Intervista a Waidy Mustafa, esponente dell’opposizione comunista siriana
Wajdy Mustafa, 51 anni, è stato membro dell’Unione Comunista e per questo ha scontato 13 anni di carcere. Da alcuni anni risiede in Europa come rifugiato politico. E’ membro del Comitato di Consulenza eletto dalla Conferenza di Antalya (la principale coalizione dell’opposizione democratica siriana) svoltasi dal 30 maggio al 2 giugno scorsi.
D: Chi ha promosso la conferenza di Antalya e qual è il suo risultato?
Di incontri dell’opposizione siriana, ce n’erano già stati diversi. Alcune correnti musulmane, ad esempio, hanno organizzato loro proprie conferenze. L’idea era quella di farla finita con le divisioni e i percorsi separati, di cercare di raggiungere l’unità la più ampia possibile sulla base di un comune obiettivo: la democrazia in Siria. I promotori principali della Conferenza di Antalya sono state le forze di sinistra assieme a quelle liberali, sulla base della «Dichiarazione di Damasco», allo scopo di consolidare l’unificazione.
Dei 31 membri eletti nel Comitato di consulenza 4 membri ciascuno sono del blocco della «Dichiarazione di Damasco» (i Fratelli Musulmani, i curdi, prevalentemente di sinistra, e alcune tribù). I restanti 15 sono personalità indipendenti tra cui esponenti di tutte le confessioni religiose.
D: Sembra che Abdul Halim Khaddam e Rifaat al Assad, non siano stati rieletti. Per quali ragioni politiche?
I due non erano presenti ad Antalya e sono stati esclusi in anticipo come molti altri a causa dei loro stretti rapporti con gli Stati Uniti. Come potete leggere nella dichiarazione finale della conferenza si rifiuta nettamente qualsiasi intervento militare straniero in Siria, mentre alcuni, tra cui i due, lo invocano. Non vogliamo ripetere la brutta esperienza libica.
D: Tuttavia sembra evidente il coinvolgimento turco, l’appoggio di Ankara ad alcune delle forze di opposizione che dichiarano di voler infatti seguire il modello turco?
No, non c’era alcun coinvolgimento della Turchia, né finanziario né politico. E’ vero però che la Turchia aspira ad un più forte ruolo regionale, e non c’è dubbio che questo potrebbe venire rafforzato da un coinvolgimento nella transizione siriana. D’altra parte in alcune delle forze islamiche come in generale tra i sunniti, c’è la richiesta di un sostegno turco. In alcune manifestazioni si sono già uditi slogan a favore di un intervento militare turco, idea che noi ovviamente rifiutiamo.
D: Il regime di Assad sostiene che vi sia influenza saudita e salafita sui moti popolari, che questo finirà per favorire gli interessi americani, e che in definitiva la Fratellanza Musulmana controlla la rivolta?
Ci sono due correnti all’interno della Fratellanza Musulmana e il movimento islamico in generale. Quelle più liberali e democratiche che fanno entusiasticamente parte della Conferenza Antalya. Esse rispettano la pluralità della Siria, rivendicano la democrazia e non lo “stato islamico” ed infine, come abbiamo concordato a Antalya, si oppongono ad ogni intervento occidentale.
D’altra parte ci sono i gruppi pro-sauditi riunitisi a Bruxelles, che si raggruppano su basi settarie. Essi sono ostili alla coalizione nata ad Antalya. Potrebbero essere collegati agli Stati Uniti attraverso i sauditi e gli stati del Golfo.
In realtà non c’è nessuno che controlli il movimento, tanto meno dall’estero! Trenta anni fa la Fratellanza aveva la testa delle proteste ad Aleppo, Homs, Hama, ecc. Ma ora c’è una nuova generazione, prevale la richiesta di democrazia, anche se al suo interno molti si definiscono islamici o islamisti.
Del resto i sauditi nell’ultimo periodo sono stati molto cauti. Non si sono schierati davvero contro Assad, anche se questo approccio potrebbe cambiare in futuro se la marea internazionale travolgesse il regime siriano.
Gli stessi Stati Uniti non hanno forze sul terreno. Gli Stati Uniti e le vecchie potenze coloniali, tra cui Francia e Gran Bretagna, sono molto impopolari in Siria, ed è difficile trovare loro sostenitori diretti.
Gli sforzi settari di Hariri sono stati veicolati da Khaddam, suo amico personale. Ma Khaddam è fuori dal gioco. Quindi i loro sforzi sono insignificanti.
La loro sola carta passa attraverso la Turchia che, tuttavia segue la sua propria agenda.
D: Come si spiega la svolta democratica dei Fratelli musulmani?
Essi hanno alla spalle un’eredità molto negativa a causa del settarismo e delle atrocità commesse in passato. Ma hanno conosciuto un cambiamento, hanno dovuto accettare la realtà siriana per cui quasi la metà della popolazione appartiene a minoranze nazionali o confessionali. Il regime di Assad lascia credere che l’unica alternativa sarebbe il dominio confessionale della Fratellanza. Ma questo non è assolutamente vero. Essa, al massimo, godrebbe del sostegno del 15% degli elettori. Né le tribù né i capitalisti seguirebbero gli islamisti. In alcune manifestazioni, nelle stesse zone sunnite, la gente ha preso le distanze dalla Fratellanza. Questa è la realtà siriana e le forze islamiste non possono prescindervi. Questo è il motivo per cui si è formata l’ala democratica della Fratellanza, che accetta l’idea di uno stato laico, così come espresso nella Dichiarazione di Antalya.
D: I media occidentali hanno sostenuto che c’è stato un coinvolgimento iraniano e Hezbollah nella repressione.
