Nel cuore della rivoluzione tunisina (seconda parte)
Sidi Bouzid e la vera storia di Mohammed Bouazizi

La strada tra Sidi Bouzid e Sfax si snoda, ininterrotta,  fra chilometri e chilometri di oliveti che forniranno, all’occidente, un ottimo olio extravergine di oliva ad un prezzo stracciato.
Fatica e sudore di povera gente, china per ore e ore con il viso a terra per racimolare pochi dinari, appena sufficienti per  il pane.
E per chi non riesce a fare nemmeno questo, la soluzione è sulla costa orientale della Tunisia, la dove stiamo andando adesso: rischiare la morte per annegamento o assideramento su una carretta del mare, con l’intento di arrivare in Italia.
Partire con la speranza di trovare un lavoro che nella maggioranza dei casi si rivelerà un’utopia.

Nel sud della Tunisia, non esistono altre opportunità.
Ce lo ha dimostrato Mohammed Bouazizi, il giovane che si è appiccato fuoco, a Dicembre, nella piazza della città da cui siamo appena partiti.
Lo ha fatto perché, la sua vita e il suo paese,  gli stavano negando ogni forma di dignità.
Un atto estremo, terribile, frutto di anni di stenti e di privazioni, con una prospettiva inesistente e la consapevolezza che non avrebbe potuto nemmeno farsi una famiglia.

Ascoltare dai vicini di casa la dura storia della breve esistenza di Mohamed, suscita un forte sentimento di impotenza, quella stessa che, probabilmente, anche lui ha provato quando si è cosparso di benzina e si è dato alle fiamme.
Orfano di padre, abbandonato insieme alle sorelle in orfanotrofio, ne fugge qualche tempo dopo per ritornare nella sua vecchia casa a Sidi Bouzid, nel quartiere di Citi Nur.
Avrebbe voluto laurearsi ma è costretto per ben due volte ad abbandonare gli studi perché non ha la possibilità di pagarli.
Riesce ad avere una licenza per il commercio ambulante di verdura ma  gli verrà ritirata nel 2009.
Mohammed avverte questa cosa come una profonda ingiustizia, e inizia a scrivere lettere di protesta alle autorità locali, senza ricevere risposta.

Un suo amico ci dice, e ci mostra la fotocopia di un una lettera in arabo, che scrive persino a Ben Ali in persona, ma tutto si rivela inutile.
Continua ad andare al mercato, anche senza licenza, vendere quel poco di verdura è l’unica fonte di sostentamento per lui e le sorelle.
Una mattina, i vigili del posto, chiedono a Mohamed la licenza per il commercio.
Non potendola esibire, le guardie gli confiscano la bilancia.
Il giovane si ribella e viene picchiato nella piazza del mercato e quindi arrestato. Viene portato alla stazione di polizia.
In seguito viene rilasciato ma la bilancia e il banco di vendita gli vengono trattenuti.
Senza quelli non può lavorare, allora lui va dal governatore della città per protestare, ma la sua protesta viene di nuovo repressa con la forza e viene cacciato senza che gli siano restituite le sue cose.

Questa è la molla che fa scattare in Mohamed la follia. Torna sulla piazza del mercato, si cosparge di benzina e si dà fuoco.
Un gesto estremo, dettato dalla disperazione, di cui le immagini terribili vengono immortalate.
E la notizia corre di bocca in bocca, il passa parola è immediato e amplificato dai social network, dalla televisione, dai giornali.
In poche ore fa il giro del mondo.
Il giovane ambulante di Sidi Bouzid diventa subito l’icona di una rivolta che esplode immediatamente nei centri vicini e che dilaga velocemente nelle principali città della Tunisia.
Ma non si ferma ai confini del paese, come tutte le rivolte è contagiosa e si propaga oltre alle frontiere scatenando la più grande ondata di proteste che la storia del medio oriente ricordi.

Nella piazza che abbiamo visitato, ci sono ancora i segni del fuoco che ha ucciso Mohamed Bouazizi.
Un’impronta nera, al centro di un incrocio tra la piazza e la strada che ora è stata intitolata a suo nome.
Nelle piastrelle rosse e bianche dei marciapiedi circostanti sono impresse migliaia di impronte dello stesso colore, i segni lasciati dalle centinaia di persone che, scese in quel luogo per manifestare, hanno calpestato il miscuglio di abiti e pelle bruciata di Mohamed e lo hanno disperso per tutta l’area intorno.

E’ impressionante vedere come in ogni piccolo spazio della piazza sia rimasta indelebilmente impressa la cenere del fuoco che ha avvolto il corpo del ragazzo.  
Forse sono state proprio quelle impronte, intrise della disperazione del giovane Tunisino, che hanno contribuito a diffondere le rivolte, in ogni luogo dove esse sono arrivate, lasciando una scia ben più marcata delle semplici parole.
Quante di quelle scarpe, che hanno calpestato quel tragico luogo, portatrici del seme della rivolta, stanno ora trasportando le ceneri in altri paesi e quante ancora stanno attraversando il mare alla volta dell’Italia?