Studenti, contadini e disoccupati la forza motrice della rivolta contro il regime

Presentiamo ai lettori un inedito intervento di Khaled Chatila, militante rivoluzionario ed esponente del Partito d’Azione Comunista siriano

Anzitutto: il movimento che ha avuto inizio il 15 marzo 2011 in Siria è sorto del tutto spontaneamente, come reazione a tutte le sofferenze subite dalle masse popolari, sofferenze fisiche, spirituali, nella vita di ogni giorno. Tali condizioni hanno creato una coscienza spontanea che certo non può crescere senza l’intervento di un partito politico che rappresenti la classe operaia e conduca le masse ad una comprensione materialista della situazione e che quindi sappia tradurre il tutto in un programma politico.

Io accuso l’intera sinistra siriana di essere, consapevolmente o inconsapevolmente, diventata parte integrante del sistema di potere. La sua posizione è quella di cercare di porre fine alla crisi attraverso un dialogo con il regime, che è anche la posizione del regime stesso. La sinistra siriana ha vissuto un’esistenza crepuscolare per otto anni, paralizzata e isolata dalle masse popolari. Ora essa diffonde volantini di solidarietà con il movimento, ma insiste nel sostenere il dialogo politico con il regime per realizzare una riforma graduale e pacifica.

Il movimento, che io chiamerei Movimento popolare per la rivoluzione siriana, iniziato nella città meridionale di Daraa quando due adolescenti sono stati arrestati per aver dipinto uno slogan su un muro, chiede piuttosto il rovesciamento del presidente Bashar al-Assad. Il principale slogan di ogni manifestazione è stato “Il popolo vuole il rovesciamento del regime!”.

Questo movimento è spontaneo, come le rivolte in Tunisia ed Egitto, con la differenza che, in Tunisia ad esempio, un’elite politica organizzata e le organizzazioni sindacali hanno preso parte fin dall’inizio alla rivolta, mentre in tutti e due i paesi hanno avuto un peso le organizzazioni della società civile e per i diritti umani internazionalmente collegate.

In Siria, i sindacati sono parte integrante degli apparati dello Stato (alle organizzazioni di sinistra come a tutte le altre è proibito lottare nei sindacati), e la repressione è stata molto più feroce. Ogni organizzazione siriana che abbia contatti all’estero via internet rischia il processo davanti ad un tribunale speciale e anni di carcere  per “intelligenza  con il nemico”. Correnti politiche pubbliche come l’egiziana Kifaya (Basta!), un movimento che ha influenzato gli intellettuali e anche i lavoratori di quel paese, non sono mai esistite in Siria dove, al contrario, intellettuali che avessero avuto un orientamento rivoluzionario hanno trascorso almeno 15 anni di carcere.

La drammatica situazione delle masse popolari

La rivolta non si è ancora estesa in tutto il paese e a tutta la società. Abbiamo una serie di insurrezioni periferiche disperse piuttosto che una rivoluzione centralizzata. I protagonisti della rivolta sono stati finora i giovani istruiti e quelli disoccupati in cerca di accesso alla modernità.
I lavoratori industriali vi partecipano a livello individuale, molte delle persone che scendono in strada vengono da quello che io chiamerei “sotto-proletariato”: disoccupati, cittadini senza un lavoro regolare, che campano alla giornata. Essi lavorano precariamente, un paio di giorni qui e un paio là, soprattutto fornendo servizi ai borghesi, come camerieri, facchini, portieri, ecc. Essi non hanno alcuna sicurezza sociale o altri benefici.

L’altra componente di questo movimento proviene dalla classe medio-bassa, soprattutto giovani laureati disoccupati. Circa il 20 per cento dei giovani laureati in Siria sono disoccupati. Non possono sposarsi perché devono vivere con i genitori, sia a causa della disoccupazione che per la grave carenza di alloggi.

Ragazzi e ragazze scendono insieme per le strade; la partecipazione delle donne è accolta favorevolmente. Si può vedere su Facebook quanto creativi sono, inventando nuovi metodi rivoluzionari in letteratura, nella comunicazione e nell’organizzazione. L’età media dei manifestanti è di circa 30 anni, mentre quella nei partiti politici e nei membri della società civile è probabilmente di circa 50.

