Inchiesta sui comunisti siriani e le opposizioni al regime di Assad
L’ossessione cospirazionista
Coloro che in Italia liquidano il movimento di protesta in Siria come “complotto imperialista e sionista”, così avallando e giustificando la brutale repressione del regime, si sono fatti forti diffondendo il «Comunicato sulla riunione del Comitato Centrale del Partito Comunista Siriano», da questo adottato il 21 aprile, a ben un mese di distanza dall’inizio (15 marzo) della rivolta nella città di Daraa, poi estesasi a tutto il paese.
Tanti compagni, di sincera fede antimperialista, si son così messi l’anima in pace, hanno smesso di interrogarsi, hanno spento l’interruttore della ragione. “Se lo dicono pure i comunisti siriani” … allora “è vero che le rivolte sono una cospirazione di USA e Israele, che a creare il caos sono piccoli gruppi terroristi prezzolati, che i numeri dei cittadini ammazzati dalle forze di sicurezza siriane sono sballati, che le immagini che circolano sono manipolate”.
In verità il Comunicato dei comunisti siriani non dice affatto che la rivolta è un complotto. Sentiamo: «Il Comitato Centrale ha fermato le manifestazioni e disordini che hanno avuto luogo in alcune città in Siria, in particolare gli sventurati incidenti nella città di Daraa. Il 18 marzo, vi è stato uno scontro tra le forze di sicurezza e i cittadini che avanzavano slogan e richieste. In cima a queste richieste vi era il rilascio di alcuni ragazzi arrestati sotto la legge marziale e lo stato d’emergenza. A seguito del ricorso ad una forza eccessiva da parte delle autorità di sicurezza per disperdere la folla, vi sono state molte vittime e alcuni morti, creando un vasto malcontento aggravando così lo stato di grave tensione. I media ufficiali hanno riportate notizie circa la formazione di una commissione d’inchiesta su tali fatti e i giovani detenuti sono stati rilasciati».
Esso riconosce così che la rivolta a Daraa è stata spontanea e ha avuto un carattere popolare, che le forze di polizia hanno risposto con una brutalità esagerata. Più oltre sostiene che le cause della protesta erano come minimo comprensibili a causa delle politiche liberiste del governo, dell’ingiustizia sociale, della povertà crescente. Poi il Comunicato mette in guardia dal tentativo degli imperialisti e dei sionisti di speculare sulla rivolta, di metterci il cappello sopra, al fine di abbattere il “legittimo” e “antimperialista” regime baathista di Bashar al-Assad: «La cospirazione imperialista che con gli stessi fini si scaglia contro la Siria ha molte facce, tanti elementi dei regimi arabi reazionari con i loro mezzi di comunicazione in stretto rapporto con l’imperialismo. La Siria è uno dei maggiori ostacoli all’interno del mondo arabo al progetto di un nuovo Grande Medio Oriente. E’ noto il ruolo specifico della Siria nel sostegno dell’antimperialismo e dei movimenti di resistenza anti-sionista nella regione».
Ragionamenti anche legittimi, in alcuni tratti giusti, che non mettono tuttavia in discussione che la rivolta siriana scoppiata il 15 marzo in una delle regioni più povere del paese, che ha visto mobilitarsi in prima fila giovani e tanta povera gente, non solo era spontanea, ma assolutamente legittima, tanto più che il governo, in mano ad una cricca di borghesi privi scrupoli, ha risposto in maniera scellerata, con inaudita violenza. Il fatto che il regime sia nemico di Israele, che sostenga alcune resistenze (non dimentichiamo che Damasco sostenne la guerra all’Iraq del 1992 e chiuse tutti e due gli occhi davanti alla seconda invasione del 2003), non può assolverlo dalla sua politica antipopolare.