Non posso confermare questa notizia, ma ne dubito. Quello che si sa è che soldati con la barba sono stati coinvolti, il che è proibito nell’esercito siriano. Questo ha dato luogo a diverse speculazioni. Politicamente Teheran è completamente dalla parte di Assad dato che la caduta del regime di Assad sarebbe un duro colpo per loro.
D: Qual è la prospettiva della rivoluzione siriana?
Purtroppo la dura repressione contro le rivendicazioni democratiche del popolo dimostra che una via d’uscita del tipo di quelle tunisina o egiziana è bloccata dal regime. Il potere è deciso ad andare fino in fondo nell’annegamento nel sangue della rivolta. Il regime l’ha detto parecchie volte, ed io penso che ciò sia vero.
Siccome il movimento non può e non vuole arrendersi, il rifiuto di Assad di soddisfare le richieste democratiche significa che il suo regime sta trascinando il paese sempre più profondamente nella guerra civile. Noi vogliamo evitare questo esito con tutti i mezzi. Quindi chiediamo alla gente di attenersi strettamente alle proteste pacifiche. Ma nessuno vuole seguire istinti masochistici. Il popolo sa trarre le dovute lezioni dai massacri permanenti, ed è quindi legittimo se cerca di difendersi.
D: Ci sono notizie di una spaccatura nell’esercito. E’ realistico pensare ad una insurrezione con il sostegno da parte delle forze democratiche all’interno dell’esercito?
Per il momento ci sono solo defezioni individuali. Si dovrebbe anche tener conto che il regime ha costruito l’esercito in base a criteri confessionali per assicurarsi la piena fedeltà. Mentre la maggior parte dei soldati di leva sono sunniti, il corpo degli ufficiali è prevalentemente alawita. Si può vedere che l’assedio delle città ribelli è condotto da unità speciali composte in larga parte da soldati alawiti. Assad non ha il coraggio di utilizzare i soldati normali, teme che si ammutinino.
Le forze di opposizione organizzate sono molto deboli sul terreno. La Fratellanza e la sinistra sono state indebolite da decenni di persecuzione. Siamo di fronte a una rivolta spontanea che per il momento non è in grado di promuovere un’insurrezione altamente organizzata.
Ma con il tempo il regime si indebolirà. Ci sono segnali che indicano che alcuni esponenti del mondo degli affari stanno pensando di cambiare campo, non solo i sunniti, ma anche nell’ambiente alawita. E’ possibile che ad un certo punto il regime imploda.
D: Questo non potrebbe provocare un intervento militare straniero?
E’ uno dei punti principali della dichiarazione di Antalya: il rifiuto di qualsiasi intervento militare straniero. Io credo che le potenze occidentali non oseranno intervenire, visto che la stragrande maggioranza del popolo siriano, di ogni tendenza politica rifiuta quest’ipotesi. Non vogliamo finire e non finiremo come la Libia. Anche la Russia si opporrebbe, visto che ha una base navale a Tartus.
Ciò che invece è possibile è l’interferenza turca. Non un vero e proprio attacco su larga scala, ma un intervento limitato nelle zone di confine con la scusa degli aiuti umanitari. Noi ci opponiamo a questa eventualità, ma molti la auspicano. In Siria, tra i sunniti, la Turchia ha una buona reputazione in quanto è un paese democratico e in pieno sviluppo economico. Di sicuro molti siriani preferiscono un progetto ottomano rispetto alle vecchie potenze coloniali.
D: E il pericolo di una aggressione israeliana?
Israele non ha motivo di intervenire. Gli israeliani vogliono la stabilità e quindi sono contro il movimento democratico. Preferiscono lasciare Assad al suo posto.
D: Quali saranno i vostri prossimi passi?
Per quanto riguarda la coalizione di Antalya presto eleggeremo un comitato esecutivo.
Politicamente il nostro compito principale è, dal di fuori, aumentare la pressione internazionale sul regime. Vogliamo portare Assad davanti al tribunale dell’Aja.
D: Ma non è esattamente la logica della spirale dell’escalation internazionale che potrebbe aprire la strada ad un’aggressione militare esterna?
Questo è un dilemma. Abbiamo bisogno di pressioni estere che indeboliscano il regime e portino alle defezioni necessarie. Non possiamo guardare passivamente mentre Assad massacra il nostro popolo e trascina il paese in una guerra civile che vogliamo evitare con ogni mezzo. Quello che possiamo fare dall’esterno è di contribuire ad isolare il regime, e quindi rendere i costi politici per la repressione più alti. Ma ripeto: noi rifiutiamo qualsiasi intervento militare straniero.
D: Potresti definire la coalizione di Antalya come anti-imperialista?
Si tratta di una coalizione democratica. Ci sono forze liberali all’interno che non possiamo etichettare come anti-imperialiste. E poi devi tenere conto che la gente siriana viene uccisa in nome dell’anti-imperialismo. Un esempio: il Partito comunista alleato del regime, ha recentemente messo in scena una manifestazione anti-imperialista mentre evita di appoggiare le rivendicazioni democratiche del popolo. Che tipo di anti-imperialismo è questo? E’ facile capire come mai il popolo non ne possa più di un simile anti-imperialismo.
D: Le ribellioni democratiche in Tunisia ed Egitto sono state scatenate anche dalla povertà tremenda causata da capitalismo neoliberale. La coalizione di Antalya come risponde al problema sociale?
C’è lo stesso problema sociale in Siria. Tuttavia la Coalizione di Antalya è stata costruita su una piattaforma esclusivamente democratica. Non siamo in grado di far fronte a questi problemi ora. Se gli obiettivi democratici saranno raggiunti, ci saranno nuovi conflitti e nuove alleanze.
Metà di Giugno 2011
*Membro del Comitato esecutivo internazionale del Campo Antimperialista
Traduzione a cura della Redazione