Questi giovani non avanzano rivendicazioni sociali, pensano che la democrazia politica e libertà possano risolvere tutti i problemi che devono affrontare nella loro vita quotidiana. Il loro principale obiettivo specifico, oltre al rovesciamento di Assad, è quello di cambiare la Costituzione. In particolare, esse vogliono sbarazzarsi dell’articolo 8, che designa “il partito socialista arabo Baath”, come la guida dello Stato, insieme ad un non definito “Fronte nazionalista progressista”, ma che include i due partiti storici comunisti, e nasseriani e i partiti nazionalisti federati con il partito Baath, forze che non hanno più molta influenza.

Questo movimento non è stato ancora in grado di minacciare seriamente l’esistenza del regime. Come spiegherò, vi è un pericolo reale che potrebbe essere stroncato, o da un colpo di stato militare, che potrebbe sbarazzarsi di Assad, ma senza cambiare la struttura di potere, o da una guerra civile lungo linee etniche e religiose. Per mobilitare milioni di siriani, la rivolta dovrebbe avanzare non solo richieste di democrazia politica, ma anche rivendicazioni sociali, le sole che potrebbero ottenere un consenso molto ampio.

Il 25 per cento dei siriani, secondo dati delle Nazioni Unite, e il 50 per cento secondo l’economista d’opposizione Aref Dalila, vivono sotto la soglia di povertà. Sebbene l’economia siriana sia molto più forte di quella della Tunisia, le classi medie sono diventate una minoranza. L’accumulazione del capitale nelle mani di nuovi settori della borghesia con la privatizzazione delle imprese statali e la liberalizzazione dei mercati sotto Bashar e suo padre Hafez, hanno fratturato le classi medie. Una parte del ceto medio è stata in grado di accumulare capitale, mentre gli altri, che vivevano abbastanza bene, conoscono condizioni di vita del tutto simili a quelle della classe dei salariati che costituiscono la maggioranza della popolazione. Un dipendente della pubblica amministrazione o un ufficiale dell’esercito hanno bisogno di fare due o tre lavori lavori per soddisfare le esigenze della famiglia, che normalmente include alcuni membri disoccupati. Ad esempio, essi potrebbero insegnare di giorno e guidare un taxi di notte.

Il prezzo della carne e frutta è salito alle stelle. Ora i prezzi in Siria sono gli stessi che in Francia. Le persone che vivono col loro lavoro non mangiano carne da anni. Anche le fave che compongono il piatto nazionale sono diventate troppo costose per i lavoratori dipendenti. La gente mangia un sacco di ceci e soprattutto pane. Ravanelli. Olive. Cipolle. E pochi altri ortaggi, riso e bulgar (per il tabbouleh), che è il pasto base dei salariati e dei sotto-proletari.
A differenza di Egitto e Tunisia, poche persone in Siria, vivono di turismo. Agenti di sicurezza seguono i turisti stranieri in giro, facendo del turismo una cosa poco attraente, nonostante il paese abbia molti siti antichi.

La Siria potrebbe essere autosufficiente in agricoltura, ma non lo è. Come in Egitto, il grano e il cotone migliori vengono esportati e lo stato importa cotone di scarsa qualità e grano nero.
I contadini stanno con la rivolta perché la borghesia rurale e grandi proprietari terrieri sono alleati con il regime economicamente, anche se non necessariamente sul piano politico. La riforma agraria ha ridistribuito i fondi di proprietà feudale ai piccoli contadini, ma questi non possono ottenere l’aiuto di cui hanno bisogno, come il credito, i trattori e cooperative di acquisto. Essi sono costantemente minacciati, sia dalla siccità che dalla loro dipendenza dagli ex-feudatari sul piano del  credito. Spesso lavorano per gli ex-feudatari, come lavoratori salariati o come mezzadri o affittuari.

