Quella mattina del 20 Luglio 2001 partimmo anche noi da Lucca, non era certo la prima manifestazione a cui partecipavamo ma, nei giorni precedenti, un nuovo e massiccio terrorismo informativo e mediatico aveva fatto la parte del leone, indicando la tre giorni del G8 Genovese, come il palcoscenico di pericolosi gruppi ed individui pronti a tutto, pur di oltrepassare e violare la famosa zona rossa super presidiata. Già qualcosa in questo non quadrava, si percepì subito la volontà da parte delle istituzioni di costruirsi l’alibi ad hoc, per giustificare quello che è tristemente accaduto in quei giorni. Tre giorni in cui la democrazia è stata sospesa e lo stato di diritto cancellato, tre giorni di violenze e soprusi indiscriminati di ogni tipo, perpetrati dal braccio armato dello stato e dai suoi ministeri premeditato.
Alla manifestazione indetta dai no global, sulla scia delle proteste di Seattle, aderirono in molti da tutta Europa: gruppi politici, partiti, movimenti, associazioni pacifiste, gente comune, alla fine il colpo d’occhio sulla città disegnava una moltitudine colorata e variegata, unita nel rivendicare l’antagonismo di popolo alle scelte di potere dei membri dei paesi ricchi, riunitisi ancora una volta per decidere un destino nefasto di cui oggi cominciamo a pagare le conseguenze. C’erano persone che mai avevano partecipato ad altre manifestazioni, donne e bambini, disarmati, inermi, con maglietta e calzoncini. A Genova faceva caldo e la tensione, dovuta alla sensazione che quello che avevano preparato era un vero e proprio campo di battaglia, si faceva sempre più strada, soprattutto fra i meno ingenui e più politicizzati.
Quello che successe fu infatti da molti descritto come “una macelleria messicana”, un “golpe militare”: insulti, percosse, arresti, sequestri, vessazioni, torture e l’omicidio di Carlo Giuliani, 23 anni, freddato con un colpo di pistola. Una vita che è stata oltraggiata anche dopo la sua morte, dipinta dai media italiani come un esempio di scellerata violenza giovanile contro l’ordine costituito. Noi sappiamo invece, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, che questo è stato un Omicidio di Stato, sullo sfondo storico di un’Italia annichilita e pronta a servire, insieme agli altri stati vassalli occidentali, l’avidità dell’imperialismo Nord Americano, pronta a spingersi nel baratro del capitalismo globalizzato.
E’ sempre bene ricordare i nomi dei responsabili politici, morali e materiali di quella carneficina: dall’allora ministro dell’interno Claudio Scajola a quello della difesa Gianfranco Fini, dall’ex capo della polizia (oggi dirigente dei servizi segreti italiani) Gianni di Gennaro, al sovraintendente Giuseppe De Rosa. Da Spartaco Mortola e Alessandro Perugini, all’epoca rispettivamente capo e vice capo della DIGOS, ai carabinieri Mario Placanica e Filippo Cavataio, indagati per l’omicidio di Carlo Giuliani e successivamente prosciolti; ma i responsabili sono anche tutti coloro, esponenti politici e non, che hanno taciuto e minimizzato, come l’ex Sindaco di Genova di centro sinistra Giuseppe Pericu, che non ha voluto costituire il Comune parte civile contro la polizia e perché no, anche quella donna carabiniere vestita con la divisa antisommossa di “Dolce e Gabbana”, confezionata per l’occasione. Ricordo che la foto di questa immagine beffarda fece il giro del mondo.
Tutti o quasi sono rimasti al loro posto e tutti o quasi i procedimenti sono andati in prescrizione, mentre sono tuttora in corso diversi atti giudiziari contro i manifestanti. I fatti di Genova sono stati ampliamente documentati sui numerosi libri bianchi, video e ricostruzioni dalla stampa non ufficiale, questi libri oggi dovrebbero essere studiati a scuola. Si deve raccontare la verità sull’omicidio di Carlo Giuliani, sugli episodi nella caserma di Bolzaneto e sull’irruzione notturna nella scuola Diaz dopo la sua morte. Un filo rosso sangue che dipinge l’Italia dell’ascesa Berlusconiana, sulle ceneri di una sinistra senza più identità, silenziosa e compiacente, vendutasi alle logiche economiche del neoliberismo e per questo corresponsabile del disfacimento politico e culturale che oggi, a 10 anni di distanza dai fatti di Genova, ci riporta a condizioni di miseria e oppressione politica, crisi e precariato.
