Un decreto del governo Sharaf, se ratificato dal Consiglio Supremo delle Forze Armate, renderà illegali le manifestazioni per la democrazia e gli scioperi dei lavoratori. Sullo sfondo la voglia di «normalizzazione» dei poteri economici più forti
Il Cairo, 26 marzo 2011, Nena News – Come nelle passate settimane, anche ieri, venerdì, migliaia di egiziani sono scesi in strada, a Tahrir e di fronte al palazzo della televisione e della radio pubblica. Le ragioni della protesta questa volta erano molteplici: supporto ai lavoratori della televisione egiziana, in sciopero da giorni per chiedere la sostituzione dei vertici aziendali – è bene ricordare che la televisione pubblica ha giocato un ruolo di spicco nel contrastare la rivolta contro il regime Mubarak – e opposizione al nuovo decreto emanato dal Consiglio dei Ministri ad interim di Sharaf. Se ratificato dal Consiglio Supremo delle Forze Armate, il decreto renderebbe illegali manifestazioni e scioperi.
Mercoledì notte, quando Ahwani Ahmed e Leila Souef – professori dell’Università del Cairo – si sono trovati davanti alla palazzina della Facoltà di Comunicazione all’università, non si aspettavano di trovare l’esercito. La manifestazione pacifica di studenti e professori che chiedeva l’allontanamento del preside di facoltà, Sami Adbelaziz, uno degli uomini del regime Mubarak, è stata dispersa dai militari. I soldati hanno cacciato e aggredito gli studenti con taser elettrici, come hanno riportato i due professori. Quando Ahmed ha ricordato al comandante che lo stava trattenendo che la presenza militare è proibita nei campus universitari, la risposta è stata semplice: “d’ora in avanti anche manifestare lo è”.
Il comandante in questione faceva riferimento al decreto rilasciato mercoledì pomeriggio dal governo Sharaf e ancora in attesa della ratifica da parte del Consiglio Supremo delle Forze Armate. Già secondo i provvedimenti dello stato di emergenza – ancora in forza e che si prevede rimarrà attivo almeno fino alle elezioni parlamentari – ogni forma di assembramento è proibita. La nuova norma contribuisce a criminalizzare scioperi e proteste. Chi scende in strada e interrompe un’attività lavorativa rischia fino ad un anno di detenzione e una multa da 30.000 (3.500 Euro) a 500.000 (quasi 60.000 Euro) ghinee egiziane. Anche chi organizza o incita la protesta può essere arrestato e sottoposto ad un’ammenda fino a 50.000 ghinee (5.900 Euro).
Immediata è arrivata la condanna degli attivisti, motore della protesta iniziata il 25 gennaio. Il provvedimento va nella direzione opposta rispetto alle loro domande e rispetto al movimento che ha portato alle dimissioni di Mubarak. “Non abbiamo fatto una rivoluzione per annullare il diritto di protesta”, hanno scritto molti cyber-attivisti, tanto più che richieste fondamentali come la fine dello stato di emergenza non sono ancora state soddisfatte. In una dichiarazione ufficiale, i portavoce della coalizione dei Giovani della Rivoluzione del 25 Aprile hanno definito la nuova legge come “un ostacolo al futuro democratico del paese”.
Notevoli preoccupazioni le solleva il modo in cui il decreto è formulato. La norma, si legge, intende punire i casi di sabotaggio dei mezzi di produzione, le attività di protesta che influenzino negativamente l’unità nazionale, la pace sociale e il sistema generale o danneggino proprietà mobili o immobili pubbliche e private.
Il provvedimento, riportato sul sito del gabinetto di governo, non arriva completamente nuovo. Da quando è salito in carica, Essam el-Sharaf ha parlato di “ritorno alla normalità” e “bisogno di ricostruire il paese”. Il nuovo primo ministro ha fatto da eco alle parole del generale Tantawi, leader del Consiglio Supremo delle Forze Armate, che chiedeva ai tantissimi lavoratori mobilitati in tutti i settori di tornare al lavoro. Basta con le proteste in piazze e, soprattutto, con l’ondata di scioperi che hanno travolto il paese da metà febbraio in avanti – linea per altro promossa anche da alcuni membri della Fratellanza Musulmana. Un bisogno di normalità di cui si sente spesso parlare anche per strada e che, forse, è possibile leggere nel risultato del referendum costituzionale (dove il “si” ha vinto con il 77% dei voti). “Molti hanno votato a favore degli emendamenti costituzionali anche perché l’alternativa sembrava un lungo periodo di instabilità durante cui scrivere una nuova costituzione”, commenta Dina, professoressa di arabo.
In realtà, fin dall’11 febbraio, tutto l’Egitto è stato attraversato da una campagna di sensibilizzazione che non ha badato a spese. Le due linee della metro del Cairo e le strade della capitale sono disseminate di cartelloni pubblicitari che recitano “nabna Masr” (costruiamo l’Egitto) e invitano i cittadini a tornare al lavoro e collaborare a costruire il futuro del paese da subito.
Di tutta altra opinione, invece, le migliaia di lavoratori in sciopero dai primi di febbraio e che, con le loro mobilitazioni hanno contribuito in maniera determinante all’uscita di scena di Hosni Mubarak. Varie categorie, come lavoratori delle ferrovie, dottori, operai, farmacisti, avvocati, giornalisti, pensionati e forze delle polizia hanno fermato le loro attività a più riprese. Le richieste comuni sono: sostituzione di tutti i dirigenti legati al precedente regime, innalzamento dei salari e istituzione del salario minimo – come stabilito nel marzo 2010 da una sentenza della Corte Amministrativa del Cairo – e migliori condizioni lavorative. Coloro che si sono mobilitati hanno portato le istanze di Tahrir e la richiesta di ‘adala igtima’iyya (giustizia sociale) di cui si parlava in piazza nei luoghi di produzione. Che ci sia molto fermento e coscienza politica tra i lavoratori, lo conferma anche la recente formazione di nuovi sindacati indipendenti, praticamente inesistenti sotto il regime di Mubarak. Ieri, presso il sindacato dei giornalisti, si è tenuta la prima conferenza stampa dell’Unione Indipendente dei Lavoratori dei Trasporti Pubblici.
Tra i giornalisti che hanno parlato della norma, Mustafa Basiouni, corrispondente del giornale Dustur, ha ricordato che i lavoratori hanno scioperato duranti gli ultimi anni nonostante i decreti dello stato di emergenza lo proibissero. Quindi, il nuovo provvedimento non avrebbe grossi effetti. Allo stesso tempo, però, potrebbe diventare un buon deterrente nelle mani del governo, che ha visto la Borsa del Cairo perdere l’8.9% quando ha riaperto, mercoledì, dopo sette settimane di chiusura.
da Nena News