La prova della simpatia dei contadini per la rivoluzione è che la gente delle piccole città e delle  periferie delle grandi città è scesa in piazza molto prima di quella dei grandi centri urbani.
A Damasco e Aleppo, le due più grandi città del paese, dove sono concentrati i lavoratori industriali, le manifestazioni si sono limitate a un paio di facoltà universitarie, come ad esempio gli studenti di medicina e di scienze, che hanno fatto un sit-in nella capitale. Le camere di commercio e industria in queste due città hanno svolto un ruolo molto negativo.

Le manifestazioni più grandi sono stati in città come Daraa e in villaggi come Nawa e Zalkhab. Daraa è rimasta il punto focale principale. Si tratta di un bastione del movimento perché è un bastione della povertà. Le persone sono per lo più piccoli contadini o muratori. Durante l’intervento siriano in Libano, molti muratori andarono a lavorare nel settore delle costruzioni per la borghesia libanese e per i ricchi petrolieri del Golfo. Dal momento che la Siria è stata costretta a ritirarsi, i lavoratori siriani, in particolare i muratori di Daraa, son dovuti tornare a casa. Non c’è lavoro per loro in Siria, perché c’è poco da costruire. Così la situazione di questi muratori disoccupati ci aiuta a capire perché Daraa ha svolto il ruolo centrale che ha.


Contadini poveri

Daraa è la capitale della regione Hauran, dove molti villaggi sono in rivolta. Questa è una zona di grande produzione del frumento, ma la terra vulcanica e i contadini sono molto poveri. Il resto dei Siriani prendono in giro le persone  di questa regione,  grandi lavoratori ma stupidi, disposti a lavorare per niente. A causa della povertà, il livello di istruzione è molto basso. La gente deve andare a lavorare molto giovane. In genere, non sono molto rappresentati nel governo.

Molti dei contadini di questa regione provengono dalla zona curda nel nord-est. Quando la grande diga sul fiume Eufrate fu costruita, nel 1970, il governo li trasferì dando la terra migliore ai contadini arabi. Il regime ha cercato di costruire una “cintura araba” intorno alla diga per ridurre la possibilità di un movimento nazionalista curdo. Così molti dei piccoli contadini nel Hauran hanno sofferto due volte, una volta derubati e repressi dai cosiddetti nazionalisti arabi e poi sfruttati come contadini e muratori.

Ecco perché questa città è stata tra le prime a ribellarsi. E’ il fattore comune della povertà nella regione e l’abitudine ad una vita dura che ha reso la gente molto coraggiosa. La Siria conosce enormi disparità regionali. I ricchi vivono e spendono come in Francia. Ora le proteste si sono concentrate a Homs, vicino al confine libanese, e Baniyas, una città costiera settentrionale. Entrambe le città sono state circondati dai militari. Queste due città sono importanti perché sono collegate alle regioni a maggioranza sunnita e alla costa principalmente alawita. (Circa l’80 per cento dei siriani sono musulmani sunniti, il resto sono musulmani alawiti e cristiani)

La struttura di potere si basa sul clan alawita e in generale sull’etnia alawita, ma non esclusivamente. Gli alawiti dominano gli apparati del governo, dell’esercito e della sicurezza. Bashar Assad sta cercando di trasformare la situazione in una guerra civile tra i sunniti, alawiti e cristiani, e la sinistra dice che si deve sostenere il regime a causa di questo pericolo. Il regime e la sinistra che lo appoggia, sottolineano la minaccia di un intervento straniero in una situazione del genere. La verità è che  il movimento, molto chiaramente e consapevolmente, chiede l’unità siriana, questo anche nelle zone curde del nord-est.

Lo slogan “Dio, la Siria e Bashar, è tutto quello di cui abbiamo bisogno!” La rivolta lo  trasforma gridando: “Dio, la Siria e la libertà, è tutto quello che abbiamo bisogno!” e “Uniti, uniti, uniti, il popolo siriano è unito!”. Il regime utilizza la religione per legittimare se stesso, mettendo Bashar dalla parte di Dio. Come in Egitto, alcuni siriani usano riferirsi a Dio per dire che Bashar non è la massima autorità. Fra gli arabi, il riferimento a Dio non è necessariamente religioso, ma può esserlo. I giovani in rivolta sono molto consapevoli di questo. Hanno aggiunto la parola “libertà” per distinguersi dai fondamentalisti.
All’inizio, in occasione di una manifestazione all’uscita da una moschea, i fondamentalisti hanno gridato “Allahu Akbar”, mentre i giovani cantavano, “Libertà, libertà, libertà!” I giovani hanno usato un quarto slogan: “Il popolo siriano non accetta umiliazioni”, riferendosi sia al regime che alla dominazione imperialista nel mondo arabo.

