Per SEL guai a chi tocca l’euro, che presto sarà gestito da Mario Draghi, il «Papa laico» di Vendola
Cosa pensano i vendoliani della crisi? Qual è la loro proposta sul debito? Misteri fitti, che certo non si dissolvono con la lettura delle vuote frasi del loro leader. Il quale, peraltro, appare in tutt’altre faccende affaccendato. Sul sito di Sel, la sua ultima dichiarazione si occupa della decisiva importanza delle imminenti primarie in Molise! Eh sì, forse non lo sapevate, magari siete troppo occupati a cercare di capire quale forma ultima prenderà la manovra bis in parlamento, ma domenica 4 settembre sarà una giornata storica per quella regione…
Così, mentre il Capo si occupa maniacalmente delle primarie, tocca al solito Alfonso Gianni dire qualcosa. Lo fa con un articolo dal titolo un po’ curioso: «Merkel-Sarkozy: contro l’Europa». Ora tutti sanno, probabilmente anche in Sel, che l’asse Merkel-Sarkozy (cioè Germania-Francia) è l’Europa. Non è quella, ma guarda un po’, che vorrebbe Alfonso Gianni, ma è quella che esiste realmente da decenni, che da dieci anni ha una moneta circolante che si chiama euro, che ha una struttura oligarchica ed antidemocratica senza uguali al mondo, al punto che la politica non la fanno i governi, né tantomeno il ridicolo parlamento di Strasburgo, ma la fanno i banchieri della Bce a Francoforte.
Gianni la prende alla larga – il fallimento del vertice franco-tedesco, la Tobin tax, i segnali recessivi in Germania, i nuovi ruoli assegnati al super servile Van Rampuy – per arrivare a ciò che veramente gli interessa: attaccare la proposta di uscita dall’euro. Bene, questo è un buon segno, anzi è un ottimo segno. Vuol dire che questa posizione va facendosi strada, insieme a quella – bellamente ignorata dall’ex ghostwriter di Bertinotti – sulla cancellazione del debito. Che per i vendoliani questo sia un problema pressoché insolubile è cosa ovvia, dato che il partito più europeista è proprio il Pd, cioè l’azionista di maggioranza di quella coalizione che Vendola vorrebbe addirittura guidare.
Dunque, quantomeno per convenienza politica, se non proprio per intima convinzione (ma questo non possiamo saperlo), i vendoliani si propongono come estremi guardiani dell’euro. Mentre la possibilità della cancellazione del debito non viene neppure presa in considerazione, quasi fosse una bestemmia. Ed in effetti per le oligarchie finanziarie lo è, oltre ad essere un attacco diretto ai loro interessi. Ovvio che il ceto politico di servizio segua con dedizione ed argomentazioni propagandistiche.
Ma, per fortuna, anche la propaganda ha un limite, e gli argomenti scarseggiano. Ed ecco allora il povero Gianni costretto a replicare lo schemino un po’ stantio degli opposti estremismi. Diamogli la parola:
«Ha ragione da vendere Rossana Rossanda a preoccuparsi per la curvatura che il dibattito nella sinistra, compresa quella di alternativa, ha assunto sul tema europeo. Se la sinistra moderata – almeno nella sua grande parte, come nel caso italiano del Pd – appare prigioniera del mantra della riduzione del deficit, del rigore finanziario e finanche del pareggio di bilancio in Costituzione, capovolgendo così le cause della crisi, come se questa cioè fosse generata dall’indebitamento pubblico e non da quello privato dovuto alla sovrapproduzione da un lato e dai bassi redditi dall’altro; tra le forze dell’alternativa fa sempre più capolino l’idea di fuoriuscire dall’Unione europea o dall’euro, il che è lo stesso».
Da notare che Gianni addebita al Pd il rigore finanziario, ma non la posizione ultra-europeista; mentre fa l’inverso con quelle che definisce «forze dell’alternativa», nelle quali vede rafforzarsi (con orrore) la posizione anti-euro, ma non la proposta di azzeramento del debito. L’ex sottosegretario allo Sviluppo Economico va davvero ringraziato: in questo modo ha involontariamente confessato proprio quello che vorrebbe negare, e cioè che politiche rigoriste e difesa dell’euro sono la stessa cosa e che, all’opposto, la cancellazione del debito e l’uscita dall’euro (e dall’UE) sono i due aspetti decisivi dell’unica linea di alternativa possibile.
