Il partito dell’atomo ha perso, ma non vuole pagare il prezzo politico. La lobby gioca la carta della «moratoria» per lasciarsi la possibilità di riemergere dopo la tempesta. Ma intanto, qualcuno sa davvero cosa sta succedendo a Fukushima?

Probabilmente il batter d’ali di una farfalla in Brasile non ha mai provocato un uragano in Texas, ma certamente un maremoto in Giappone ha provocato una fuga massiva in Italia. Quella del partito nucleare made in Italy è stata una fuga ritardata – ha richiesto infatti qualche giorno – ma decisamente di massa. Dopo le idiozie spese nei primi giorni dopo l’11 marzo dai vari Chicco Testa, Romani, Veronesi, Prestigiacomo, tutti pronti a rassicurare sull’eccezionalità dell’evento di Fukushima e sulla maggiore, indiscutibile, indistruttibile, ineguagliabile sicurezza dei reattori EPR che il governo italiano vorrebbe collocare – ma guai a dire dove! – qua e là per lo Stivale, è arrivato il dietrofront.

A provocarlo non è stato il maremoto, né le radiazioni che investono l’isola di Honshu, bensì un ben più innocuo sondaggio. Innocuo per noi, non per il Cavaliere che più dell’atomo ama il restare in sella. Sessantotto percento! Il sessantotto percento degli italiani è ormai contro il nucleare. Di fronte a questa cifra l’ordine è certamente partito da Berlusconi in persona: innestare la retromarcia, cercando di limitare i danni politici. Un ordine così tradotto dalla ministra dell’Ambiente Prestigiacomo: «E’ finita, non possiamo mica rischiare le elezioni per il nucleare. Non facciamo cazzate. Bisogna uscirne ma in maniera soft. Ora non dobbiamo fare nulla, si decide tra un mese». Questo elegante e ministeriale fraseggio, pizzicato a telecamere spente, è un vero monumento al valore dell’attuale classe dirigente che non abbisogna di particolari commenti.

A seguire, fulminati sulla via di Arcore, sono arrivati gli sconsolati dietrofront delle avanguardie nucleariste. Perfino Testa e Veronesi hanno accettato l’idea della «pausa di riflessione», laddove, beninteso, la riflessione dovrebbe portare per costoro ad un futuro rilancio dei piani nucleari. Leggiamo la dichiarazione che Veronesi ha rilasciato dopo 6 giorni dal disastro di Fukushima: «Io rimango convinto che il mondo non può fare a meno del nucleare per sopravvivere, tuttavia non posso evitare di pormi degli interrogativi e vorrei personalmente approfondire e riesaminare i piani, che peraltro ho sempre ritenuto eccellenti, di sviluppo nucleare del nostro Paese, anzi dell’Europa». Se la retromarcia di Veronesi è cucinata con la solita arroganza intellettuale di chi non sa davvero niente sugli scenari energetici mondiali, quella dell’ex presidente dell’Enel – che pure in un dibattito televisivo è arrivato a minacciare di spaccare la faccia al geologo Tozzi che gli ricordava la limitatezza delle riserve di uranio – è stata ben più mesta. Se a caldo Testa si era spinto a dire che a Fukushima non c’era un pericolo radiazioni, dopo sei giorni ha dovuto ammettere che: «Far finta di nulla e ritenere che le cose possano continuare senza cambiamenti sarebbe da sciocchi e da irresponsabili».

Partita vinta, allora? Non esattamente.
Se questi kamikaze dell’atomo – gente ben pagata dalla lobby per fare un vergognoso lavoro di propaganda – hanno dovuto frenare di brutto, il marchingegno studiato dal governo presenta qualche astuzia in più. Intendiamoci, si tratta pur sempre di un trucchetto da disperati, un imbroglio di cialtroni capaci di tutto pur di non perdere uno zerovirgola alle elezioni, un inganno che alla fine non crediamo possa funzionare. Il suo nome è «moratoria». Il suo senso è stato tradotto questa volta dalla governatrice del Lazio, Renata Polverini: «Nucleare? Per un po’ possiamo evitare di parlarne». Evitare di parlarne, almeno fino al referendum di giugno si intende! D’altronde è fin troppo evidente che è proprio a questo che dovrebbe servire la moratoria: a far calmare le acque, ad attendere tempi migliori, sterilizzando intanto il referendum. Non a caso, il 23 marzo, il governo ha regolarmente approvato il decreto sulla normativa del piano nucleare italiano. Insomma, a parole tutto rimandato di un anno, ma intanto il percorso atomico continua ad andare avanti.

