Che la Siria baathista sia un bastione della resistenza al sionismo, che costituisca un retroterra strategico per le resistenze libanese e palestinese, sono due dati di fatto inoppugnabili. Per questo la Siria merita il rispetto e l’amicizia di ogni antimperialista. Tuttavia questo rispetto e quest’amicizia non sono incondizionati, non sono ciechi. Ne sanno qualcosa gli stessi palestinesi, i quali non dimenticheranno mai il massacro nel campo profughi di Tel el-Zaatar, avvenuto nell’agosto del 1976 per mano dei maroniti del generale Aoun, ma col decisivo sostegno delle forze armate siriane.
Quella tragica vicenda, come altre che la seguirono, rappresentano un monito per tutti coloro che commettono l’errore di sposare in tutto e per tutto la politica di questo o quel regime nazionalista. Ciò vale tanto più nel turbolento Medio oriente, dove i mutamenti repentini, le svolte e i voltafaccia sono un elemento costante del panorama geopolitico.
C’è antimperialismo e antimperialismo. C’è quello dei movimenti di Resistenza, che rappresentano l’anelito alla liberazione di un popolo oppresso, e c’è quello di questo o quel regime, di questo o quello stato. L’antimperialismo dei movimenti di Resistenza può certo sbandare lungo il percorso, ma è fondamentale dovendo esso battersi per la liberazione di un popolo, che è una causa di lungo periodo. Quello di certi regimi nazionalisti malsicuro, incerto, oscillante. E perché lo è? Perché non poggia sull’elemento sostanziale dell’oppressione, non ha per forza motrice la lotta di liberazione popolare, ma dipende anzitutto da fattori geopolitici, da equilibri regionali (i quali sono soggetti a mutamenti, aggiustamenti, compromessi diplomatici), e la sua forza propulsiva non viene dalla sete di giustizia degli oppressi, ma dall’istinto di sopravvivenza di elite politiche, di apparati statuali burocratici (se non addirittura dagli egoistici interessi di classe della borghesia nazionale o, peggio, di questo o quel clan tribale).
Un esempio lampante è stato quello egiziano. Chiusa la fase aurea del nasserismo, lo stesso regime, la medesima elite, compie una svolta di 180 gradi e firma gli Accordi di pace con Israele. La cosiddetta “causa araba”, la solidarietà al popolo palestinese, vennero sacrificate dal regime sull’altare della propria sopravvivenza. Un caso clamoroso di riposizionamento geopolitico, giustificato dalla ripresa di possesso del Sinai. La Siria potrebbe staccarsi dal blocco antisionista ove Israele riconsegnasse le strategiche Alture del Golan? Questo non si può escludere a priori, Il fatto è che Israele non ha alcuna intenzione di ritirare le sue truppe ed anzi, nel 1981, in violazione della Risoluzione Onu, si è annessa il Golan, dichiarando che non tornerà più indietro. Non fosse che per questo il contenzioso tra Siria e Israele è di carattere strategico, fondamentale, ciò che spinge la Siria a dare man forte ai movimenti di Resistenza palestinesi, HAMAS compreso.
Ma questa funzione di bastione anti-israeliano non autorizza nessuno a tacere sulle storture e le ingiustizie che buona parte del popolo siriano subisce, per chiudere gli occhi sul soffocante stato di polizia baathista, sugli abusi degli onnipotenti e onnipresenti organismi di sicurezza dello Stato.
Le rivolte giovanili e popolari partite dal sud del paese ed estesesi dopo alcuni giorni a Damasco, ad Aleppo, fino alla roccaforte degli alawiti, Latakia, parlano di un popolo che non ne può più della disoccupazione di massa, degli stenti, della pandemia della corruzione e soprattutto del dispotismo.
Chi si ribella, chi scende in strada, sull’onda del generale risveglio mediorientale, vi è costretto dalla condizioni sociali insopportabili, dalla rabbia contro notabili e burocrati che usano la sbirraglia come scudo e manganello, dall’assenza di una vera libertà di espressione e di organizzazione politica — assicurata solo ai seguaci del Baath e del Fronte nazionale progressista che gli regge il moccolo.
Bashar el-Assad, dopo aver consentito che si sparasse su dimostranti inermi, temendo di essere travolto, ora fa marcia indietro, proclama riforme profonde, anche costituzionali (l’Art.8 di fatto implica il predominio del suo partito e chi non lo accetta è illegale), la fine della Legge marziale in vigore da quasi cinquanta anni, esattamente dal 1963. Vedremo se sarà così. I cittadini che hanno sfidato il piombo chiedono democrazia, libertà, dignità. Hanno ragione, e meritano l’appoggio di chiunque si batte non solo contro l’imperialismo, ma per l’eguaglianza e il socialismo.
E non ci si venga a dire che antimperialismo e democrazia non sono compatibili, che eguaglianza sociale e libertà non possono andare a braccetto. Se non ci vanno da soli, a braccetto, occorre farceli andare. Poiché anche i sassi oramai sanno che ove democrazia e antimperialismo, eguaglianza e libertà, non procedono assieme, ogni rivoluzione, ogni movimento di Resistenza, ogni regime antimperialista andranno incontro alla propria autodistruzione.
Non un errore, ma una vera e propria bestialità politica è quella di coloro che voltano le spalle al popolo che si ribella (e in particolare di quelle dei lavoratori e della povera gente) giustificando addirittura la repressione più brutale. Essi sostengono che chiedere democrazia e il rispetto dei più elementari diritti dell’uomo, sarebbe una palese manifestazione di una macchinazione imperialista, che i rivoltosi sarebbero dei fantocci di Israele e dell’imperialismo.
Non si gettano la democrazia e le rivendicazioni democratiche nella spazzatura solo perché Obama ne fa cinicamente un vessillo imperiale. Occorre semmai sfilare agli americani quest’arma, per impugnarla noi, così da far sentire ancor più forte la nostra voce, il nostro odio verso l’imperialismo, spiegando che la loro democrazia è un bluff, che nessuna democrazia potrà esserci in Medio oriente fino a quando i palestinesi saranno schiavi e Israele resterà in piedi come piazzaforte dell’impero e dell’Occidente.