Come venne allora cancellato in maniera violenta lo stato di diritto, vengono oggi, dentro la globalizzazione cancellati, come se mai fossero esistiti, i diritti fondamentali di una società civile. L’esempio più attuale sta nel diritto negato al lavoro e ad una vita dignitosa sancito dalla nostra costituzione, la massa dei giovani precari sono lo specchio del mondo globalizzato di oggi, di quel modello economico promosso da sinistra a destra come l’unico e il miglior mondo possibile. L’Italia peggiore, come ha vergognosamente sentenziato di recente il ministro pro tempore della repubblica Renato Brunetta, sono in realtà i nuovi poveri, sono coloro che vivono una costante e definitiva provvisorietà, sono gli schiavi moderni del primo mondo. Pagano la casa, le tasse, quello che consumano, ogni mattina si alzano per andare a lavoro e ogni giorno può cambiare qualcosa: orario, paga, trattamento, mansioni da svolgere.
Posso testimoniarlo direttamente: ci vogliono flessibili, disponibili, preparati e sorridenti per 3, 4, 6 mesi poi si vedrà. La maggior parte di questi contratti “atipici” sono addirittura fittizi, di facciata, carta straccia senza nessuna valenza giuridica. Per un lavoro a tempo pieno la paga media è di 1000 euro al mese puliti, puliti nel senso che quelli sono, se va bene, 12 mila euro l’anno senza uno straccio di contributi, tredicesima, indennità di malattia, TFR. Se ci si ammala e si sta a casa non siamo pagati, se si va a lavorare nei giorni di festa la paga resta quella, gli straordinari sono diventati ordinaria amministrazione.
In questo ginepraio di indecenti contratti di lavoro legalizzati, dove le antiche conquiste dei nostri padri non sono contemplate, c’è chi ancora suggerisce le cosiddette pensioni integrative, tanto per sfamare la finanziaria di turno e per ovviare al problema che loro si mettono in tasca la nostra vecchiaia e fanno carta straccia dei nostri diritti. Aldilà che dovremo essere contrari per principio, facendo due conti (e me li sono fatti fare per curiosità), versando in media 350 euro ogni mese, si ottiene tra 30 anni, una pensione di 500 euro al mese per i prossimi 20 anni. Lascio ad ognuno il proprio commento.
Mentre penso a tutto questo incontro Boris, un nuovo amico venuto dall’est a cercare lavoro perché la fabbrica italiana per cui lavorava in patria lo ha licenziato. Il lavoro lo ha trovato, eccome, non mi ha detto cosa fa, ma mi ha detto che io per lui ora sono una privilegiata e quasi mi sono sentita in colpa. Boris racconta che nel suo paese un tempo si faceva la coda per il pane e che lui, bambino, odiava quella coda, ma la razione era gratuita e proporzionata alle necessità di ognuno. Oggi qui si fa la coda per tutto, come se si elemosinasse la vita stessa e si paga pure tutto, anche i legittimi servizi e beni comuni, con soldi che non hai.
Questo è il mondo occidentale, uno dei tanti aspetti dell’inferno del mondo globalizzato che il popolo di Genova voleva respingere, dove la fila la puoi anche evitare basta pagare un po’ di più, dove i privilegi delle diverse caste di potere dettano le leggi di un modello economico che oggi collassa su stesso, non dopo aver sferrato gli ultimi attacchi allo stato sociale e non dopo aver annunciato l’ennesima guerra preventiva o guerra e basta, per rapinare e distruggere il prossimo paese sulla lista nera dell’imperialismo.
Dieci anni dai fatti di Genova, 10 anni in cui la presunta Democrazia che conoscevamo ha definitivamente lasciato il posto alle Oligarchie finanziarie Europee e Statunitensi, 10 anni dalla morte del “ribelle di Genova”, come ha definito Carlo Giuliani il subcomandante Marcos, in una lettera del 2003 inviata ai movimenti italiani contrari alla guerra in Iraq. Quanto ancora ci vorrà, perché anche la protesta sia globalizzata e finalmente venga rovesciata questa Europa e questa America, da una rivoluzione democratica dei popoli?