolare in Yemen, il pericolo sarà alle porte del regno saudita, il peggior nemico della democrazia nel mondo arabo. L’Arabia Saudita è un paese arretrato ed è il principale alleato degli USA nella regione. La monarchia feudale teme i movimenti popolari. Inoltre, non voleva che gli Stati Uniti mollassero Mubarak. Quando l’amministrazione Obama ha annunciato sotto la pressione popolare che avrebbe smesso di finanziare il regime di Mubarak, l’Arabia Saudita replicava che si faceva carico di sostenere tale finanziamento. Voleva mantenere il dittatore a tutti i costi per dimostrare che i disordini non portano da nessuna parte.
Se le rivoluzioni arabe dovessero avere un impatto considerevole in Arabia Saudita, le conseguenze sarebbero enormi. Infatti, il principale strumento di dominazione dell’imperialismo USA è il dollaro. E’ una valuta molto importante perché il petrolio è venduto in dollari. Ma un governo democratico e indipendente in Arabia Saudita potrebbe rifiutarsi di usare questa moneta. L’Iran ha tratto notevoli profitti dalla vendita di petrolio in altre valute. Il dollaro non sarebbe più la valuta di riferimento nel mondo, decretando la morte dell’imperialismo degli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti sono dunque in una brutta posizione. Anche in Libano, la strategia USA ha subito il tracollo. C’era un’alleanza con le componenti reazionarie del paese, in gran parte sunnite finanziate dall’Arabia Saudita, per contenere il movimento di resistenza Hezbollah. Ma questa alleanza è stata infranta con lo scandalo delle indagini per l’assassinio del precedente capo di governo, Rafiq Hariri. Il tribunale doveva consegnare le sue conclusioni in cui incriminava alti membri di Hezbollah. Ma si è scoperto che l’indagine era distorta da obiettivi politici per indebolire il movimento sciita. Infine, l’Arabia Saudita, che aveva tentato una mediazione per risolvere le cose, ha gettato la spugna. Il governo libanese è stato sciolto e Hezbollah è emerso più forte, con un suo leader nominato Primo ministro (in realtà il nuovo premier libanese, Najib Miqati, non appartiene ad Hezbollah. E’ invece vero che con il nuovo governo la posizione politica di Hezbollah si è rafforzata – ndr). E’ una sconfitta per Washington. Tutte le sue pedine nella regione sono in crisi.
Infine, cosa apprendiamo da queste rivoluzioni?
Le potenze neocoloniali non capiscono che il mondo è cambiato. Lo si vede in Costa d’Avorio per esempio. Gli Stati Uniti e la Francia vogliono imporre Alassane Ouattara, una marionetta del FMI. Ma lui non ha vinto le elezioni e la situazione è bloccata. I paesi dell’Africa occidentale dovrebbero intervenire militarmente per conto delle potenze imperialiste ma i soldati africani non vogliono causare un nuovo bagno di sangue per difendere gli interessi occidentali. Questa è la grande lezione: il livello di consapevolezza politica nei paesi arabi, in Africa e in tutto il Terzo Mondo ora è molto più alto. Non si può più ingannare la gente come prima.
Penso che da ora, la contraddizione si ponga tra le potenze imperialiste e i paesi del Sud. In precedenza le potenze coloniali si contendevano a vicenda una fetta del Terzo Mondo. Ora si dovrà negoziare con tali paesi. L’egemonia politica ed economica dell’Occidente è arrivata alla fine. Gli Stati Uniti hanno molte risorse nel loro paese e resteranno una grande potenza regionale. L’Europa dovrà scegliere: sottomettersi ancora di più alla potenza americana o diventare veramente indipendente. Anche l’egemonia ideologica dell’Occidente è finita. Non abbiamo più grandi filosofi come Rousseau, Sartre, Camus, ecc.
C’è Bernard-Henri Levy …
Ecco, avete colto la dimensione del problema!
Traduzione dal francese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
16 febbraio 2011