L’Italia ha la fortuna di non avere più centrali nucleari, ma sembra non rendersene conto…
Sabato scorso, non appena la dimensione del disastro atomico che andava consumandosi nella centrale di Fukushima cominciava a precisarsi, abbiamo scritto che «di fronte a quel che sta accadendo i nuclearisti dovrebbero come minimo tacere, ma ben difficilmente lo faranno».
Se quella previsione non era certo impossibile, i toni della reazione del club degli amici dell’atomo è andata decisamente oltre. Costoro hanno ripetuto pappagallescamente che «tanto loro non cambiano idea», che tanto il governo va avanti, che tanto del nucleare non si può fare a meno. Il governo ha davanti la scadenza del 23 marzo, data entro la quale dovrà approvare il decreto legislativo che vorrebbe porre le basi del rilancio del nucleare italiano (vedi articolo del 6 marzo). Non può quindi sorprendere la solita arroganza dei ministri berlusconiani, così sintetizzata da Brunetta: «Sul nucleare il governo andrà avanti, non si può decidere uno stop in base ad eventi molto confusi».
Eventi molto confusi… vale a dire la totale perdita di controllo di tre reattori della centrale di Fukushima, l’esplosione degli edifici che li contengono, l’emissione di radiazioni, la probabilità di una vera e propria fusione nucleare. Se il mondo si interroga col fiato sospeso su quel che potrà accadere, i ministri del governo Berlusconi mostrano invece solide certezze. Ma non è di questi penosi personaggi che vogliamo occuparci. Il loro comportamento non è cinico, è semplicemente stupido, perché su un tema come questo non sarà certo la muscolosa esibizione di «certezze» a convincere qualcuno.
Siccome, invece, la lobby nucleare stupida non è, ben presto questi ultras dell’atomo verranno sostituiti dai cosiddetti «esperti», che attraverso ragionamenti più sofisticati cercheranno di persuadere se non sulla bontà, quanto meno sulla necessità del ricorso all’energia nucleare. Vedremo nei prossimi giorni come si svilupperà la linea difensiva del partito atomico. Per ora, dai grandi spazi concessi dai media ai nuclearisti, nel tentativo di parare la botta arrivata dall’Asia, vengono fuori solo due argomenti: che quello giapponese è un fatto eccezionale, che i reattori di Fukushima sono obsoleti.
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Vediamo prima la questione della presunta obsolescenza dei reattori giapponesi.
Quello dell’obsolescenza – lo ricordiamo ai più giovani – fu il leit-motiv dei nuclearisti di fronte al disastro di Chernobyl nel 1986. Si disse allora che incidenti di quel tipo non sarebbero stati più possibili con i reattori di nuova generazione. Guarda caso questo argomento viene rispolverato 25 anni dopo per dire che anche i giapponesi, al pari dei sovietici, sono stati responsabili dei loro guai a causa dell’arretratezza delle loro centrali. Il bello è che oggi viene messo sul banco degli imputati esattamente quello che ieri veniva presentato come un modello insuperabile di sicurezza.
Ma è fondata questa accusa alle centrali giapponesi? Assolutamente no. I reattori di Fukushima sono di «seconda generazione», come la quasi totalità di tutti quelli attualmente in funzione nel mondo. Di quelli di «terza generazione» si dice che abbiano una sicurezza maggiore, unita però al simpatico regalo di scorie più pericolose di quelle prodotte dai reattori di «seconda generazione». Del senno di poi son piene le fosse, ma sta di fatto che fino al terremoto di venerdì scorso la centrale di Fukushima rientrava nell’elenco dei 25 impianti nucleari più sicuri del mondo…
La verità è che la sicurezza potrà essere migliorata, ma non potrà mai essere assoluta, od «intrinseca» come si amava dire qualche anno fa. Checché ne dicano i Chicchi Testa di turno, il rischio connesso con le centrali nucleari non è assimilabile ad altri rischi industriali. Diversa, enormemente diversa, la sua entità, il suo impatto sul territorio, la sua durata nel tempo. Vogliamo chiederlo agli abitanti della zona attorno a Chernobyl?
Ed infine, la sicurezza potrà anche migliorare di «generazione» in «generazione», ma – peraltro senza mai diventare assoluta – questi miglioramenti costano e non poco, mandando così in frantumi la convinzione che quella atomica sia un’energia a buon mercato.
Veniamo ora al cosiddetto «fatto eccezionale», un argomento che certo non depone a favore dell’onestà intellettuale di chi lo sostiene. Innanzitutto va ricordato che i nuclearisti hanno sempre sostenuto che la sicurezza degli impianti fosse massima anche in presenza di fatti eccezionali. Il che è ovvio, perché sarebbe ben grave che la si dovesse discutere anche in situazioni ordinarie. Ma nel caso giapponese il punto è un altro: si è trattato davvero di un terremoto assolutamente imprevedibile? Il fatto che, per la prima volta, le immagini dello tsunami siano entrate in ogni casa, ci fa sembrare questo evento del tutto eccezionale: ma è così?
Posto che l’arcipelago giapponese è uno dei luoghi di massima sismicità del mondo, un luogo dove è lecito attendersi le intensità più elevate, va rilevato che il terremoto del 11 marzo è solo al quinto posto nella classifica dei sismi più violenti degli ultimi 60 anni. La graduatoria è la seguente: 1) 22 maggio 1960, Cile (magnitudo 9,5); 2) 28 marzo 1964, Alaska (9,2); 3) 26 dicembre 2004, Sumatra (9,1); 4) 4 novembre 1952, Kamchatka (9,0); 5) 11 marzo 2011 Giappone (8,9). Dov’è allora l’«eccezionalità»? Che forse le centrali nucleari vengono costruite solo sulla base dei terremoti degli ultimi anni? Non scherziamo.
Facciamo un esempio. Le dighe che alimentano le centrali idroelettriche vengono costruite in modo da far fronte alle cosiddette «piene millenarie», piene cioè il cui tempo di ritorno medio è calcolato in mille anni. E’ pensabile che le centrali nucleari vengano progettate con criteri meno prudenziali di quelli adoperati per le dighe? Francamente non sembra possibile. Il problema torna ad essere allora quello dell’impossibilità della sicurezza totale. Non volersene rendere conto è un atto di assoluta arroganza. I nuclearisti, d’altra parte, non potranno mai ammetterlo, pena il loro totale discredito, eppure è proprio di questo che ci parlano le vicende giapponesi.
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Sulle prime pagine dei giornali va in onda in questi giorni il pianto degli amici dell’atomo: che ne sarà di noi senza l’energia atomica, come illumineremo le nostre case? Su queste autentiche idiozie rimandiamo a quanto già scritto più volte su questo sito in merito alle reali prospettive energetiche del nostro paese. La caduta del mito della sicurezza atomica mette paradossalmente l’Italia in una posizione di vantaggio. A differenza di altri paesi non ci sono impianti da dismettere, ma semplicemente progetti da accantonare. Un vantaggio inestimabile, se solo si guardasse ai veri interessi della popolazione. Ma è ben noto che la lobby atomica, con tutte le sue consorterie d’appoggio, guarda invece in ben altra direzione.
A giugno il referendum dirà una parola importante, ma con i fatti del Giappone la campagna elettorale di fatto è già iniziata. Ne sentiremo delle belle, perché se i reattori sono ormai alla «terza generazione», le balle nucleari non sono certo da meno. Ne ascolteremo un bel campionario, ma non sarà difficile contrastarle e ribatterle.