Già venerdì con i compagni eravamo andati a Manduria, dove vengono deportati gli immigrati provenienti da Lampedusa. Volevamo vedere da vicino la situazione del campo, ma polizia, carabinieri e altri ci avevano impedito di entrare.
Siamo perciò tornati il giorno dopo. Nel pomeriggio c’era una manifestazione in paese, organizzata da gruppi di residenti, forze politiche e varie organizzazioni antirazziste.
Abbiamo portato i nostri striscioni e bandiere, ma, dopo l’arrivo del Presidente della regione Vendola, ci siamo subito resi conto che sarebbe stato un semplice comizio elettorale, senza nessuno spazio di dibattito e, soprattutto, nessuna azione concreta. Così abbiamo deciso di tornare alla tendopoli facendo di tutto per convincere chi stava in piazza a venire con noi. In effetti la piazza si è quasi svuotata e in tanti ci hanno seguito.
Arrivati alla tendopoli, abbiamo trovato un gruppetto di fascisti, subito messi sulla difensiva e poi costretti ad andarsene dalla veemenza con cui le compagne hanno risposto ai loro primi insulti. Al megafono abbiamo fatto sentire la nostra voce, abbiamo denunciato la condizione inumana in cui sono tenuti gli immigrati nel campo, senza mangiare a sufficienza, senza la possibilità di lavarsi e, soprattutto senza un futuro. “Aprite quel campo” gridavamo, “tutti abbiamo il diritto di renderci conto di persona della situazione e solidarizzare direttamente e di persona con loro”.
La polizia ha subito cercato di fermarci, formando dei cordoni, ma qualcuno, soprattutto donne, che come sempre sono in prima fila nello scontro, senza paura ma con tanta rabbia ci siamo scagliate contro i cordoni per cercare di raggiungere l’entrata. Alla fine in tanti si sono uniti all’azione. Anche quelli che all’inizio erano titubanti ma sono stati convinti dalla nostra determinazione.
Anche da dentro il campo gli immigrati ci hanno visto e sentito e questo è bastato a dagli coraggio.
Poco dopo, al grido “liberté, liberté” hanno sfondato il blocco all’entrata e si sono uniti a noi.
È stato entusiasmante vedere la loro gioia e riconoscenza, ci hanno abbracciato, baciato.
Ma purtroppo ci sono stati anche episodi meno belli. Un gruppo di immigrati si erano allontanati sulla strada, troppo stretta per contenerli tutti e cosi si sono avvicinati al muro di cinta di un campo agricolo. Il proprietario ha subito cominciato a gridare contro di loro; “questa è la mia proprietà, e casa mia e quella gente non ci deve entrare” ha risposto quando gli ho chiesto “qual è il problema?”. Il solito atteggiamento di razzismo e ignoranza, di intolleranza contro chi è considerato diverso. Gli animi si stavano scaldando, sia il proprietario che gli immigrati hanno raccolto delle pietre, ma li ho convinti a tornare verso lo spiazzo davanti la tendopoli dove tutti, antirazzisti e immigrati, stavano fraternizzando e festeggiando la rottura del blocco con una confusa ma gioiosa assemblea improvvisata.
Tutti cercavano di parlare, cercavano di farci capire quanto fosse brutto essere rinchiusi là dentro, soli, lontani da casa, in condizioni vergognose e sempre col desiderio di andarsene, non fermarsi in Italia, raggiungere i parenti e cercarsi un lavoro altrove. Un migrante si è sentito male. Ci ha raccontato di essere stato picchiato dalla polizia, come spesso accade a quelli che cercano di scappare ma vengono riportati indietro dalle ronde fasciste o dalla stessa polizia. Un altro, forse anche lui pestato, è stato colto da convulsioni. Mi sono avvicinata per soccorrerlo e gli ho tenuto la testa in attesa dell’ambulanza che ci ha messo 40 minuti per arrivare dall’interno del campo, solo duecento metri più in là.
Un pomeriggio bellissimo, di vera emozione, di consapevolezza di aver fatto qualcosa di giusto e importante. Ma non sarà l’ultimo. Torneremo presto, l’abbiamo promesso.
Fiorella – Mfpr Taranto
2.4.2011