Perché Israele ha tanta paura della flottiglia di solidarietà con Gaza assediata?
La notizia è di quelle che possono lasciare increduli. Il tentativo israeliano di bloccare la Freedom Flotilla 2 è approdato nell’aula del Consiglio di sicurezza (Cds) dell’ONU. Come hanno riferito diversi organi di informazione, ma non la “grande stampa” che ha preferito silenziare la cosa, trovandola forse un po’ imbarazzante, l’inverosimile è accaduto giovedì scorso. In quella sede, l’ambasciatore israeliano all’Onu – il rappresentante cioè di quello stato che ha assaltato un anno fa, per giunta in acque internazionali, la Freedom Flotilla 1, provocando la morte di 9 persone ed il ferimento di molte altre – ha potuto tranquillamente sciorinare le sue mostruosità. Il signor Meron Reubon, così si chiama, è arrivato a sostenere che «molti partecipanti hanno rilasciato dichiarazioni inquietanti esprimendo la loro volontà a diventare martiri».
Se le assurdità ed i pretesti di questo rappresentante dello stato sionista non hanno bisogno di commenti, ancora più grave l’atteggiamento assunto dagli ambasciatori di Germania e Stati Uniti, che hanno spalleggiato la pretesa israeliana di fermare le navi della solidarietà con Gaza assediata. Il rappresentante di Berlino all’ONU, Peter Wittig, ha detto che la Flottiglia potrebbe «contribuire ad un’escalation della tensione nella regione», mentre l’americana Susan Rice ha affermato che «esistono altri mezzi per consegnare gli aiuti». Già, peccato che sia l’assediante a decidere cosa far arrivare ai prigionieri del lager di Gaza…
Ma il piatto forte, arrogantemente esibito dall’ambasciatore israeliano, è squisitamente politico. Citiamo dal Manifesto: «L’ambasciatore israeliano Reubon ha sottolineato che alcuni dei gruppi e degli individui che faranno parte della Flottiglia “hanno molti legami con Hamas e altre organizzazioni terroristiche”. Ancora una volta il più classico dei rovesciamenti della realtà: chi governa legittimamente Gaza, in base alle elezioni del 2006, è “terrorista”; chi assedia illegalmente ed in maniera disumana Gaza, chi la bombarda quotidianamente non solo non lo è, ma ha perfino il potere di decidere chi è “terrorista” e chi no.
E’ una mostruosità che deve finire. E la Freedom Flotilla prenderà il mare anche per questo. A Gaza non si consuma soltanto un crimine umanitario, ma anche un crimine politico contro i diritti più elementari di un intero popolo. Un popolo al quale non si riconosce il diritto ad un proprio stato, a vivere sulla propria terra, ad avere una vita normale; non gli si riconosce neppure il diritto di scegliersi liberamente i propri governanti.
Ieri migliaia di persone hanno reso omaggio a Vittorio Arrigoni, che della resistenza di Gaza era diventato una bandiera. E’ anche in suo nome che ci imbarcheremo alla volta della Striscia con la Freedom Flotilla 2, una missione di solidarietà internazionalista che vuole contribuire con forza alla fine di un assedio genocida che in questi anni è diventato il simbolo dell’oppressione dei popoli da parte dell’imperialismo e del sionismo.
Non sappiamo dove voglia arrivare l’Onu, quella stessa Onu che ha reso possibile – non certo legittima – l’aggressione alla Libia. Sappiamo che Israele teme molto questa iniziativa. Già qualche settimana fa Netanyahu aveva chiesto a Ban Ki-moon di fermare la Flottiglia con ogni mezzo, mentre un’analoga richiesta il governo israeliano l’aveva fatta ai governi dei paesi da cui partiranno navi ed attivisti.
Il governo italiano, che in quanto a filo-sionismo non teme rivali, si è espresso nei giorni scorsi, affermando che intende lavorare «per impedire che una flotilla diretta a Gaza parta nelle prossime settimane», aggiungendo di «essere guidato dalla convinzione che la flotilla non sta lavorando per sostenere la pace nella nostra regione».
Tutte queste vicende dimostrano l’importanza della Freedom Flotilla 2. Senza niente togliere a nessuna delle altre preziosissime iniziative di solidarietà con Gaza di questi anni – iniziative di cui abbiamo sempre cercato di dare notizia nel migliore dei modi – il profilo della Freedom Flotilla ha un’altra rilevanza politica. Ciò dipende dal vasto schieramento promotore, dalle importanti adesioni raccolte, dal numero delle persone coinvolte. Ma dipende soprattutto dal dirompente valore simbolico della missione: rompere simbolicamente l’assedio affinché esso abbia concretamente fine il più presto possibile.
E’ con questa consapevolezza che andremo in piazza sabato 14 maggio: con il vento del sud delle rivolte arabe, con la Freedom Flotilla per la fine dell’assedio di Gaza.