Non c’è pace a Ein el-Hilweh

Nuovi scontri tra al-Fatah e Jund al-Sham

Beirut. Fallito attentato. Ieri, 11 agosto due attentatori hanno cercato di far esplodere l’auto di un giudice che, a quanto risulta, non è coinvolto con nessuna inchiesta politica importante. Qualcosa è andato storto durante l’esecuzione, un attentatore è morto l’altro è in coma. Il fatto che la tragedia sia avvenuta nel quartiere cristiano di Antelias e vicino alla storica chiesa di S.Elias, ha spinto alcuni commentatori a ritenere che si sarebbe trattato di un attacco a sfondo settario e confessionale. In molti tuttavia lo escludono. Le indagini si stanno concentrando sui due attentatori, il loro passato, se hanno agito da soli o se hanno dei mandanti. Alcuni quotidiani libanesi vicini alle destre maronita e sunnita stanno facendo circolare la voce che uno dei due attentatori, Hussein Ali Diya, sarebbe un membro di Hezbollah. Mentre scriviamo la notizia non è confermata.

C’è chi ipotizza che scopo dell’attentato è appiccare il fuoco al Libano, che già si regge su equilibri fragilissimi, tanto più dopo la profonda crisi siriana. Tesi plausibile e che esclude che l’attentato provenga da ambienti filo siriani. Se c’è un luogo al mondo dove non è facile capire chi siano i mandanti di questa o quella mossa, e quali siano gli effettivi scopi di un attentato, questo è proprio il Libano.

Qualche giorno prima, sabato 6 agosto, nuovi scontri armati erano scoppiati nel turbolento campo profughi palestinese di Ein el-Hilweh, nella periferia di Sidone — lo stesso campo profughi dove l’associazione di volontariato Sumud ha svolto almeno due missioni di solidarietà e di lavoro. Un morto e otto feriti. Come nelle precedenti occasioni gli incidenti sono scoppiati tra i miliziani di al-Fatah e quelli del gruppo salafita Jund al-Sham. Al-Fatah ha accusato i salafiti di aver cercato di uccidere il loro capo della sicurezza nel campo profughi, il famigerato Mahmoud Issa, detto el-Lino.

La situazione sembrava ritornata calma, nel campo. Ma l’altro ieri, 10 agosto, sono scoppiati nuovi gravissimi incidenti. Questi sono esplosi quando la sicurezza di el-Lino, nei pressi della moschea Salahedine, ha arrestato dei militanti di Jund al-Sham, consegnandoli, come è loro solito fare, all’esercito libanese. A seguito di questi arresti le famiglie degli arrestati hanno inscenato una forte protesta, e gli scontri sono ripresi.

Oramai quella tra al-Fatah e Jund al-Sham è diventata una vera e propria faida, ciò malgrado lo sforzo del Consiglio unitario che amministra la sicurezza nel campo, segnato dal successo ottenuto con la tregua siglata l’anno scorso tra al-Fatah e l’altro gruppo salafita attivo nel campo profughi, Osbat al-Ansar.

Fonti libanesi insistono nel sostenere che dietro a Jund al-Sham ci sarebbero i capi di Fatah al-Islam, clandestini e supericercati dopo la violentissima battaglia nel campo profughi di Nar el-Bared, dell’estate 2007, e che si concluse con la vittoria dell’esercito libanese.

Secondo fonti palestinesi i capi sopravvissuti di Fatah al-Islam si anniderebbero proprio a Ein el-Hilweh. Tra di loro il pluriricercato Oussama al-Shebabi. La sicurezza di al-Fatah non fa mistero di volerlo eliminare fisicamente, poiché secondo loro è proprio al-Shebabi il principale responsabile degli attacchi ad al-Fatah e dei tentativi di eliminare el-Lino — che nel campo profughi è noto per i suoi metodi spietati. Il tentativo di al-Fatah non è un segreto per nessuno. Estirpare l’influenza dei gruppi salafiti, strappargli il controllo dei due quartieri interni al campo in cui sono forti: Tawarik e Hotein.

In questa faida, che dura da almeno quattro anni, e che si è inasprita dopo la battaglia di Nar el-Bared, sono decine i membri di Jund al-Sham rimasti uccisi o feriti in scontri a fuoco. Tra di essi, il loro leader carismatico, Ghandi al-Shamani (nella foto), trovato ucciso, giustiziato con un colpo alla nuca — proprio nel campo profughi dove gli era categoricamente proibito entrare — il giorno di Natale del 2010. Sia Jund al-Sham che Fatah al-Islam, sono accusati di essere legati ad al-Qaeda. Di sicuro alcuni militanti hanno combattuto in Iraq al fianco di Musab al-Zarkawi. In un’intervista del 2007 Ghandi al-Shamani negò questo legame, anche se ammise che diversi libanesi combatterono in Iraq contro gli invasori americani, come negò categoricamente ogni legame con la Siria.