Analisi indiziaria di un omicidio mirato
L’assassinio di Vittorio Arrigoni non è derubricabile — come certa stampa italiana, sulla scia di quella israeliana, cerca di far credere — come un’azione di ordinaria follia di qualche gruppo jihadista salafita. Crediamo poco, dato il contesto in cui questo omicidio è avvenuto, alla tesi di una “cellula impazzita”. Non a caso si tirano in ballo “follia” e “impazzimento”.
Si ricorre a questi argomenti perché in effetti, anche al netto del settarismo fanatico di certo salafismo jihadista, i conti non tornano. Lo pseudo-sequestro infatti, non danneggia solo HAMAS, non danneggia solo la solidarietà internazionale con Gaza e il popolo palestinese. Essa danneggia anzitutto proprio le minoranze salafite combattenti, anzitutto tra i palestinesi. Quel minimo di credibilità che esse avevano guadagnato in questi ultimi due anni criticando HAMAS per la sua decisione di rispettare una tregua con Israele, quest’azione trucida l’hanno volatilizzata in un baleno.
“Pazzi” quindi, questi presunti salafiti, a compiere un’azione che si è risolta in un vero e proprio suicidio.
Ovviamente i “pazzi” esistono, ma esistono anche gli apparati del Mossad e dello Shin Bet israeliani i quali, senza farsi scrupolo alcuno, compiono e fanno compiere azioni di eliminazione mirata, firmandole o facendole attribuire alla bisogna. Dagli anni sessanta in poi, l’elenco è lungo.
Anche una “cellula impazzita”, nel caso avesse voluto sequestrare un occidentale, non avrebbe scelto colui che, nel bene o nel male (dal loro punto di vista) era l’icona della solidarietà al popolo palestinese. Vivono e lavorano, o fanno i pendolari a Gaza, decine e decine di cittadini europei, legati o meno all’Onu e alla sua chiacchierata rete di ONG. Perché proprio Arrigoni quindi?
Che rapimento è quello per cui l’ostaggio viene brutalmente malmenato e le cui immagini, prontamente montate, date in pasto ai media?
Che sequestro improbabile per scambio è mai quello in cui l’ostaggio viene ucciso prima ancora di avanzare la richiesta di scambio di prigionieri?
Che ambigua e raffazzonata rivendicazione quella per cui il motivo del rapimento sarebbe che la vittima diffondeva “i vizi occidentali”?
Che torbida azione quella che si giustifica con la richiesta di liberazione di un esponente salafita palestinese ma l’organizzazione di quest’ultimo smentisce immediatamente ogni responsabilità?
Che razza di “cellula impazzita” è quella che organizza un sequestro preparandosi ad un lungo braccio di ferro negoziale, ma la cui mente (giordana!) e gli esecutori materiali se la svignano subito lasciando l’ostaggio in mano a due adepti sprovveduti?
Se si accettasse questa lettura l’omicidio di Arrigoni, apparirebbe sotto ben altra luce. Ma se solo si invertisse il punto di osservazione e si guardasse la tragedia con gli occhi dei sionisti, per quanto crudele e cinico ciò possa sembrare, l’assassinio di Arrigoni è una delle azioni più brillanti e diaboliche compiute nell’ultimo periodo dagli uffici dei servizi segreti israeliani deputati alle eliminazioni mirate.
Che cosa mostrerebbe infatti l’omicidio di Arrigoni? E’ sufficiente leggere la stampa mainstream internazionale. Gaza è un covo di terroristi pazzi. HAMAS non controlla la situazione. Di più, essendo che almeno due dei sequestratori vengono dalle fila di HAMAS (notizia guarda caso prontamente diffusa dai rivali di al-Fatah), ergo, HAMAS è infiltrata dai “qaedisti”. Che bel quadretto e che bel servizio questi “salafiti pazzi” avrebbero fatto al governo israeliano, che appunto cerca ogni motivo per evitare un negoziato formale col governo di Gaza e mantenere la Striscia sotto assedio!