Lo sfondo storico della rivolta in Siria e altrove nel mondo arabo è l’umiliazione subita da questi popoli con l’aggressione imperialista in occasione della prima guerra del Golfo del 1991, quando venne cacciato dal Kuwait l’esercito iracheno di Saddam Hussein, [Assad padre si alleò con Bush padre], con la seconda guerra e l’occupazione dell’Iraq e il massacro israeliano a Gaza. Tutti questi eventi hanno dimostrato che il potere siriano, proprio come gli altri regimi arabi, non ha una strategia vera e propria per la liberazione nazionale nonostante la sua retorica nazionalista.

Naturalmente, l’esplosione in Siria è stata molto influenzata dalla Tunisia ed Egitto, ma anche il movimento in Iran dopo le elezioni del 2009 è stato molto importante. Io credo che la rivolta iraniana abbia precorso i movimenti arabi.


Un regime capitalista

Quando si applica una analisi materialista, si può vedere che ci sono due borghesie in Siria, la borghesia burocratica (i burocrati, gli apparatchik) e la borghesia mercantile tradizionale. La borghesia burocratica nacque con la conquista del potere da parte Hafez al-Assad nel 1970. La gente usa l’espressione “signor dieci per cento” per riferirsi ai grandi capi dei servizi militari e di intelligence che ottengono un 10 per cento di commissione per ogni contratto tra Stato e investitori stranieri o per dare un’autorizzazione alla borghesia tradizionale per un progetto o un appalto. Nel corso del tempo i “signori dieci per cento” sono diventati l’apparato dirigente, con il conseguente accumulo di capitale finanziario nelle mani dei burocrati. Quando il figlio Bashar Assad salì al potere nel 2000, i burocrati hanno iniziato a investire il capitale che avevano accumulato, sia nei  mercati internazionale che in quello siriano.

Le riforme economiche del regime di Bashar sono iniziate con le liberalizzazioni per favorire la crescita del settore privato. Questo ha permesso alla borghesia burocratica emersa dalla classe media di diventare ricca. Le liberalizzazioni hanno inoltre prodotto una spaccatura nella classe media. Una parte è diventata molto ricca mentre l’altra ha perso i suoi vantaggi precedenti. Il Baath partito non ha eliminato la borghesia tradizionale quando salì al potere. Il modo di produzione dominante era e rimase capitalista e dipendente dall’imperialismo. La borghesia burocratica ha tentato di descrivere ciò che ha creato come un “modo di produzione sociale” – in altre parole, né capitalistico, né socialista.

Quando i baathisti salirono al potere nel 1963 col colpo di stato, essi nazionalizzarono la grande industria e le medie imprese mettendole sotto la direzione dei loro stessi burocrati. Il partito Baath aveva solo 500 iscritti al momento del colpo di stato. Successivamente aprì le porte ad ogni sorta di opportunisti. Dopo la rottura tra l’Egitto di Nasser e il partito Baath siriano nel 1961 [quando la Siria respinse la fusione con l’Egitto voluta da Nasser, Ndt], molti siriani aderirono alla corrente  nasseriana. Una volta che i baathisti, grazie ai militari, presero tutto il potere,  a poco a poco schiacciarono tutti gli altri partiti e istituirono un sistema di partito unico. Non c’era nessuna costituzione, solo il dominio della forza. Tra il 1963 e il 1970, quando Assad capeggiò un altro colpo di stato militare, il settore privato si unì rapidamente alla borghesia burocratica. Gli apparatchik avevano bisogno del mercato capitalistico per governare l’economia. Questo fu un periodo molto prospero per il settore immobiliare e il settore degli scambi con l’estero.

