L’abbattimento del CH-47 Chinook nel villaggio di Sayyedabad, sulla strategica arteria che porta da Kabul a Kandahar è un colpo durissimo che la Resistenza afghana ha inferto agli occupanti. 38 morti, tra cui 22 mercenari americani del corpo d’elite dei Navy Seals, gli stessi che furono protagonisti del sequestro e dell’uccisione di Osama Bin Laden. Secondo alcune fonti, tra i caduti ci sarebbero addirittura alcuni di quelli che presero parte a quell’operazione.

Come sottolineano i media si tratta del giorno più sanguinoso per le forze d’occupazione dall’invasione dell’ottobre 2001. Ancor più grave degli attacchi dell’aprile e del giugno 2005, quando vennero accoppati rispettivamente quindici e diciassette soldati statunitensi.

A dieci anni dall’inizio della guerra la Resistenza non è più debole, è più forte. Malgrado l’ingente dispendio di forze americani e europei stanno progressivamente cedendo terreno alla guerriglia. Lo dicono anche i numeri. Nel 2010 sono stati uccisi 711 militari NATO-ISAF, di cui oltre i due terzi americani. Da gennaio ad oggi il loro numero è giunto a 375.

Non che gli occupanti siano restati a guardare. Com’è noto essi applicano la legge della decimazione. Secondo fonti ONU nei primi sei mesi di quest’anno sono stati ammazzati 1.462 afghani, per non parlare dei morti che gli americani hanno fatto nelle zone pakistane oltre confine.

La stampa americana sottolinea lo scacco subito. Non sono stati uccisi soldati normali, ma elementi che fanno parte del fior fiore delle forze armate americane. Si tenga conto che l’addestramento e l’equipaggiamento di ogni membro Navy Seals costa almeno trenta volte un soldato normale. Che la Resistenza abbia inferto questo colpo con un vetusto Rpg di marca sovietica da la misura dell’accaduto. Un’avanguardia, per quanto male armata, malgrado la straripante potenza di fuoco del nemico, può resistere e infliggere colpi durissimi, può obbligare gli invasori ad andarsene. Qual è l’arcano? Il vasto, capillare, coraggioso sostegno popolare.

Una lezione che quindi travalica i confini dell’Afghanistan, che parla a tutti i popoli oppressi di oggi e a quelli che lo saranno domani. Nessun esercito è invincibile. Gli imperialisti possono essere battuti. Gli afghani stanno pagando un immenso tributo di sangue alla causa antimperialista, ma più grande ancora è il loro merito, imperituro. Essi non solo stanno piegando un nemico mille volte più forte, resistono malgrado l’isolamento a cui sono stati sottoposti. La guerra imperialista non è condotta solo con bombe e mitraglia, ma anzitutto con la propaganda. L’impero rappresenterebbe il progresso, la modernità, la democrazia, mentre i talebani sarebbero retrogradi, fanatici, oscurantisti.

Le cose ovviamente non stanno così. Tuttavia onore a questi “oscurantisti”, poiché essi e non l’Impero, indicano la strada della dignità e della liberazione.