Il gioco non vale la candela

Il 9 agosto scorso, mentre la bufera finanziaria toccava l’apice della sua intensità, diffondevamo il testo convocatorio dell’assemblea del 22 e 23 ottobre: «FUORI DAL DEBITO! FUORI DALL’EURO!». Malgrado l’andazzo ferragostano questo stringato Manifesto ha ottenuto una certa risonanza e, come c’era da attendersi, ricevuto critiche da più parti.

Queste  sono di vario genere: da quelle di segno europeista (“e che torniamo indietro allo Stato-nazione?”) a quelle di marca sfacciatamente liberista (“sia benedetta quella che chiamate “speculazione finanziaria”, che è solo grazie ad essa che il capitalismo si libererà della sua zavorra statalista e riprenderà a marciare a vele spiegate”). Abbiamo poi ricevuto le tipiche critiche di un certo estremismo di sinistra (“la soluzione è solo la rivoluzione socialista”), e quelle dei “realisti” (“cancellare il debito e uscire dall’euro, significherebbe affondare l’Italia e i primi a lasciarci le penne sarebbero proprio le masse popolari”).

Le prime tre obiezioni sono, come ognuno capisce, smaccatamente ideologiche. Per esperienza sappiamo che c’è poco da fare con coloro che antepongono la fede ideologica, sia essa europeista, liberista, o estremista di sinistra, alla ragione — non usiamo deliberatamente il parolone “scienza”. Non si possono spiegare i colori ai ciechi o la musica ai sordi.

La quarta obiezione, quella “realista”, merita invece una replica. Lo faremo ricorrendo ai numeri, non perché noi si abbia un rispetto reverenziale per il dato matematico, ma perché i numeri ci aiutano a ben comprendere quattro cose: (1) Manovra e Manovra Bis non faranno uscire il paese dal marasma; (2) Le misure prese precedono una terapia shock, una cura da cavallo terribile; (3) i costi sociali di questa cura da cavallo hanno grande possibilità di ammazzare il cavallo; (4) quarta cosa: cancellare il debito e uscire dall’euro sono le sole misure realiste per evitare al paese di subire una catastrofe di portata storica.

Due varianti di irrealismo

I “realisti”, tutti convenendo che i debiti contratti lo Stato deve pagarli e che sarebbe impensabile uscire dall’euro, si dividono sulla terapia, ovvero su come distribuire i costi sociali della “Manovra”. I “realisti di sinistra” vorrebbero che a pagare di più fossero i ricchi, i “realisti di destra” vorrebbero invece che pagassero di più le masse popolari.

In verità si tratta di  due varianti di irrealismo. Esse avrebbero un margine di credibilità se la crisi con cui il paese deve fare i conti, fosse passeggera, relativa, settoriale. Ma la crisi è storico-sistemica: sta crollando il modello stesso su cui l’Occidente imperialistico ha costruito la sua egemonia. Ci si dice che sì, è in crisi il modello neoliberista venutosi affermando dalla fine dei settanta (consumismo a go go, indebitamento generale, finanziarizzazione senza limiti) e che si potrebbe ben tornare alle politiche keynesiane dell’età dell’oro post bellica.

Impossibile! C’è un limite invalicabile alle politiche espansive pubbliche di tipo keynesiano. «Il debito pubblico complessivo degli Stati Uniti e dell’Unione europea dal 2007 al 2010 è aumentato di circa 5.800 miliardi di euro, un valore pari a circa i due terzi del Pil dell’Eurozona». [Marco Fortis, Il Sole 24 Ore del 24 agosto] In queste condizioni, dopo che gli Stati si sono dissanguati per salvare il sistema bancario occidentale, accollando così i debiti privati sulle spalle pubbliche, una via d’uscita keynesiana è una chimera. Se c’era una possibilità keynesiana di arrestare la catastrofe, questa c’era dopo il crack Lehman: gli Stati si sarebbero potuti indebitare, ma non per socializzare i debiti privati, ma per sostenere investimenti e consumi. Questo non venne fatto perché ciò implicava lasciare andare in bancarotta il sistema bancario, non solo americano, ma pure europeo — ciò che equivaleva, dato il livello raggiunto dalla finanziarizzazione delle economie dei paesi occidentali, avere il coraggio di determinare una catastrofe programmata. Il vero realista, dovrebbe quindi prendere atto che il latte è stato versato, che le mammelle degli stati non hanno nutrimento per rilanciare investimenti e consumi. Hic Rhodus, hic salta!