Il colpo di stato di Assad, nel 1970, permise un primo consolidamento dello stato siriano [dopo decenni di instabilità politica a causa della rivalità dei centri di potere. Prima dell’indipendenza dlla Francia la Siria, in quanto entità politico-statuale, non esisteva nella sua forma attuale, Ndt]. Così, sia la borghesia mercantile che quella affaristica diventò un alleato organico della borghesia compradora-burocratica — dico compradora perché si trattava di fugure che rappresentavano gli interessi delle multinazionali. Quindi tutte e due queste borghesie prosperarono sotto Hafez Assad. Egli voleva costruire uno Stato costituzionale con una propria forte presenza militare sulla scena internazionale. Il suo sogno era quello di unire il Bilab al-Cham [Siria, Libano, Palestina e Giordania, a volte chiamati erroneamente il Levante inglese, Ndt] sotto la sua guida. Poco prima del suo colpo di stato, nel 1968, affermò che il Partito Baath era marxista e ipocritamente promise di sostenere i palestinesi.

In realtà Assad, che era sottosegretario generale alla difesa quando Israele occupò nel 1967 le siriane Alture del Golan, giunto al potere cessò tutti gli aiuti ai palestinesi. Permise il massacro dei palestinesi nel nord della Giordania (l’esercito siriano stette a guardare durante il Settembre Nero del 1970, quando il Re di Giordania soffocò nel sangue il movimento palestinese di quel paese, Ndt]. Un mese dopo Assad fece il suo colpo di stato imprigionando tutti i militanti di sinistra.

La Costituzione consegna al Presidente della Repubblica poteri supremi. Egli può dichiarare lo Stato di emergenza, imporre il coprifuoco, formare tribunali speciali e di stabilire un “Tribunale Supremo di Sicurezza dello Stato”. Può sciogliere l’Assemblea del popolo [il Parlamento, Ndt] quando vuole e governare per decreto nel corso di un tale periodo di emergenza. Tutti gli articoli della Costituzione che garantiscono le libertà individuali e sociali, per esempio, formare delle organizzazioni civiche e il diritto di manifestare, sono stati sussunti dai poteri speciali generali di Assad. Questo Stato di eccezione dura senza interruzioni dal 1970, malgrado la sinistra abbia avuto, in certi periodi, la libertà di critica e di discussione.

La borghesia mercantile ha goduto di un periodo di grande prosperità, in termini di accumulazione di capitale, grazie alla sua alleanza con la borghesia burocratica. Nel 1975 l’esercito siriano entrò in Libano. Gli Stati Uniti e Israele invocarono questo intervento, affinché l’esercito siriano ponesse fine all’ascesa dei movimenti nazionali libanesi e palestinesi. Questo allargò il mercato siriano sia dei capitali che della forza lavoro. Allo stesso tempo, i Paesi dei petrodollari del Golfo, soddisfatti per l’intervento siriano in Libano, fornirono un grande aiuto ad Assad. Egli usò questo soccorso per  migliorare gli standard di vita e lavoro impiegando centinaia di migliaia di funzionari in compiti inutili, per rafforzare gli apparati di sicurezza, i quali avevano a loro volta centinaia di migliaia di dipendenti.


Makloufistan

Niente potrebbe essere fatto al di fuori del sistema generalizzato di corruzione. Ad esempio, per ottenere un certificato di nascita dal municipio si deve pagare una tangente di 15 dollari. Se per caso sei stato arrestato devi pagare 150 dollari per uscire, o almeno 10 se non hai fatto niente. Un commerciante deve avere un generale come proprio protettore, non può ottenere una licenza d’importazione senza il suo permesso connivente, e se sfida questo andazzo può andare in prigione per “corruzione”.

Il sistema giudiziario era completamente corrotto, così che i cittadini persero ogni rispetto per esso. Il Parlamento diventò  un “consesso per applaudire il regime”. Il potere esecutivo venne trasformato in un centro di corruzione.

La vecchia ideologia baathista “socialista araba” faceva velo alla pura e semplice violenza. Il regime governava non in nome della legge, ma della forza bruta.