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Sia chiaro: in generale, con Fukushima e i danni riportati dalle altre centrali giapponesi, il ricorso all’energia atomica ha subito un colpo mortale. La lobby però non si arrende, ed in Italia potrebbe tentare un colpo di coda qualora il referendum non raggiungesse il quorum.

Dopo Fukushima il nucleare è morto non solo perché nessuno sarà più disposto a bere la balla della «sicurezza» delle centrali di nuova generazione, ma soprattutto per l’insostenibilità economica di questi impianti. Già oggi il kilowattora atomico è più caro di quello ottenuto con le fonti tradizionali, figuriamoci con le nuove norme di sicurezza che a questo punto dovrebbero essere introdotte. Ma allora perché la lobby insiste? Semplice, perché il gioco è sempre quello di farsi foraggiare dallo Stato da un lato e di scaricare sulle bollette i costi aggiuntivi: due simpatici regali già garantiti per legge ad Enel & C., qualora il piano atomico riuscisse davvero ad andare avanti. Alla faccia di chi continua a credere alla convenienza economica dell’energia nucleare!

Contrariamente a quanto afferma il solito Veronesi – per il quale, come abbiamo già visto, il mondo non sopravviverebbe senza nucleare! – l’energia atomica copre soltanto il 6% dei consumi energetici globali, pari a circa il 17% di quelli elettrici. Sul piano generale l’incidenza del nucleare è davvero modesta, stagnante da anni ed in via di declino già prima del disastro giapponese. Per quanto riguarda il settore elettrico l’incidenza è ovviamente maggiore, ma riguarda principalmente 6 stati (Francia, Germania, Gran Bretagna, Usa, Russia e Giappone). Tra questi, la Germania sembra voler riprendere la strada dell’uscita dal nucleare, gli Stati Uniti non costruiscono più centrali da trent’anni, Gran Bretagna e Russia dispongono di fonti energetiche primarie nazionali in grado di sostituire l’energia atomica in tempi rapidissimi. In quanto al Giappone, è difficile credere che possa insistere sulla strada che ha portato all’attuale catastrofe. Resta la Francia, che con la monocoltura del nucleare si è messa con le proprie mani in un guaio gigantesco.

Uscire dal nucleare dunque non è soltanto necessario, è anche possibile in tempi assai rapidi. Solo la Francia dovrà pagare dei prezzi veramente alti a causa delle sue scelte scellerate. Se uscirne è possibile, ancora più facile sarà non entrare (o rientrare) nel club atomico. E’ questo il caso dell’Italia che, esattamente al contrario di quel che affermavano i nuclearisti, può ora giovarsi dei benefici effetti del referendum del 1987! Ma siccome il nostro è davvero un «povero paese», con una delle classi dirigenti più corrotte dell’orbe terracqueo, non è  per niente escluso che la lobby torni a farsi sotto nel prossimo futuro.

Dipenderà dal referendum, dato che il raggiungimento del quorum seppellirebbe per sempre i piani del rilancio atomico. Dipenderà anche dagli sviluppi giapponesi, sui quali negli ultimi giorni si cerca di far calare il silenzio. Eppure la situazione è gravissima: i reattori di Fukushima appaiono ancora fuori controllo e si parla di elevare il grado dell’incidente da 5 a 6 su una scala di 7, le radiazioni nella centrale sono di 11mila volte superiori alla norma, l’area fortemente contaminata sembra piuttosto vasta ed un aumento della radioattività è stato registrato perfino in Europa.

«La situazione rimane altamente imprevedibile», questa è la formula usata ieri dal primo ministro Naoto Kan per descrivere quello che sta accadendo a Fukushima, forse con particolare riferimento al reattore 3 alimentato a Mox, un mix di uranio e plutonio che rende più difficile la gestione e più pericolose le emissioni. «Situazione altamente imprevedibile», ma non in Italia dove il ricorso all’imbroglio sistematico era invece prevedibilissimo. Funzionerà l’inganno della «moratoria»? Crediamo di no, ma andrà detto con forza al referendum di giugno.