Esce poi fuori che la mente del sequestro, per stessa ammissione dei due “balordi” catturati, sarebbe un giordano, il prontamente dileguatosi Abdel Rahman Mohammed al-Barizat, nome di battaglia Mohammed Hassan. HAMAS ha chiuso i valichi perché sospetta che sia ancora in zona e cerchi di fuggire passando dall’Egitto. Se, come chi scrive sospetta, si tratta di un agente provocatore al soldo degli israeliani, egli non lo si arresterà mai, dato che Mossad o Shin Bet lo avranno messo al sicuro proteggendogli la fuga notturna attraverso un qualche punto del confine tra Gaza e Israele.
Ma l’eliminazione mirata di Arrigoni potrebbe avere una supplementare ma non meno importante chiave di lettura. Una chiave geopolitica. L’omicidio “viene a fagiolo”, alla porte della partenza della Freedom Flotilla 2, questa volta più massiccia della precedente, come si ricorderà finita nel sangue, a causa di un attacco a mano armata che si concluse con un gravissimo autogol per Israele.
Di qui il dilemma per i sionisti: come fermare la Freedom Flotilla questa volta? Come impedire la sua partenza e l’eventuale violazione dell’assedio di Gaza? Con una nuova aggressione che questa volta potrebbe diventare una strage? Ipotesi altamente improbabile. Occorre una soluzione politica, anzi, geopolitica. Dato che la Turchia è il solo paese che sponsorizza di fatto la FF2, è proprio sulla Turchia che Israele deve fare ulteriori pressioni. Per quanto possa sembrare diabolico l’assassinio di Arrigoni potrebbe spiegarsi in questa luce.
Con quest’omicidio mirato Israele non ha solo lanciato un segnale terrorista a tutto il vasto movimento europeo di solidarietà, non ha soltanto drammatizzato la situazione e fatto calare una cappa plumbea sulla flottiglia, ha lanciato un segnale potente ad Ankara.
L’affaire Arrigoni va infatti inquadrato nella modificata situazione mediorientale, alla luce delle rivolte popolari. Non è un mistero che Israele è in fortissima apprensione, visto che la caduta delle diverse satrapie arabe (che i sionisti hanno infatti stigmatizzato, non esitando a criticare l’approccio della Casa Bianca) conduce secondo Israele al rafforzamento dell’Iran (di cui HAMAS è alleata) e all’avvento al potere di governi decisamente ostili.
In questo quadro la Turchia, recentemente avvicinatasi a Tehran e che dopo “Piombo fuso” e la strage sulla Mavi Marmara ha praticamente rotto ogni legame con Tel Aviv e di converso rafforzato i propri legami con HAMAS, è un attore cruciale della complessa partita geopolitica mediorientale, di cui la vicenda della FF2 è, da questo angolo visuale, solo un aspetto.
Israele, se vuole uscire dall’angolo in cui si è cacciata e le rivolte l’hanno cacciata, deve anzitutto rivedere la sua posizione dura verso Ankara e fare, come suggeriscono gli USA, un passo indietro e riconquistare la Turchia al tradizionale posizionamento filo-israeliano. Come evitare, dunque, che la vicenda della FF2 diventi devastante? Premendo sulla Turchia affinché cessi di sponsorizzare la FF2. Molte e allettanti possono essere le offerte che Israele, con alle spalle l’appoggio USA, NATO ed europee, può avanzare ad Ankara. Alla fin fine Erdogan è un capo di governo e di stato, non un esponente di un movimento antimperialista, e solo degli stolti potrebbero stupirsi se cedesse improvvisamente a pressioni di tale portata.
Carlo Panella è un giornalista famigerato per le sue posizioni sioniste oltranziste. E’ stato nell’ultimo decennio una punta di lancia dell’offensiva islamofoba. Ne sappiamo qualcosa noi del Campo, spesso vittime delle sue violente invettive.
