Ad un mese dall’attacco occidentale la situazione resta confusa. Allo stallo sul terreno si somma l’incertezza sugli obiettivi degli aggressori: vogliono controllare la Libia, ma non sanno ancora come

Tutto ebbe inizio la sera del 15 febbraio scorso, quando a Bengasi, sull’onda delle rivolte che nel frattempo avevano portato alla cacciata di Mubarak e Ben Alì e che si erano estese in altri paesi, una manifestazione di protesta venne violentemente attaccata dalle forze di sicurezza all’ordine del regime di Gheddafi.

Ci furono diverse vittime, e la rivolta riprese in occasione dei funerali dei primi giovani caduti, che il regime tentò, prima di impedire e poi attaccò con durezza. Iniziata dai giovani la sommossa venne subito abbracciata dal resto della popolazione, dando vita a quella che sarà una vera e propria insurrezione popolare. Dopo pochi giorni Bengasi era liberata e la rivolta si estese a diverse città della Libia, Tripoli compresa.

Alcuni inguaribili complottisti hanno sostenuto che quella sollevazione fosse stata istigata dall’occidente imperialista e dunque, ancor prima che l’ONU desse luce verde all’intervento delle forze NATO, hanno sostenuto il governo di Tripoli e il suo diritto di schiacciarla. Un soccorso provvidenziale quello della NATO, visto che i ribelli, dopo due settimane erano in rotta su tutti i fronti e la stessa Bengasi stava per cadere sotto l’attacco delle forze lealiste. A chi abbia seguito le alterne vicende della lotta in corso in Libia non sarà sfuggito il principale fattore: quello della penosa impreparazione degli insorti, che sono dovuti scappare a più riprese davanti agli affondi delle forze militari, per nulla invincibili, fedeli a Gheddafi. Se davvero la rivolta di Bengasi fosse stata istigata dagli occidentali, se essi davvero pensavano che i ribelli sarebbero riusciti a conquistare Tripoli, beh, allora, se ne dovrebbe dedurre che essi hanno completamente sbagliato i loro piani, che hanno commesso un errore clamoroso.

Le cose sono forse più semplici, come altre volte abbiamo tentato di spiegare. Gli occidentali davanti ad una rivolta spontanea che puntava a rovesciare il “Figliol prodigo” Gheddafi, non senza esitazioni, si sono decisi ad intervenire, ma in una maniera obliqua e tutto sommato morbida, non per dare un colpo risolutivo ai lealisti, ma per evitare la disfatta dell’Armata Brancaleone degli insorti, ovvero per stabilire un equilibrio sul campo affinché si desse forza ad una soluzione negoziale. E’ infatti evidente che tutti i paesi NATO, USA in testa, hanno prima calmato l’esagitato Sarkozy e poi, dopo alcuni giorni di bombardamenti, hanno ridotto deliberatamente la loro potenza di fuoco. Dosando poi abilmente gli attacchi, allo scopo di impedire ai lealisti una schiacciante e fulminea vittoria e la disfatta dei rivoltosi. E’ in questa luce che si spiega come mai, due settimane fa, gli americani abbiano cessato i bombardamenti, e gli italiani, come al solito indispensabile portaerei e retroterra logistico della NATO, si siano rifiutati di dare manforte ai francesi.

Un’aggressione imperialista certo, ma neanche lontanamente paragonabile a quelle recenti contro la Jugoslavia, l’Iraq e l’Afghanistan. E infatti, nel bailamme in seno alla NATO, tra i dissidi su chi dovesse avere il comando, una cosa era chiara sin dall’inizio. Che non ci sarebbe stato alcun invio di truppe di terra. Per paura delle poche decine di migliaia di combattenti lealisti? Ovvio che no. La risposta è tutta politica: a parte Parigi, Londra e certi ambienti neocon statunitensi, tutti gli altri vogliono una soluzione negoziata e politica del conflitto, ovvero vogliono sì l’uscita di scena di Gheddafi e dei suoi accoliti, ma non spazzare via il suo regime, né annientare la rete dei clan e delle tribù che lo sostengono. Evitare un esito somalo, evitare un’anarchia al centro del Mediterraneo, spingere i contendenti ad un accordo per assicurare il flusso del petrolio e impedire un esodo biblico di migranti.

Esito per nulla assicurato, poiché non solo Gheddafi tiene duro, ma perché i ribelli stanno mostrando il totale fallimento come combattenti. Da qui la decisione dei paesi Nato di aumentare la pressione militare. Mentre sono in corso da settimane trattative per garantire a Gheddafi un’onorevole uscita di scena, le potenze occidentali si danno da fare per dare manforte ai bengasini. Ma senza esagerare. E’ di ieri la notizia che Obama ha autorizzato l’invio di droni (poca cosa se si pensa al potenziale offensivo che gli USA hanno davanti alle coste libiche) mentre Francia, Regno Unito e Italia invieranno dieci istruttori militari a testa a Bengasi, per dare agli smandrappati insorti un minimo di addestramento e di cognizione di come si combatte una guerra.

Resta tuttavia che la NATO non darà armi letali ai nemici di Gheddafi (mentre quest’ultimo sembra riuscito ad assicurarsi un flusso costante di rifornimenti). Un altro fatto che dimostra quanto poco determinati siano i paesi NATO a ottenere una vera svolta del conflitto. Temendo che possa diventare una cosa seria, che resti quel che è: una guerra minore dell’imperialismo, per controllare gli sviluppi bellici senza avere ancora alcuna certezza su come controllare la Libia.