Marasma epocale

Siamo nel pieno di un marasma epocale, questa è la verità. E non se ne esce se non con misure eccezionali e radicali. Altro che i pannicelli caldi delle manovre di aggiustamento! Il motore è scassato e non si può riparare.

Vi pare possibile che «la capitalizzazione di borsa di Google, un’azienda che 13 anni fa nemmeno esisteva, è oggi pari a 1,8 volte il valore di mercato di tutte le banche italiane? [Marco Liera, Il Sole 24 Ore del 24 agosto]. Vi pare possibile che la Fed americana, dopo aver sborsato più di 1200 miliardi di dollari per salvare il sistema finanziario debba oggi sborsarne altri 200 solo per evitare il fallimento imminente della Bank of America (BofA)? [Financial Times, del 23 agosto] Vi pare possibile, a proposito di eurozona, che la Grecia, malgrado i piani draconiani di rientro dal debito, debba pagare, sui titoli a due anni, un interesse del 40,47%, quaranta volte più alti di quelli tedeschi? [Blitzquotidiano.it, notizia del 24 agosto]. Vi pare possibile che grandi investitori comperino titoli svizzeri con un rendimento negativo? O anche quelli americani che tenuto conto dell’inflazione sono anch’essi a interesse negativo? Vi pare possibile che non solo le transazioni di titoli tossici (derivati) siano oggi più ampie di prima del crack Lehman, ma che le piattaforme alternative (fuori da ogni controllo) si scambino più derivati delle borse ufficiali? [Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore del  25 agosto]

Un indice quasi infallibile della catastrofe che si annuncia è il balzo dei Cds (Credit Default Swap, nient’altro che un tipo di derivato, un titolo tossico!), delle polizze assicurative con cui ci si protegge dal rischio default della controparte. L’altro ieri l’indice Cds dei 25 principali titoli finanziari europei, ha toccato il livello di 252 punti, una quota mai vista prima. Balzati verso l’alto anche i Cds di Deutsche bank, Ubs, Credit suisse, per non parlare delle banche e dei titoli italiani. [Luca Davi, Il Sole 24 Ore, del 24 agosto]. L’ex governatore della Federal Reserve, Alan Greenspan, per quanto screditato, la sa lunga e afferma: «L’euro si sta dissolvendo … questa è la causa delle difficoltà del sistema bancario europeo… La contrazione del vecchio continente, che rappresenta un quinto delle esportazione made in USA e anche il 20% degli utili delle nostre multinazionali.. è una minaccia per noi americani». [Financial Times, del 23 agosto]

Italia: facciamo parlare i numeri

Ma veniamo a noi, veniamo all’Italia, e spieghiamo perché, quale che siano le “manovre di lacrime e sangue”, il nostro paese potrebbe andare incontro alla bancarotta. Facciamo parlare i numeri.

Primo dato: l’Italia ha un debito pubblico di 1900 miliardi di euro. Secondo dato: paga 80 miliardi all’anno di interessi ai suoi creditori. Terzo dato: questi creditori sono per il 50% esteri; l’altra metà per il 40% è posseduta da banche, assicurazioni e fondi pensioni; meno del 10% del debito italiano è in mano ai “risparmiatori” (che non sono tutti piccoli, anzi).

Solo per mantenere invariato il livello assoluto di questo debito, l’Italia deve avere un bilancio in pareggio. Per averlo in pareggio non solo deve avere entrate superiori alle spese d’esercizio, ma anche pagare gli interessi — 80 miliardi appunto: il 4,5% del nostro Pil. Quindi le entrate dovranno essere superiori alle spese d’esercizio di circa 5 punti percentuali di Pil.