La globalizzazione dell’economia siriana è iniziata con Bashar nei primi anni 2000, un decennio dopo la caduta del muro di Berlino e la rottura del cosiddetto “campo socialista” [di cui la Siria era alleata, Ndt]. La Siria non è stata risparmiata, economicamente e politicamente, dai cambiamenti che il mondo stava subendo. Bashar, come la Tunisia e il Marocco, si è avvicinato alla UE, in cerca di una zona di libero scambio con essa. E ha cercato di avvicinarsi agli Stati Uniti, con un certo successo iniziale.

Ma ha ereditato dal padre il concetto che la forza internazionale della Siria dipende dalle sue alleanze. Dopo la caduta dello Shah in Iran nel 1979, queste alleanze sono state strette con l’Iran,  Hezbollah, e quindi Hamas. Sia Assad padre che figlio hanno una concezione machiavellica: ogni alleanza è temporanea e non strategica. Ogni alleanza dipende dalle condizioni regionali e internazionali. Bashar Assad, che ha avviato trattative segrete con Israele e ha inoltre negoziato con Israele semi-apertamente attraverso la Turchia, era pronto a svendere l’Iran, Hezbollah e Hamas, in cambio di una garanzia da parte delle potenze internazionali guidate dagli Stati Uniti che il suo regime sarebbe rimasto in sella.

In una recente intervista, Rami Maklouf, cugino e stretto alleato di Assad [che il New York Times 11 maggio scorso ha descritto come l’uomo d’affari più potente della Siria, la gente chiama la Siria Makloufistan. Ndt] ha avvertito che la sicurezza di Israele dipende dalla sicurezza della Siria: in altre parole, la sicurezza di Bashar e quella israeliana, hanno un comune nemico: l’odio di massa.
Dal 1973, la Siria non ha mai condotto uno scontro armato con Israele, né sparato anche un solo proiettile contro Israele. Quando Israele ha bombardato il sito nucleare siriano [settembre 2007 Ndt] il regime non ha replicato. Israele ha in effetti una certa fiducia in Bashar e la sua cricca.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha cercato di tirare dalla sua parte Bashar. Egli ha messo a disposizione l’ENA [la prestigiosa scuola d’élite francese, dove vengono allevati i massimi manager pubblici. Ndt ] per modernizzare l’amministrazione statale siriana.

Due anni fa Bashar ha liberalizzato il settore bancario e consentito alle banche straniere ad investire in Siria, e le aziende straniere ad investire nel paese grazie all’intermediazione bancaria. All’interno del sistema dominante vi è la forte convinzione che la riforma politica e quella del sistema giuridico sono necessarie per assicurare migliori condizioni per l’accumulazione di capitale e per la prosperità del capitalismo. Anche tra i burocrati si propende per liberalizzazione economica e sociale, per uno Stato di diritto e una nuova Costituzione. E’ ampiamente riconosciuto che la Costituzione del 1973 non va più bene.

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno cercato di incoraggiare Bashar a fare le riforme economiche in linea con la globalizzazione neoliberista e rendere progressive le aperture in termini di diritto e di diritti democratici. Ed è questo quello che i partiti politici hanno chiesto nell’ultimo decennio.

Da notare che mentre gli Stati Uniti e i suoi alleati, dopo l’uccisione del primo ministro libanese Rafic Hariri nel 2005, tentarono inizialmente di portare la Siria davanti al tribunale penale internazionale, ora l’accusa è solo verso Hezbollah. E mentre gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alle persone intorno a Assad, lo stesso presidente non è stato preso di mira.

La Siria, in quanto formazione economico-sociale, è legata a doppio filo alla globalizzazione imperialista. I due non possono essere separati.


Chi capeggia la rivolta?

Il movimento di disobbedienza civile in Siria è ben lungi dall’essere generalizzato, principalmente a causa della quasi totale assenza di slogan che pongano in primo piano le richieste sociali ed economiche, in particolare la lotta contro la fame, la povertà e la disoccupazione. Queste rivendicazioni potrebbero venire alla ribalta accanto a quelle per la democrazia solo in un ampio  fronte democratico unito in cui la sinistra giochi un ruolo importante. Ma in Siria non vi è né questo fronte né una sinistra.