I comunisti siriani
Quello che chi ha diffuso il Comunicato in questione non ha detto è di quali comunisti siriani si stia parlando. Di partiti comunisti ne esistono in Siria almeno quattro o cinque. Quello in questione, il Partito Comunista Siriano (frazione Khalid Bakdash), che per capirci è stato storicamente staliniano e filo-sovietico, è uno zelante alleato della famiglia al-Assad e fa parte del Fronte Nazionale Progressista, guidato appunto dai baathisti. Il PCS (frazione Bakdash) fa parte di questo Fronte, ovvero è del tutto interno al regime, sin dalla sua fondazione, nel 1972. Condizione per farne parte, e per godere di tutti i diritti, i doveri e i privilegi del caso, è l’accettazione dell’Art. 8 della Costituzione siriana (promulgata proprio nel 1972) che così recita: «Il Partito Arabo Socialista Siriano guida la società e lo stato».
I comunisti siriani hanno un lunga e tormentata storia. Il partito venne fondato nel 1924 a Beirut. Essi vennero duramente perseguitati ad iniziare dal 1958, poiché si opposero alla alleanza con Nasser e alla fondazione della Repubblica Araba Unita. La sconfitta araba del 1967 che causò l’implosione del nasserismo, portò a Damasco all’avvento della frazione baathista di al-Assad, la quale rilegalizzò i comunisti e ne liberò i prigionieri.
Da allora la frazione Khalid Bakdash è stata costantemente a fianco del regime, anche quando nel 1976, l’esercito siriano intervenne in Libano dalla parte della destra fascista maronita contro i palestinesi e il fronte della sinistra libanese. Una posizione di codismo scandaloso, che infatti causò la prima scissione del partito. L’ala sinistra, guidata da Riyad al-Turk, si scisse, dando vita al Partito Comunista Siriano (Ufficio Politico).
Nel corso degli anni ’80 (soprattutto dopo l’insurrezione islamista della città di Hama del febbraio 1982, quando la repressione del regime fece un massacro di oltre diecimila morti) la sinistra siriana dovette subire una dura repressione da parte del regime baathista, che accentuò i suoi tratti di stato di polizia. Come vedremo più avanti, vittime di questa repressione, oltre alla Fratellanza Musulmana, furono anzitutto i comunisti rivoluzionari, in particolare il Partito d’Azione Comunista, i cui membri vennero arrestati a centinaia.
Malgrado la frazione Bakdash reggesse ancora il moccolo al regime, anch’essa dovette subire i colpi della repressione: il suo giornale Nidhal ash-Sha’b venne chiuso, il partito praticamente messo al bando. Nel 1986, anche grazie alle pressioni sovietiche, al-Assad riaccettò la frazione di Bakdash in seno al regime, pur continuando la sua politica interdittiva e repressiva verso la sinistra rivoluzionaria.
Nel 1986 la frazione di Bakdash subì una nuova, pesante scissione. Erano i tempi di Gorbaciov, della Perestrojka e della Glasnost. Bakdash respinse il gorbaciovismo, mentre tutta una serie di altri dirigenti e intellettuali, guidati da Yusuf Faisal, sostennero la Perestrojka e l’idea di un socialismo democratico. Nacque così il Partito Comunista Siriano (Unificato). Faisal (conosciuto nel paese come il “Mandela siriano”) perorava in verità la democratizzazione del regime, condannando i suoi tratti autoritari. Quando ancora era membro dello stesso partito di Bakdash, egli venne duramente criticato dai suoi avversari interni per non avere condannato la Fratellanza: mentre Bakdash di fatto giustificò come necessario il massacro di Hama del 1982, Faisal lo deplorò, definendo al-Assad un dittatore. Faisal venne arrestato nel settembre del 2001, subito dopo che si chiuse il breve periodo di apertura democratica detto della “Primavera di Damasco”.
Sia la frazione di Khalid Bakdash (che morì nel 1995 consegnando il testimone alla vedova Wisal Farha Bakdash) che quella di Faisal sono oggi interni al regime, facendo entrambi parte del Fronte Nazionale Progressista guidato dal Baath.
Un altro raggruppamento comunista, anch’esso emerso da una scissione dallo staliniano partito di Bakdash è quello dei Comunisti Uniti. Non fa parte del Fronte Nazionale Progressista al potere, ma è legale poiché dà un sostegno critico al governo baathista.
Fin qui i tre partiti comunisti che in Siria possono muoversi legalmente, tollerati dal regime in quanto da essi, direttamente o indirettamente sostenuto.
