L’ultimo argomento

Prosegue il dibattito sulla Libia

Che l’armata Brancaleone partorita dalla rivolta per rovesciare il regime di Gheddafi stia avanzando grazie al contributo determinante delle forze armate imperialiste è fuori discussione. Fuori discussione, almeno per chi abbia cercato di comprenderla, la mia posizione: adesso occorre sostenere, senza se e senza ma, chi combatte la NATO, visto che gli insorti sono oramai nulla di più che una Quinta colonna dell’imperialismo. Chi per difendere casa sua da un ladro fa entrare i campioni della criminalità, non pianga per quel che gli accadrà. A chi tocca nun se ngrugna! 

E’ questo avverbio “adesso”, almeno a me pare, il pomo della discordia con alcuni dei nostri critici — mi riferisco a quelli seri, non a chi oramai mi ha arruolato tra i sostenitori dell’aggressione imperiale dal momento che non ho appoggiato Gheddafi sin dall’inizio, la sua squinternata e cieca vendetta contro dei sudditi che hanno osato rivoltarglisi contro. I primi portano argomenti, i secondi, siano essi convertiti alla geopolitica o svitati ultrà di Gheddafi e del suo clan, avanzano solo deliranti dietrologie.

Si può essere contro un regime, o anche solo una determinata forza politica e poi schierarsi dalla sua parte? E viceversa?

Chi mastichi anche solo un tantino la politica capisce che sì, che non solo questo è possibile, ma necessario. E da che dipende? Dipende, siccome la politica null’altro è che l’arte di destreggiarsi in un conflitto tra soggetti che lottano per il potere, non solo dalla natura e dagli obbiettivi di questi soggetti, ma dai rapporti di forza e dai mutamenti di questi rapporti nel corso del conflitto stesso. Questo nelle linee generali.

Nello specifico il sottoscritto, sulla scia di chi ritiene che la lotta armata sia un salto qualitativo della lotta politica, considera che l’intervento diretto della NATO nella guerra civile libica abbia mutato non solo i rapporti di forza sul campo e la meccanica degli eventi, ma stravolto la natura del conflitto stesso. Anzitutto esso è diventato uno scontro di dimensioni internazionali ma, quel che più conta, è diventata, per quanto scomposta, la più classica delle aggressioni imperialiste. E’ questo salto di qualità del conflitto, il mutamento della funzione dei due contrapposti schieramenti libici, a invertire la nostra posizione tattica.

Potrei citare decine di esempi e tirare in ballo qualche volume di citazioni per avvalorare questa tesi, basti qui rammentare il caso della Guerra Franco-Prussiana del 1870-71, dalla quale nacque La Comune, e quindi la diversa posizione assunta da Marx, che abbandonò l’appoggio a Bismark non appena le sue armate oltrepassarono il confine, trasformando quella che per Marx era una guerra progressiva di liberazione e unificazione nazionale tedesca in una guerra reazionaria di annessione.

Alcuni, dal fatto che l’Occidente imperialistico, pur in ordine sparso, ha simpatizzato per la rivolta di Bengasi (poi fatta loro da alcune tribù), deduce che essa fosse, ab origine, di natura reazionaria. Dovremmo dunque considerare reazionarie non solo la rivolta tunisina ed egiziana, ma tutte quelle che stanno scuotendo il Medio Oriente? E’ evidente che questa posizione non si tiene in piedi, e quindi non mi ci dilungo. Che gli americani si spaccino per paladini della democrazia non vuol dire che si debba abbandonarla, tantomeno può significare che ogni lotta per la democrazia sia per sua natura filo-imperialista. L’insurrezione libica, per chi scrive, non è qualitativamente diversa da quelle che l’hanno preceduta, se non per la forte compresenza di elementi clanistici e tribali, elementi che non esistevano in Tunisia o Egitto, considerabili veri e propri stati-nazione (mentre la Libia non lo è, dato che scopriamo che quaranta anni di gheddafismo, e ciò la dice lunga, non hanno demolito l’arcaico tessuto tribale).

I miei critici, a questo punto, per avvalorare la tesi che quella libica sia una rivolta di natura diversa rispetto alle altre, pongono la domanda: “come mai non sono intervenuti in Egitto o in Tunisia e in Libia sì”. Argomento debole, visto che non intervengono nemmeno in Siria,  come non sono intervenuti nemmeno in Iran ai tempi della cosiddetta “rivoluzione verde”, in Libano, o in Birmania, tutti paesi in cui governi ostili agli USA hanno represso “movimenti democratici”. L’idea che ogni volta che c’è una guerra civile l’Impero intervenga per sostenere suoi veri o presunti pupilli sottende l’idea della sua onnipotenza, che invece non c’è.

