Conversazione con Mahmud al-Zahhar, dirigente di Hamas
(a cura di Umberto De Giovannangeli – Limes)

Riprendiamo da Limes questa interessante intervista a Mahmud al-Zahhar (foto), uno dei più importanti dirigenti di Hamas. L’ex ministro degli esteri palestinese parla del significato dell’accordo di riconciliazione nazionale, della portata delle sollevazioni arabe, degli obiettivi del Movimento di Resistenza Islamico in questa fase, del diritto irrinunciabile alla resistenza, in tutte le sue forme. L’intervista si conclude con una sottolineatura del rilievo che viene dato al prossimo passaggio politico all’Onu sul riconoscimento dello Stato palestinese.

«La partita decisiva la giochiamo all’Onu»

Mahmud al-Zahhar, ex ministro degli Esteri nel governo Haniyya, ha guidato la delegazione di Hamas ai negoziati che hanno portato alla firma dell’accordo di riconciliazione nazionale siglato al Cairo il 4 maggio scorso da Hamas, Fatah e altre dodici fazioni palestinesi. Al-Zahhar è considerato il leader dell’ala «dura » di Hamas.

Limes «Una vittoria del terrorismo». Così il primo ministro israeliano Netanyahu ha giudicato l’accordo di riconciliazione nazionale palestinese.
Al-Zahhar Per i governanti israeliani sono «terroristi» tutti i palestinesi che si oppongono all’occupazione sionista della Palestina. Quella che Netanyahu definisce una «vittoria del terrorismo» è invece la vittoria delle ragioni dell’unità della resistenza palestinese di cui Hamas è parte fondamentale. Quanto poi al rifiuto di Israele di negoziare con Hamas, la vicenda Shalit (il soldato israeliano in mano di Hamas dal 25 giugno 2006, ndr) dimostra che la realtà è diversa da quella che Netanyahu dà in pasto all’opinione pubblica interna e a quella internazionale.

Limes Sul fronte opposto, nella nebulosa jihadista, c’è invece chi ha accusato Hamas di essersi «istituzionalizzata».
Al-Zahhar Si tratta di accuse ridicole, condotte da individui che sono sempre stati ai margini della resistenza palestinese e che ora provano ad alzare la voce per reclamare un ruolo che il popolo palestinese non ha mai riconosciuto loro. Hamas non ha mai rinunciato a combattere l’occupazione sionista, il diritto di resistenza è contemplato anche dalla Convenzione di Ginevra. Ma la resistenza armata non è un fine, è uno strumento che va messo al servizio di un disegno politico. Ed oggi quel disegno reclama la ricerca dell’unità tra tutte le fazioni palestinesi, senza la quale siamo tutti destinati alla sconfitta.

Limes In base a uno dei punti dell’accordo, la conduzione dei negoziati con Israele è affidata esclusivamente al presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen. Al tempo stesso, Hamas non accetta di riconoscere Israele. E’ una contraddizione di fondo destinata a far fallire l’accordo stesso?
Al-Zahhar Non si può chiedere all’oppresso di riconoscere il proprio oppressore e fare di ciò la pregiudiziale a un ipotetico negoziato. Non sono i palestinesi, non è Hamas ad aver calpestato la legalità internazionale, ad aver fatto carta straccia di risoluzioni Onu. In questo accordo si fa riferimento alla possibilità di negoziare una hudna (tregua) di lungo periodo con Israele. Mi pare già una disponibilità importante se la controparte avesse la minima volontà di avviare una vera trattativa. Ma così non è.

Limes C’è chi sostiene che l’accordo del Cairo è anche frutto del vento di cambiamento che sta scuotendo il mondo arabo. Un vento che ha cominciato a spirare anche nei Territori, mettendo in discussione lo stesso potere di Hamas nella Striscia.
Al-Zahhar Quelle rivoluzioni a cui lei fa riferimento, in particolare quella egiziana, sono state salutate con favore da Hamas. Le piazze arabe rivendicano il cambiamento e chiedono di poter scegliere i loro governanti con elezioni davvero libere. Così era avvenuto nei Territori, nel gennaio 2006, quando in libere elezioni, monitorate da centinaia di osservatori internazionali, la maggioranza del popolo palestinese si riconobbe nelle posizioni di Hamas. Invece di riconoscere questo risultato, l’America, l’Europa, il «mondo libero» hanno criminalizzato non solo Hamas ma tutto il popolo palestinese colpevole di aver votato per Hamas.
L’accordo del Cairo riconosce una realtà di fatto che nessuno potrà mai cancellare, neanche la guerra criminale condotta da Israele a Gaza (l’Operazione Piombo Fuso, ndr). Nessuna trattativa, nessuna intesa di pace può nascere escludendo dal negoziato una parte dei palestinesi. Spero che l’Europa se ne renda conto e modifichi il suo atteggiamento, dimostrandosi non solo più giusta ma lungimirante. Tornando agli avvenimenti di questi mesi, non vi è dubbio che quelle rivoluzioni hanno influenzato sia Hamas che Fatah. Dovevamo scegliere se essere in sintonia con quelle rivoluzioni o chiamarcene fuori. Abbiamo scelto la prima strada.