Il Venerdì della sfida del 6 maggio è stato il punto più alto che il movimento abbia finora raggiunto, ci sono stati circa 10.000 manifestanti in tutto il paese. Queste proteste sono state decentrate e spontanee, e ferocemente represse dalle forze di sicurezza. Ci sono stati circa 800 morti in due mesi da quando la rivolta è iniziata, e circa 8000 persone sono scomparse o in stato di detenzione. La classe politica, compresi i partiti siriani di sinistra, definiscono questo movimento una “sollevazione”. Non usano la parola rivoluzione. Questi partiti sono riformisti, ma il loro pensiero non è così diverso da quello del regime stesso, ovvero chiedono una riforma graduale e negoziata. Finora non c’è stato alcun accordo tra il regime e l’opposizione perché il regime dice che non ci possono essere negoziati fino a quando si ferma la rivolta, mentre l’opposizione chiede la liberazione dei prigionieri politici e i negoziati subito. Ma le masse popolari non vogliono sentir parlare di dialogo. Esse sono per le strade, perché quello che vogliono non è un cambiamento che venga dal di dentro la struttura di potere, ma che vada contro di essa.

Ci sono diversi scenari possibili. Uno è che il movimento rivoluzionario di massa possa dare origine a una nuova sinistra in grado di centralizzare e ampliare il movimento. Un altro è che l’Islam politico prenda il sopravvento e devii il movimento verso una guerra civile su linee religiose.

Circa cinque settimane dopo la rivolta sono sorti piccoli gruppi di persone hanno cominciato a gridare “gli alawiti nella fossa, i cristiani a Beirut.” Il rifiuto della sinistra di rompere con il regime prepara condizioni favorevoli ai fondamentalisti. E ‘anche possibile che il movimento possa essere represso con successo e il regime di Bashar si consolidi, o che un colpo di stato militare sostituisca  l’attuale leadership politica coll’appoggio dell’Iran e di Hezbollah. E se la sollevazione popolare si trasformasse in una rivoluzione, sarebbe ancora di fronte al pericolo di un colpo di Stato sponsorizzato dagli USA o da un loro intervento.

Il fondamentalismo islamico

Prima che i baathisti salissero al potere nel 1963, l’islam politico era molto marginale. Aveva solo una manciata di rappresentanti in parlamento. Nelle elezioni parziali del 1956, segnate dalla sfida tra un baathista e un noto leader musulmano della Fratellanza, i ba’athisti vinsero in modo schiacciante. I siriani derisero i Fratelli Musulmani e il clero.

La Fratellanza musulmana ha sempre agito contro la democrazia e la rivoluzione di liberazione nazionale. Ad esempio, nel 1980 essa si sollevò in armi per istituire un regime musulmano, in un momento in cui i lavoratori, gli intellettuali e gli altri cominciavano a organizzarsi in maniera indipendente dal regime e una società civile stava emergendo per la prima volta. Il regime utilizzò questa rivolta come pretesto per sopprimere tutti. Ad Hama, la roccaforte dei Fratelli Musulmani, 5000 uomini armati si sollevarono. Il regime circondò e distrusse la città, e uccise 25.000 persone in due giorni. Neanche una mosca poté sfuggire. E ‘stato come a Daraa oggi. Musulmani sunniti, cristiani e comunisti allo stesso modo sono stati uccisi, e anche dei baathisti. L’esercito sparò su tutto quello che si muoveva.

Oggi la Fratellanza Musulmana è divisa in due correnti principali. Una ha cambiato nome e ha alcuni legami con il regime e cerca negoziati. L’altra ha mantenuto il nome originale e gli obiettivi. Dopo il massacro di Hama Assad sancì che l’appartenenza alla Fratellanza era sanzionabile con la condanna a morte. Essa sopravvive soprattutto all’estero e ha poco peso politico tra il popolo. I siriani, di destra o di sinistra, sunniti compresi, non hanno fiducia in essa.