Certo è che se gli imperialisti attaccano, se scendono in campo con il loro esercito per sostenere una parte contro l’altra, quella parte loro alleata diventa obiettivamente sua forza di complemento. Il 19 marzo scrivevamo:

«Un secondo pensiero corre a coloro che sono insorti contro Gheddafi e che hanno invocato la tutela neocoloniale della NATO. Per non essere servi di un piccolo tiranno vi siete gettati tra le braccia di quelli più grossi. Non crediamo voi abbiate, ribellandovi, ubbidito a qualche centrale occidentale. Pensiamo anzi che la vostra rivolta è stata legittima quanto sconclusionata e improvvisata. C’è un limite alla spontaneità, ed è la sua superbia. Nessuna insurrezione armata si improvvisa, e una volta cominciata la battaglia si deve accettare il rischio di essere sconfitti. Non lamentatevi se così facendo vi siete alienati le simpatie di mezzo mondo». (Viva Menelik)

Ma se, com’è evidente, un’insurrezione non è filo-imperialista solo in virtù della sua richiesta di democrazia, cos’è che ce la fa diventare? Ove essa non sia innescata o capeggiata da agenti imperialisti — e questo, insisto, non pare proprio che sia il caso di quella di Bengasi, che ritengo del tutto autoctona e fin troppo spontanea —, essa lo diventa dal momento che gli imperialisti, dalle parole passano ai fatti, ovvero intervengono con la forza armata. A questo punto il Nodo di Gordio è sciolto.

Il fatto è che quest’intervento non ha, come paiono pensare i miei critici, un valore retro esplicativo, non costituisce una prova a posteriori che a Bengasi i rivoltosi fossero sin dall’inizio arnesi — non si capisce di chi poi: degli americani che hanno sperato fino all’ultimo che Gheddafi restasse in sella e che oggi (vedi le dichiarazioni di Obama) dicono che la Libia non sarà un altro Iraq? Dei francesi che sono partiti lancia in resta per ridare spolvero a Sarkozy? Degli italiani che al solito non sapevano che pesci pigliare? 
Gli avvenimenti stanno a dimostrare, non solo che la rivolta (diventata ben presto armata, a differenza di quelle tunisina o egiziana) è stata spontanea, ma che al suo interno c’erano forze diverse e in stridente contrasto. E’ noto che ad un certo punto gli insorti di Bengasi hanno respinto ogni idea di intervento occidentale, che alcuni inglesi infiltrati sono stati tratti in arresto. Solo in un secondo momento queste posizioni sono state battute e il sopravvento è stato preso dalla componenti filo-imperialiste. Una svolta che ha corrisposto, verso il 5 di marzo, con la definitiva formazione del Consiglio nazionale provvisorio, alla cui testa è stato improvvisamente messo l’ex Ministro delle Giustizia di Gheddafi, Mustafa Abdel Jalil. Un uomo che le intelligence occidentali conoscevano da tempo e che forse era davvero il loro uomo (vedi le dichiarazioni di Frattini del 7 marzo).

Il tasto principale su cui batte Giulio Bonali è tuttavia un altro. Sentiamo:

«E tuttavia se si trattasse, come mi pare appaia inequivocabilmente dalle sue considerazioni, di un perfetto governo-fantoccio dell’Occidente, esattamente come quelli saudita o dei vari emirati della penisola arabica, i drammatici, recenti avvenimenti, e in particolare il criminale e terroristico intervento bellico in corso (…) non avrebbe alcun senso, sarebbe del tutto incomprensibile. (…) Non riesco a concepire un diverso scenario dotato di un minimo di sensatezza e comprensibilità: gli imperialisti che rovesciano un loro fantoccio perfettamente funzionale per metterci un idealmente identico fantoccio, con tutte le incognite, i rischi, i costi politici ed economici – di quelli umani non potendogliene fregare di meno – del caso!, allora il “male minore” è probabilmente sempre stato, e comunque certamente è ora (ci piaccia o non ci piaccia) Gheddafi, ovvero il nemico maggiore è probabilmente sempre stato, e comunque certamente è ora (all’interno delle Libia) il movimento sovversivo “antigiamairia”».

