Nei giorni scorsi le agenzie di tutto il mondo hanno battuto la sorprendente notizia: dopo anni di scontri durissimi i due principali partiti palestinesi, dopo negoziati tenuti segretissimi svoltisi in Egitto, hanno sottoscritto un accordo politico che li vincola a procedere assieme in vista delle elezioni presidenziali e legislative che si svolgeranno l’anno prossimo. La conseguenza immediata è che l’attuale governo presieduto dal primo ministro Fayyad sarà sostituito da un altro, cosiddetto “tecnico”, che sarà sostenuto sia da al-Fatah che da HAMAS, fermo restando che fino a nuove elezioni resteranno in piedi le due amministrazioni, quella di HAMAS a Gaza e quella di al-Fatah a Ramallah.
Accordo tattico o storica riconciliazione? Un semplice protocollo che stabilisce una road map per svolgere regolari elezioni e poi ognuno per la sua strada, o il primo passo per una vera e propria alleanza politica?
E’ presto per dare una risposta al quesito. Occorrerà attendere che vengano resi noti i dettagli (lo verranno nei prossimi giorni). Dalle indiscrezioni pare che l’accordo vada ben al di la dell’intesa sul percorso elettorale, e rappresenti una vera e propria svolta nella tormentata vicenda palestinese. A corroborare questa ipotesi è lo stesso quadro mediorientale, letteralmente terremotato dalle rivolte popolari, a partire da quelle tunisina ed egiziana. Fuori da questo quadro non sarebbero comprensibili né il negoziato né l’accordo. Due i fatti eclatanti che hanno avuto un impatto cruciale sulle vicende palestinesi: la caduta di Mubarak da una parte e, dall’altra, la crisi senza precedenti che conosce il regime baathista siriano.
L’Egitto di Mubarak non era soltanto il principale punto di appoggio di al-Fatah e dell’ANP di Abu Mazen, era al contempo il principale alleato regionale di Israele, quello che ad esempio assicurava che l’assedio di Gaza funzionasse anche dal lato egiziano. La caduta di Mubarak e la contestuale eventualità che alle prossime elezioni egiziane la Fratellanza musulmana sarà prima forza politica, hanno tolto ad al-Fatah il principale pilastro di sostegno, mettendo Abu Mazen in una posizione di estrema debolezza e precarietà.
D’altra parte, se gli eventi egiziani sembravano dare forza e respiro alla resistenza di Gaza, ciò che da un mese sta accadendo in Siria, paese che a sua volta era il principale sponsor regionale di HAMAS, ha posto quest’ultimo in una situazione difficilissima. Le voci, per ora smentite, che il portavoce di HAMAS a Damasco, Khaled Meshal, sia in procinto di lasciare la Siria è il sintomo della probabile rottura tra il regime di Bashar e HAMAS. La ragione è alquanto semplice: la rivolta popolare in corso in Siria è animata principalmente dalla popolazione sunnita, ovvero dalla locale Fratellanza musulmana. Se il libanese Hezbollah, che non dimentichiamolo è anche un movimento religioso shiita, ha espresso solidarietà al regime di Bashar (che rappresenta la minoranza alawita, considerata una costola dello shiismo duodecimano persiano), HAMAS non ha fatto altrettanto. E come poteva farlo se la rivolta in Siria è promossa dai suoi cugini della Fratellanza musulmana?
E’ dunque lo sconquasso degli equilibri geopolitici mediorientali, anzitutto la caduta di Mubarak e l’instabilità esplosiva in Siria, che hanno spinto i due principali partiti palestinesi a cessare le ostilità per non restare imbottigliati. Da questo punto di vista l’accordo non è solo figlio di uno stato di necessità, ma potrebbe essere foriero di positivi sviluppi, potrebbe cioè dare respiro alla resistenza palestinese. Non dimentichiamo che a breve l’ANP potrebbe dichiarare unilateralmente, visto il fallimento totale delle trattative di pace con Israele (fallimento che è una decisiva concausa della decisione di Abu Mazen di avvicinarsi ad HAMAS), la nascita dello Stato indipendente di Palestina. Dichiarazione che a questo punto avrà senz’altro il lasciapassare della resistenza islamica.
Non è un caso che il governo sionista abbia subito condannato l’accordo minacciando di interrompere ogni negoziato con al-Fatah e abbia altresì “messo in guardia l’Egitto” dai pericoli per la pace regionale che l’intesa palestinese porterebbe con sé. Se l’ANP da Ramallah ha risposto duramente alle minacce sioniste, non meno netta è stata la risposta egiziana: “Non intromettetevi negli affari interni egiziani”. Il nuovo governo egiziano, che certo non è antimperialista, come conseguenza della pace siglata tra HAMAS e al-Fatah, ha proclamato che aprirà il valico di Rafah, ponendo quindi fine alla cooperazione con Israele nell’assedio di Gaza.
Insomma, mai come adesso vale l’adagio di Mao: “C’è disordine sotto il cielo, la situazione è eccellente”.