E’ mezzogiorno di giovedì 18 agosto quando il bus numero 392 della Egged, da Beersheva a Eilat, viene crivellato di colpi. Accade a pochi chilometri a nord della città israeliana sul Mar Rosso. Sono tre gli uomini armati a fare fuoco. Sopraggiungono immediatamente le pattuglie dell’esercito, ma vengono rallentate dall’esplosione di alcuni ordigni deposti sul ciglio della strada. Mezz’ora più tardi un colpo di mortaio, forse partito dal confinante Sinai egiziano. Subito dopo un altro gruppo spara un razzo anticarro contro un auto civile. Ma l’attacco più sanguinoso è il terzo, quando viene assalito un secondo autobus, facendo sette vittime.

Un’operazione clamorosa, devastante, che ha colpito a morte, anzitutto, i famigerati “infallibili” apparati di Sicurezza israeliani. Ci sono infatti forti dubbi sulla veridicità di quanto subito affermato dalle fonti ufficiali israeliane, secondo cui «tutti e sette i terroristi sono stati uccisi». Il sospetto è invece che i due commando siano riusciti a sfuggire all’imponente caccia all’uomo scatenata. Per di più, nella scomposta reazione, l’esercito israeliano ha ucciso tre guardie di frontiera egiziane, “scambiate per errore per terroristi”. Allo smacco clamoroso si è aggiunto dunque un grave autogol, che ha costretto il governo sionista a presentare le proprie scuse all’Egitto, dopo che questo, in segno di protesta, aveva richiamato il proprio ambasciatore.

La sera stessa del 18 il governo israeliano lancia la sua aviazione contro Gaza. Iniziano una serie di bombardamenti che faranno 15 morti e decine di feriti, tra cui bambini e civili inermi. Nel primo attacco, a sud della Striscia, sono stati uccisi cinque militanti dei Comitati Popolari di Resistenza Popolare (CPR). La tesi delle autorità sioniste, non suffragata da alcuna prova certa, è infatti quella che non solo i commando che hanno compiuto gli attacchi in mattinata sarebbero partiti da Gaza, ma che la paternità dell’attentato era da attribuire ad un’organizzazione specifica: i Comitati Popolari di Resistenza Popolare (CPR). Fondati a Gaza, all’inizio della “seconda Intifada” (settembre 2000) da Jamal Samhadana, un ex dirigente di al-Fatah, i CPR, più che un movimento politico indipendente, sorsero come struttura di autodifesa unitaria, della quale potevano far parte militanti delle Brigate al-Aqsa, della Jihad islamica e anche del Fronte popolare di liberazione della Palestina. Per aver compiuto e rivendicato una serie di micidiali attacchi contro le forze israeliane, i CPR divennero un bersaglio delle rappresaglie sioniste, che riuscirono ad uccidere Samhadana l’8 luglio del 2006. I CPR, per quanto indipendenti da HAMAS, fanno parte del fronte unito palestinese che si costituì a Gaza in occasione di “Piombo fuso”.

Sta di fatto che a margine dei funerali dei cinque militanti uccisi, svoltisi a Rafah il 19 agosto, Abu Mujahid, portavoce dei CPR, ha negato decisamente ogni coinvolgimento nell’attacco di Eilat, pur tuttavia rendendo onore a chi quell’attacco ha compiuto. Abu Mujahid, alludendo alle proteste di piazza contro il carovita in atto da alcune settimane in Israele, ha poi affermato che  “gli occupanti vogliono attribuirci la responsabilità dell’attentato allo scopo di sottrarsi ai loro problemi interni”.

La ritorsione israeliana su Gaza ha obbligato anche HAMAS a dichiarare sepolta la tregua siglata, grazie alla mediazione egiziana, il 19 giugno scorso. HAMAS ha infatti dichiarato che i bombardamenti hanno violato palesemente gli accordi di cessate il fuoco. A ragione! Ve li ricordate i sanguinosi attentati terroristici del 26 novembre 2008 a Mumbai? Ci furono 195 vittime e circa 300 feriti.  Immaginate adesso che per ritorsione il governo indiano avesse deciso, siccome venne provata la provenienza del commando dal Pakistan, di bombardare Lahore o Karachi. Solo ad Israele è permesso di calpestare le più elementari regole internazionali, di agire come stato terrorista, e di trattare il popolo palestinese, proprio come i nazisti trattavano gli ebrei.