Giulio in pratica respinge quanto da me sostenuto, che cioè Gheddafi fosse da almeno un quindicennio un alleato dell’Occidente — non mi pare di aver mai usato la qualificazione di fantoccio dell’imperialismo, al pari dei vari satrapi regionali; ho detto piuttosto che era un personaggio picaresco e un sicofante.

Il ragionamento di Giulio è alquanto semplice: se gli imperialisti intervengono per sloggiare Gheddafi vuol dire che Gheddafi non solo non è, ma non è mai stato un loro sodale, egli evidentemente dev’essere stato un loro nemico. Potrebbe sembrare una forma di sillogismo aristotelico, ma non ne possiede affatto il rigore, siamo invece vicini al tomismo e alle prove a posteriori per dimostrare l’esistenza di Dio. Ma questa è un’altra storia.

Io ho portato fatti e circostanze per dimostrare quanto fosse diventato forte e strategico il sodalizio tra l’Occidente e Gheddafi, divenuto squallido idillio con l’Italia berlusconiana. Ho segnalato le ragioni e i tempi in cui Gheddafi, da cavallo matto della resistenza all’imperialismo è passato dall’altra parte, diventando un aiutante (pur sempre cavallo matto) dell’Impero. Di qui la controprova che nessun movimento di resistenza antimperialista, sia di sinistra che islamista, ha alzato un dito per difenderlo. Ho poi segnalato come questo storico voltafaccia non sia caduto dal cielo, ma abbia corrisposto ad altri due fenomeni strettamente connessi; l’adesione della Libia, al pari delle petro-monarchie, nel circuito della finanza predatoria mondiale, e la trasformazione del regime interno in una dinastia corrotta. Da amico (inaffidabile) delle Resistenze la Libia era diventata da tempo un socio in affari dell’imperialismo.

Nessuno mi ha smentito, per la semplice ragione che i fatti sono difficili da smentire.

Che poi un socio in affari possa diventare un avversario, di questi casi la storia è piena. Quante volte degli ex-alleati entrano in un conflitto, anche mortale? Innumerevoli. Come diverse volte è accaduto che dei servi degli americani si siano ribellati al padrone. Un esempio su tutti, quello di Noriega a Panama. Criminale al servizio della CIA, Noriega decise di mettersi in proprio e gli americani lo tolsero di mezzo con tanto di invasione del paese. Andava difesa Panama, nel dicembre 1989, dall’aggressione USA? Certo che sì, e gli antimperialisti la difesero, ma senza con ciò assolvere Noriega dai suoi crimini e dal suo passato.

Un caso inverso è quello di Saddam Hussein. Le sue mire espansionistiche e sciovinistiche lo spinsero a scatenare nel settembre del 1980 una guerra lunga e sanguinosa contro la neonata Repubblica islamica iraniana. Non è un segreto che malgrado il regime iracheno sostenesse la lotta di liberazione palestinese, esso godette contro l’Iran dell’appoggio degli americani, che quel conflitto assunse la forma di una guerra sporca per procura.

La guerra contro l’Iran si era appena conclusa ed ecco che l’Iraq, nell’agosto del 1990, invade il Kuwait, una vera e propria cassaforte della finanza imperialistica. Gli USA fecero subito a dimenticare il sodalizio e siccome l’Iraq rifiutò di ritirare le truppe d’occupazione, nel gennaio del 1991 condussero l’attacco più massiccio dalla guerra in Vietnam. Vi fu chi rifiutò di difendere l’Iraq dall’aggressione, col motivo che egli era stato un alleato degli USA fino a poco prima. Costoro commisero il gravissimo errore di non capire che lo scenario era cambiato, che la guerra del Golfo non era la guerra con l’Iran.

E’ l’errore di chi non vuole prendere atto che nulla è irreversibile nella storia, tantomeno in Medio oriente. La Resistenza palestinese lo sa bene, e capisce al volo che l’amico di oggi può diventare il nemico peggiore domani. E viceversa. La guerra, che è una forma concentrata della politica, non è adatta ai puristi, o a coloro che non sanno riposizionarsi con la stessa prontezza del nemico.

Giulio afferma che l’unica spiegazione sensata dell’intervento NATO è ammettere che Gheddafi, al fondo, è stato sempre un nemico degli imperialisti, ed occorre quindi difenderlo non solo adesso ma retroattivamente. Giulio dice che non riesce a concepire nessun’altra spiegazione per spiegare l’aggressione USA-NATO.

Io ne azzardo un’altra.