Ecco quanto scriveva su IL FOGLIO del 7 aprile:
«La prima opportunità per Israele è quella di capovolgere la grave crisi che si è aperta – non soltanto per sua responsabilità, ma anche per sua responsabilità – con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. E’ infatti imperativo che Israele dismetta la sua non intelligente “faccia dell’armi” nei confronti di Ankara e che offra piuttosto una prospettiva “Westfalia”. Se Gerusalemme smettesse di tenere troppo orgogliosamente il punto sulla questione della Mavi Marmara, la nave che voleva violare l’embargo su Gaza e che è stata fermata con un blitz militare di Israele l’anno scorso – un esempio di disastrosa incompetenza militare, pur con ragione piena sul punto politico; se comprendesse che è suo interesse concordare con Ankara tempi e modi di una nuova sistemazione delle aree di interesse regionali; se ricordasse che il “sogno” turco non è affatto distruggere Israele, ma tornare a esercitare egemonia (soprattutto economica) sulla Siria, “perla” del dominio ottomano, Gerusalemme potrebbe tornare a quella sostanziale alleanza con lo stesso Erdogan che si era addirittura rafforzata dal 2002 sino all’operazione “Piombo fuso” a Gaza del 2009 (nel 2003 è stata la flotta turca a proteggere Israele sulle sue coste per evitare eventuali rappresaglie di Saddam Hussein attaccato dagli Stati Uniti). L’alleanza si era rafforzata anche con forniture militari incrociate (addirittura con grandi manovre militari della Nato congiunte) e con la collaborazione fra servizi segreti. L’alleanza oggi si è incrinata a fronte delle avventuristiche aperture di Erdogan a Hamas, che però possono essere disinnescate con un tavolo di trattative in cui Gerusalemme discuta con il premier turco – senza alcuna perdita di sovranità – dell’equilibrio tra le proprie indubbie ragioni di sicurezza e le altrettanto indubbie esigenze umanitarie che concernono Gaza (che Israele sottovaluta con troppo orgoglio).
Erdogan è oggi nella posizione di soppiantare gli sterili egiziani Omar Suleiman e Hosni Mubarak nella triangolazione con il leader dell’Anp, Abu Mazen. Certo, la sua posizione risente delle sue origini islamiste e le sue aperture di credito all’Iran sono sospette, ma Erdogan non è un dittatore, è il leader democratico di un paese democratico. Israele può offrire alle legittime aspirazioni di egemonia regionale di Ankara ben più di quanto non offra la spregiudicata triangolazione con Teheran sul nucleare (in compagnia del Brasile).
Israele può dunque sparigliare, riconoscendo alla Turchia un ruolo di supplenza a un Egitto catatonico. Persino il presidente americano, Barack Obama, e il segretario di stato, Hillary Clinton, lo possono capire. E’ l’unica possibilità, peraltro, per evitare di dovere agire in difensiva, a fronte di quella proclamazione unilaterale di indipendenza della Palestina che un disperato Abu Mazen si prepara a giocare e che Gerusalemme può contrastare soltanto a livello di trattati cartacei».
Se provassimo ad inquadrare l’assassinio di Arrigoni in questa cornice, capiremmo forse lo scopo reale dei suoi mandanti. Israele manda a dire, anzitutto ai suoi alleati, che agisce, che non sta sulla difensiva, che è pronta a tutto pur di fermare l’affronto spettacolare della FF2. E’ un monito ai paesi da cui partiranno le imbarcazioni, anzitutto alla Turchia, per obbligarla a venire a patti o magari per intavolare una trattativa per spuntare gli artigli alla Missione e renderla politicamente innocua.
E ove Ankara non si decida a fare un passo indietro, il cadavere di Arrigoni (che guarda caso stava per uscire da Gaza proprio per unirsi alla flottiglia) contiene in codice il messaggio israeliano e quale sarà la sua risposta: “a Gaza non si passa, e ove si passasse saremo noi a decidere chi e come”. Toglietevi dalla testa che noi la piegheremo.