Limes Ma quelle rivoluzioni rivendicano libertà, diritti e quei giovani che hanno provato a realizzare anche a Gaza una «piazza Tahrir» sono stati trattati brutalmente dalle forze di sicurezza di Hamas.
Al-Zahhar C’è chi ha ingigantito questi avvenimenti arrivando addirittura a paragonare l’azione delle forze di sicurezza a Gaza alla sanguinosa repressione praticata in Tunisia, in Egitto, negli altri paesi investiti dalle rivolte popolari. Così non è stato a Gaza, ma non possiamo negare che abbiamo fatto fatica a comprendere subito la portata di quelle rivolte e delle loro ricadute anche in Palestina. Ciò che ci veniva chiesto era di porre fine alle divisioni interne e di indicare un percorso che, in tempi certi, porterà il popolo palestinese a eleggere il nuovo presidente e il Consiglio legislativo (il parlamento dei Territori). L’accordo del Cairo risponde a queste aspettative. E’ un punto di partenza. L’inizio di una svolta.

Limes Punto di partenza. Ma verso quale obiettivo finale? La distruzione dello Stato d’Israele e la sua sostituzione con lo Stato di Palestina?
Al-Zahhar L’obiettivo condiviso da tutte le fazioni palestinesi che hanno sottoscritto l’accordo di riconciliazione è edificare lo Stato di Palestina sui territori occupati da Israele nel 1967, senza cederne neanche un centimetro. Uno Stato con al-Quds (Gerusalemme) come sua capitale. L’unità è attorno a questo obiettivo, così come non è per noi in discussione il diritto al ritorno per i palestinesi cacciati nel 1948-49 dalle loro case, dai loro villaggi dagli israeliani. Come vede, si tratta di obiettivi prefissati dalle risoluzioni Onu 194, 242, 338, quelle risoluzioni che Israele ha sempre calpestato.

Limes Sul piano operativo,cosa significa per Hamas privilegiare le ragioni dell’unità? Può voler dire anche mettere nel conto la rinuncia alla lotta armata?
Al-Zahhar La resistenza armata non è materia negoziabile. Rinunciarvi, allo stato delle cose, significherebbe firmare la resa al nemico. Il massacro di palestinesi compiuto da Israele nel giorno della Nakba (15 maggio, ndr) è la conferma della volontà criminale dei sionisti.

Limes Ma nel suo vocabolario politico, esiste un processo di pace? E se sì, quale?
Al-Zahhar Un «processo di pace» con i palestinesi non può fare neanche il primo – minuscolo – passo finché Israele non si ritirerà innanzitutto nei confini del 1967; smantellerà tutti gli insediamenti; rimuoverà tutti i soldati da Gaza e dalla Cisgiordania; sconfesserà la sua annessione illegale di Gerusalemme, rilascerà tutti i prigionieri e metterà fine in modo permanente alla sua chiusura dei nostri confini internazionali, delle nostre coste e del nostro spazio aereo. Questo fornirebbe il punto di partenza per negoziati giusti e getterebbe le fondamenta per il ritorno di milioni di rifugiati.

Limes Sulla base degli accordi del Cairo, entro dodici mesi si svolgeranno le elezioni per la presidenza dell’Anp e per il rinnovo del Consiglio legislativo palestinese. Abu Mazen ha ribadito la sua intenzione di non ripresentarsi. E Hamas?
Al-Zahhar Hamas ha tre le sue file persone che possono ricoprire quell’incarico, per storia e per capacità. Al momento debito prenderemo la decisione che riterremo più appropriata rispetto all’obbiettivo che è alla base dell’accordo del Cairo: rafforzare l’unità tra i palestinesi. Il futuro presidente dovrà esserne l’espressione e al tempo stesso il garante. Una cosa è certa: a scegliere il presidente sarà il popolo palestinese e non potenze straniere. L’epoca dei «suggeritori» interessati è finita.

Limes Tra i «suggeritori» di prima fila c’è il presidente Barack Obama. Nel suo discorso del 19 maggio, Obama ha esortato israeliani e palestinesi a tornare al tavolo delle trattative, sostenendo le ragioni di una pace fondata sul principio di «due popoli, due Stati».
Al-Zahhar Quella del presidente americano è una falsa equidistanza. Evoca uno Stato palestinese, ma tace sulla colonizzazione ebraica dei Territori occupati. Obama avverte che l’America farà di tutto per ostacolare l’iniziativa palestinese all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di settembre, criminalizza l’accordo di riconciliazione sottoscritto da tutte le fazioni palestinesi, pretende da Hamas il riconoscimento di Israele quale «Stato ebraico» ma non si azzarda a chiedere a Israele di riconoscere lo Stato di Palestina. E questa sarebbe «equidistanza»? Ed è «equidistante» chi, come il presidente americano, criminalizza l’accordo tra i gruppi palestinesi sposando in pieno le posizioni israeliane? E poi, perché non parliamo dei confini del 1948? Perché non parliamo del piano di spartizione, riconosciuto dalla comunità internazionale nel 1947? Obama vuole assegnarci il 22% della Palestina e parla della possibilità di scambi di territori, inclusa Gerusalemme; vuole che noi rinunciamo a Gerusalemme in cambio del 5% della Palestina storica, che era originariamente la nostra terra. Questo è un grande inganno.

Limes Il discorso di Obama sul ritorno ai confini del 1967 nell’ambito di un accordo di pace che porti alla nascita di uno Stato di Palestina ha scatenato la furia di Netanyahu. E della destra oltranzista israeliana. Ciò non significa niente per Hamas?
Al-Zahhar Tutt’altro. Quella reazione dimostra l’inutilità di parlare di negoziato con qualcuno che arriva a considerare ostile anche chi fornisce a Israele le armi con cui i sionisti cercano di annientare la resistenza palestinese. Una resistenza che proseguirà sul campo e che avrà un passaggio cruciale, sul piano politico, quando all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tutti gli Stati membri saranno chiamati a pronunciarsi sullo Stato di Palestina. Quel voto dirà chi sono i veri sostenitori della causa palestinese.