Malgrado ciò, visto il fallimento totale e ripetuto dei partiti di sinistra siriani (nazionalisti, socialisti e  democratici), visto il crollo del “socialismo reale” e l’aggressione contro l’Iraq, l’Afghanistan e i palestinesi, la società siriana cerca una ideologia. Quella più vicina e a portata di mano è l’Islam, ciò  nel senso più ampio del termine, includendo sia le tendenze liberali progressiste che quelle fanatiche.
In questo contesto, un piccolo gruppo islamista, potrebbe ancora una volta, con l’aiuto saudita, far credere che l’Islam sia la soluzione politica. Il popolo, in Siria, è oppresso in nome della laicità e della modernità, da un regime che rappresenta invece solo lo sfruttamento selvaggio della maggioranza delle persone. Indossare l’hijab è un gesto che si è generalizzato durante il regno di Bashar, come un modo delle persone per distinguere se stessi da un regime cosiddetto laico e dalla modernizzazione, ciò assieme alla diffusione della preghiera, all’osservanza dele feste religiose e del pellegrinaggio alla Mecca.

Le manifestazioni di strada dimostrano l’assenza di un movimento religioso in quanto tale. Anche coloro che sono più devoti non cercano un regime religioso, ma vogliono la democrazia e la libertà. Anche i Fratelli Musulmani hanno lanciato un appello per uno stato civile. Ci sono tuttavia piccoli gruppi di salafiti. Essi non rappresenterebbero alcun pericolo se la società politica apertamente prendesse parte alla rivoluzione e chiedesse la caduta del regime. Altrimenti vi è il rischio di incoraggiare il settarismo religioso trasformando la rivolta contro i musulmani alawiti e i cristiani.

Un complesso nodo geopolitico

La Siria rappresenta un nodo geopolitico più complesso di altri paesi. Isolare l’Iran è un obiettivo centrale per i regimi dei petrodollari guidati dall’Arabia Saudita. Nel corso degli ultimi 30 anni i sauditi hanno speso molti miliardi di dollari per incoraggiare la diffusione di un fondamentalismo simile al loro Islam wahabita. A tal fine, l’Arabia Saudita mira ad aizzare i sunniti contro gli sciiti in Iraq e in Libano e vorrebbe un regime change in Siria.

C’è un’ulteriore complicazione: Erdogan [detto Effendi, il soprannome dato al primo ministro turco usando la definizione del capo del governo ai tempi degli ottomani, Ndt] sembra incoraggiato dagli Stati Uniti e Israele a svolgere un ruolo che potrebbe sembrare un fastidio diplomatico per Israele appunto. Un riavvicinamento tra Siria e Turchia (e gli Stati Uniti) potrebbe ridurre la necessità della Siria di dipendere dall’Iran in quanto sorta di base aerea contro Israele. In questo complesso nodo  geopolitico, tutti gli attori coinvolti — gli Stati Uniti, i sauditi, la Turchia e Israele — hanno tutto l’interesse ad un cambio di regime in Siria, in modo da isolare l’Iran, di sbarazzarsi di Hezbollah e di rendere la Turchia la forza trainante della regione.

Ma il vento potrebbe andare in entrambe le direzioni. Una è che lo svolgersi degli eventi potrebbe favorire gli interessi geopolitici imperialistici. L’altra che gli eventi potrebbero far fallire i piani imperialistici — se il processo rivoluzionario continuasse, e la società politica prendesse parte alla rivolta siriana, e se i processi in Egitto e Tunisia continuassero senza venir soffocati  dall’esercito.

La questione più importante è la seguente: qualunque cosa accada — una guerra civile, l’intervento straniero, un colpo di stato, che Bashar sia in grado di attuare riforme — il processo rivoluzionario iniziato il 15 marzo darà vita ad una nuova sinistra e ad una nuova leadership?
Qualunque cosa possa ottenere, il movimento potrebbe essere infatti usurpato dai militari e dalla borghesia. Oggi come oggi, 13 maggio, il processo continua per le strade di Egitto, Tunisia, Yemen  e Siria, e le manifestazioni odierne ribadiscono il sostegno alla Palestina. Quindi la cosa importante non è quella di avviare una rivoluzione, ma di continuarla, come i bolscevichi impararono ben presto.

*Fonte: Kasama (http://kasamaproject.org/2011/05/18/the-revolt-in-syria-its-roots-and-prospects/)
** Traduzione a cura della redazione