Ma ci sono altri tre partiti comunisti in aperta opposizione al regime siriano, quindi illegali ma non per questo meno antimperialisti e che hanno apertamente sostenuto la rivolta scoppiata il 15 marzo.
Si tratta del Partito Democratico Popolare Siriano (il nuovo nome della frazione di Riyad al-Turk (vedi sopra), del Partito Operaio Rivoluzionario Arabo guidato da Tariq Abu al-Hassan, e del più noto Partito d’Azione Comunista (PAC) di Fateh Jamous.
Quest’ultimo nacque nel 1975, in aperto dissenso col partito filo-sovietico e pro-regime di Khalid Bakdash. Si tratta di una formazione rivoluzionaria, vicina ideologicamente all’estrema sinistra occidentale, sorta sull’onda della radicalizzazione giovanile degli anni ’60. Per questo il PAC sin dagli albori dovette subire una durissima repressione da parte del regime siriano. Il pugno di ferro del governo si abbatté sul PAC soprattutto dopo il massacro di Hama del 1982. Così che, a metà anni ottanta erano circa seicento i dirigenti e i militanti che in condizioni estreme marcivano in galera, prigionieri politici. Nonostante la condizione di clandestinità il PAC ha rappresentato, certo dopo la Fratellanza, una delle principali spine nel fianco del regime.
Che il PAC non fosse stato distrutto dalla durissima repressione, lo si vedrà dopo il 1998, quando il regime allentò la sua presa. Il PAC giocò un ruolo di primo piano nella cosiddetta “primavera di Damasco” che seguì alle timide aperture del regime dopo la scomparsa di Hafez al-Hassad nel giugno del 2000. Ma questa “primavera” finì presto, nel 2001 il governo, spaventato dalla vitalità delle opposizioni, ritornò alla politica repressiva e degli arresti in massa. Il PAC subì un durissimo colpo a causa di una nuova massiccia ondata di arresti del marzo 2006, che culminò, il primo maggio, in quello del suo leader più importante Fateh Jamous. La cosa ebbe in Medio oriente un’ampia risonanza e per Jamous, come per gli altri oppositori incarcerati (tra cui decine di attivisti dei diritti umani), venne lanciato un Appello sottoscritto da centinaia di intellettuali e cittadini.
Tranne il PAC i partiti di estrema sinistra, i quali svolgono un ruolo attivo nella rivolta in corso, anzitutto tra i giovani e gli studenti, come pure tra alcune minoranze nazionali, hanno dato recentememente vita al Fronte Nazionale Democratico. Ne fanno parte i nasseriani del Partito Democratico dell’Unione araba socialista, il Movimento Socialista Arabo, il Partito Baath democratico e socialista, e i comunisti del Partito Operaio Rivoluzionario Arabo e del Partito Democratico Popolare Siriano di Riyad al-Turk.
Le altre opposizioni al regime
Ma non c’è solo l’estrema sinistra nell’opposizione al regime. Esistono nel paese almeno una quarantina di organizzazioni politiche, della più diversa appartenenza ideologica, che chiedono di porre fine alla dittatura del Baath e pressoché tutte illegali.
Tra questi musulmani, nasseriani, correnti baathiste avversarie alla famiglia al-Assad, socialisti e socialdemocratici, liberali, comitati per i diritti umani, svariate forze delle minoranze nazionali (Curdi, assiri) o delle diverse comunità religiose. Alcuni di questi movimenti politici non nascondono le loro simpatie per l’Europa e gli USA, e non v’è dubbio che i loro dirigenti in esilio hanno contatti strettissimi con i governi imperialisti. Tra questi segnaliamo subito il Partito della Riforma della Siria di Farid Ghadry, che non a caso ha la sua centrale operativa a Washington e ha stretti legami con Sarkozy. Per i suoi legami con gli USA, questo partito, e detta dei siriani, non gode di alcuna influenza tra la popolazione.
Non deve stupire che malgrado la Casa Bianca abbia preso una posizione estremamente prudente al riguardo della crisi siriana (di fatto un condizionato appoggio al regime di Assad), essa guardi lontano e sottobanco, via questa o quella lobby, sostenga e foraggi alcuni degli oppositori siriani. Il 17 maggio scorso è stata diffusa la notizia che solo all’ultimo momento è stato cancellato a Vienna il previsto incontro tra “alcuni” esponenti dell’opposizione siriana e un alto esponente della diplomazia israeliana, Ayoob Kara.