E’ evidente che, fatto salvo quel pallone gonfiato di Sarkozy, la gran parte dei paesi NATO, USA inclusi, avrebbero preferito non intervenire, agire sul piano politico per salvare capra e cavoli, i loro interessi in Libia e quelli del clan Gheddafi, che sono strettamente connessi, e dare un pezzo della torta petrolifera e del potere ai cirenaici. Hanno infatti tentato la via negoziale ma questa è fallita. E’ fallita, io ritengo, perché il conflitto interno tra clan e tribù era diventato oramai irresolubile politicamente. Gheddafi rifiutava ogni accordo, così come gli insorti.

Obtorto collo USA e NATO hanno iniziato a pensare all’intervento, quando il paese era oramai in preda all’anarchia militare, onde evitare che finisse come la Somalia, uno Stato diviso ormai in tre diverse entità politiche, dilaniato da una guerra tra clan che dura da un ventennio e che ha lasciato spazio al nemico del jihadismo. L’Impero non poteva permettersi, di qui la scelta di campo dello stesso governo italiano, di avere una Somalia al centro del Mediterraneo. Esso ha tentennato per tre settimane, e si è decisi ad agire solo quando era evidente che la controffensiva di Gheddafi stava sbaragliando l’armata Brancaleone degli insorti, che cadevano come birilli sotto il fuoco delle milizie lealiste.

Gli aggressori hanno certo violato, come dicono i russi che al solito si lagnano ma dopo aver evitato di porre il veto in sede ONU, la stessa 1973, ma ripetono ad ogni occasione che escludono l’opzione di un’invasione di terra. Questo dovrebbe far riflettere i miei critici, ovvero che USA e NATO, a parte le fanfaronate francesi, fermata l’avanzata dei lealisti e stabilizzato il fronte, cercheranno in ogni modo di far addivenire i due fronti ad un negoziato, che si auspicano una soluzione di compromesso. Gli occidentali sanno che gli insorti non prenderanno Tripoli da soli, nemmeno con l’ausilio della copertura aerea NATO.

Non penso che verrò smentito, non penso che gli aggressori NATO puntino a conquistare Tripoli e a fare a pezzi il fronte di Gheddafi. Se ho torto lo vedremo nei prossimi giorni. E vedremo presto se Gheddafi, il suo clan e le tribù che lo appoggiano, sono diventati un autentico movimento di resistenza antimperialista, o se essi addiverranno ad un accordo, fatti salvi la faccia e, quel che conta, i loro colossali interessi finanziari ed economici.

Escludo a priori che i lealisti daranno vita ad una Resistenza, per capirci, di tipo libanese? Che essi lotteranno fino alla liberazione totale della Libia? No, non lo escludo a priori, in base ad un qualche schema metafisico. Lo ritengo però altamente improbabile. Ma se ciò avverrà, avverrà solo perché americani ed europei, rifiuteranno a Gheddafi e al suo clan ogni “onorevole via d’uscita”, ovvero realizzeranno un colossale “esproprio bolscevico”, capovolto quindi, dei loro beni; se, come Bush junior fece in Iraq nel 2003, tenteranno un radicale regime change, con tanto di scioglimento delle forze armate lealiste.

Io questo tendo ad escluderlo. Altra è la politica che per semplificazione chiamiamo obamiana. Gli americani hanno sin qui giocato, mi riferisco a questi mesi di sollevazioni, una partita intelligente. Destreggiandosi con abilità sono apparsi come sostenitori delle istanze democratiche popolari, riuscendo invece a garantire una sostanziale continuità dei regimi. In occasione dello stesso intervento in Libia essi sono apparsi come una potenza tranquilla, che si sforza di trovare una soluzione politica, che ha messo a freno i francesi guerrafondai. Una tattica che ha una sua logica: con gli insorti ma senza con ciò apparire colonialisti, lanciando un ponte alle forze fedeli a Gheddafi.

No, non ritengo che cambieranno tattica, non forniranno ai lealisti il pretesto per trasformare il paese in una seconda Somalia, cosa che li costringerebbe a fare ciò che non vogliono e non possono: ad aprire un fronte come in Iraq e Afghanistan. Ora la palla è nel campo di Gheddafi. Se non mi sbaglio l’occhio del ciclone sta passando, e dal crepitio delle armi si passerà al gioco appiccicoso della trattative, che in forma segreta sono già in corso da giorni. Che forse non si sono mai interrotte. E se mi sbaglio, come m’è capitato altre volte, farò autocritica, cospargendomi il capo di cenere — ciò che non sarà sufficiente per chi vorrebbe invece tagliarmela.