Che paghino di più i ricchi o la povera gente, la questione di fondo e preliminare è un’altra: dove andiamo a prendere 5 punti di Pil se non ci sarà una crescita economica consistente? Le manovre di luglio e quella bis di agosto prevedono il pareggio di bilancio nel 2013. Obbiettivo realistico? No, non è realistico! Secondo i calcoli degli analisti e dello stesso Ministero dell’economia, per avere un surplus primario di 80 miliardi, non solo occorre falcidiare la spesa pubblica, ma avere una crescita del Pil del 3%. Non è realistico perché nessuno scommetterebbe un soldo bucato su una crescita del 3%, tanto più perché le due manovre sono a forte impatto recessivo e quindi rendono improbabile anche una crescita allo 0,1%.

Ma ammettiamo, per pura ipotesi che le speranze degli azzeccagarbugli che comandano, di destra e di sinistra,  si avverino. Nel 2013, con le masse popolari quasi alla fame e con un tasso di disoccupazione che non è detto si abbassi, avremo pur sempre, dati del governo, un debito pubblico pari al 118% del Pil, solo un punto in meno di oggi. Avremo insomma, malgrado le lacrime e il sangue, un debito assoluto tra i più alti del mondo, obbligati a mantenere una politica di estremo rigore per un surplus primario di 5 punti del Pil, e tutto questo solo per pagare gli interessi alla speculazione finanziaria internazionale e nazionale.

Marco Fortis si pone una domanda e si da una risposta: «Che crescita servirebbe se dal 2013 in avanti volessimo ridurre il rapporto debito/Pil? A debito fermo, per ridurre tale rapporto ai livelli odierni di Germania e Francia, cioè circa all’85%, sarebbe necessario un salto del Pil di valore nominale di ben 650 miliardi rispetto ai livelli del 2013. Un obbiettivo che riusciremmo a raggiungere solo nel 2019 persino nell’ipotesi che l’incremento nominale del Pil possa essere dal 2013 in poi del 5,5%: una crescita ambiziosa reale del 3% che oggi non è alla portata di nessuno nel mondo avanzato!» [Il Sole 24 ore del 24 agosto 2011]

Insomma nemmeno una improbabile crescita economica sarebbe sufficiente per abbattere il rapporto debito/Pil, e quindi per mettere al riparo l’Italia da attacchi devastanti della finanza predatoria mondiale. Dal che si deve necessariamente dedurre che anche ove i saldi restassero davvero invariati, le due manovre estive, malgrado i tagli draconiani alla spesa e l’assalto alle condizioni di vita delle masse popolari,  non eviteranno al paese il rischio di una catastrofe.

Avevamo detto, in un articolo dei primi di agosto che, gira che ti rigira, ci sarebbe voluta una patrimoniale di 200/300 miliardi. Qualcuno ci prese per matto. In verità era una stima per difetto. «Per abbattere il rapporto deficit/Pil italiano ai livelli francese o tedesco bisognerebbe applicare un prelievo di circa 650 miliardi alla ricchezza degli italiani (nell’ipotesi che tale tassa gravi sul 25% delle famiglie più abbienti, si tratterebbe di un prelievo medio di ben 135mila euro a famiglia» [Marco Fortis, Ibidem]

V’è infine un ultimo, “piccolo” particolare. E’ evidente che questa terapia shock, più che per salvare l’Italia, è concepita per salvare l’euro. E chi può escludere, proprio come dice Greenspan, che l’euro non collassi comunque? Magari a causa della bancarotta di qualche altro paese?  Perché è un assurdo monetario che non può reggere alla crisi sistemica?

In effetti siamo al paradosso: gli oligarchi e i tecnocrati europei, politici italiani tutti ubbidienti, ci chiedono di sopportare una cura da cavallo, che non solo rischia di ammazzare il cavallo italiano, ma che si potrebbe rivelare del tutto vana a livello macro, poiché l’euro è comunque condannato a  morte. Dissanguarsi per tenere in vita l’euro non è solo ingiusto, è del tutto irrazionale.

Chi ha orecchie per intendere intenda!