Tanto basta per capire che nessuno sta a guardare ciò che accade in Siria, e che, certo, imperialisti e sionisti si preparano, non tanto a rovesciare subito il regime, quanto piuttosto all’eventualità che il paese precipiti nel caos o che il regime sia rimpiazzato da forze che potrebbero essere ancor più pericolose di quello attuale. Vogliamo chiamare tutto questo “cospirazione”? Chiamiamocelo pure, a patto di distinguere il grano dal loglio, e di non considerare la legittima protesta popolare, le centinaia di martiri e le migliaia di carcerati come burattini, come massa di manovra dell’imperialismo.
Ma veniamo alle opposizioni non comuniste.
In primo luogo c’è la Fratellanza musulmana la quale, non fosse che perché la maggioranza dei siriani non appartiene alla setta minoritaria e dominante degli alawiti, ma è di fede sunnita, gode di ampie simpatie, anzitutto tra le gente di umili condizioni. La Fratellanza in Siria, sulla scia di quella egiziana di Hassan al-Banna, nacque nel 1942, alla sua testa allora Mustafa Saibai. Il suo attuale leader è Riyadh Shafka.
Malgrado le spietate persecuzioni a cui è stata sottoposta dopo il massacro di Hama del 1982, la Fratellanza è di gran lunga la principale forza d’opposizione al regime baathista. Che i fratelli musulmani sunniti fossero un partito con una influenza di massa, lo si sapeva in Siria sin dagli anni ’50. Fino al 1962 essi sedevano in parlamento ed erano tollerati dal potere. Quando Hafez al-Hassad giunse al potere nel 1970, egli attuò una politica di discriminazione muscolosa verso la Fratellanza, fino al 1980 quando essa venne dichiarata fuorilegge e tutti coloro che fossero stati riconosciuti come suoi seguaci e simpatizzanti, passibili di condanna a morte. Dopo il massacro di Hama molti dirigenti della Fratellanza sono stati eliminati, e coloro che hanno potuto sono fuggiti all’estero, dove ancora oggi sono in esilio. Ciò malgrado sin dalla svolta del 2003, la Fratellanza abbia dichiarato di accettare la democrazia e di perseguire sì l’abbattimento del regime, ma attraverso i metodi della disobbedienza civile.
Agli inizi degli anni duemila la Fratellanza musulmana entrò a far parte del Fronte di Salvezza Nazionale. Questo Fronte, ancora oggi attivo (venne fondato da Abdul Halim Haddam, ex vice-presidente della Siria) raggruppa correnti moderate: nazionalisti, socialdemocratici e liberali, e invoca la nonviolenza e la disobbedienza civile come metodi per il cambiamento.
Nell’aprile del 2009, dopo l’attacco israeliano a Gaza, e dati i vincoli di solidarietà con HAMAS, la Fratellanza abbandonò questo fronte per trasmutare l’aperta opposizione al regime in una specie di non belligeranza.
Abbiamo poi il Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo della Siria. Si tratta questa volta, di una Alleanza che ha un notevole peso politico. Essa raggruppa correnti laiche e democratiche, e diversi intellettuali, anche di sinistra, di grande prestigio. Le sue origini risalgono al 2005, quando venne lanciata la cosiddetta “Dichiarazione di Damasco” , che accusava il governo di essere autoritario, totalitario e cricchista, e chiamava alla riforma graduale e pacifica del paese, ovvero ad una politica di opposizione ma di dialogo col regime baathista.
Questa breve inchiesta lascia fuori molti altri piccoli gruppi di opposizione i quali hanno una lunga storia alle spalle. Ad essi vanno poi aggiunti una dozzina di associazioni e forum giovanili sorti recentemente, sull’onda delle rivolte in Tunisia ed Egitto. Ci torneremo. Per adesso speriamo di aver fornito ai lettori elementi utili per farsi un giudizio sulla crisi che scuote la Siria.