Veniamo ora agli argomenti, per cui l’uscita dall’euro sarebbe un disastro:
«A parte che l’uscita dall’euro non risolverebbe il problema del debito dei paesi in maggiore difficoltà, visto che quello giacente all’estero, per molti di essi prevalente, resterebbe espresso in euro, appare improbabile solamente pensare, per non dire progettare, un’idea di sviluppo civile e sociale alternativo – a meno di non proporre una semplice decrescita – se non in una dimensione sovrannazionale, come ci indica la stessa nostra questione meridionale, che non solo è nazionale, ma europea e mediterranea».
Qui Gianni utilizza un trucchetto ed un luogo comune facile da sfatare. Il trucchetto riguarda il debito pubblico. Ovvio che se all’uscita dall’euro non seguisse la cancellazione del debito Gianni avrebbe ragione, ma solo un folle potrebbe concepire una mossa del genere. Come altrettanto folle sarebbe pensare ad una cancellazione del debito senza la contestuale uscita dall’euro. Gianni queste cose le sa come noi, ma le esigenze politiche lo costringono ad un barcamenarsi disonesto quanto ridicolo.
Il luogo comune è quello del disastro economico che seguirebbe l’uscita dall’euro. Abbiamo già scritto che su 34 paesi dell’Ocse, i 5 in stato di emergenza per il debito pubblico appartengono tutti, ma proprio tutti, all’Eurozona: un caso? Ce lo spieghi Gianni questo «caso». E magari lo faccia prima di parlare dei disastri conseguenti all’uscita dall’euro, perché forse lui non se n’è accorto ma il disastro è già iniziato. Ed è avvenuto proprio tenendosi avvinghiati all’euro. Il problema, che quelli come Gianni negano con ostinazione degna di miglior causa, si chiama sovranità monetaria, alias sovranità nazionale.
Facciamo solo un caso, quello della Gran Bretagna. Londra ha un rapporto deficit/Pil vicino al 10% (l’Italia è al 3,9%), ha un economia piuttosto malconcia ed un industria ben più debole di quella italiana, eppure nessuno specula sui titoli inglesi, al punto che quelli decennali hanno dei tassi vicinissimi ai «virtuosi» Bund tedeschi. Ma la Gran Bretagna ha la sovranità monetaria, può decidere il proprio tasso di sconto, se e quando stampare moneta, se e come svalutare o rivalutare la sterlina. Attualmente, ad esempio, il governo inglese ha compiuto la scelta inflattiva proprio per svalutare per quella via il proprio debito.
Sostenere, come fa Gianni, che uscire dall’euro equivarrebbe a proporre la semplice decrescita è veramente disonesto. Forse i paesi europei fuori dall’Eurozona hanno tassi di crescita inferiori a quelli dell’area euro? Non ci risulta. Stando ai dati Eurostat, nel periodo 2000-2007 la crescita media è stata del 2,2% nell’Eurozona, contro il 2,4% di quella dell’intera Unione Europea, mentre nel biennio 2008/2009 la decrescita è stata del -1,9% in entrambe le aree. L’argomento dunque non regge in generale, tantomeno nella fase attuale considerando che le politiche draconiane imposte dalla Bce non possono che produrre recessione nei paesi sotto tiro, ovviamente Italia inclusa.
Naturalmente, nessuno dice che uscita dall’euro e cancellazione del debito siano una comoda passeggiata. Assolutamente no, sono però la condizione necessaria per una rifondazione democratica dell’economia, per una ripartenza su basi completamente diverse, senza di che dire che si vogliono difendere gli interessi delle classi popolari può forse portare ancora qualche consenso elettorale, ma certamente nessun risultato concreto per quelle classi. Noi diciamo che per arrivare ad una simile svolta è necessaria un’autentica sollevazione popolare. Chi pensa invece che si possano ottenere risultati continuando a giocare nell’attuale teatrino della politica lo faccia pure, ma non si illuda troppo sull’efficacia dei propri inganni.
Abbiamo già accennato al nodo della sovranità nazionale, una questione che la sinistra ha rimosso. Gianni, che conosce bene i suoi polli, cerca allora di giocare la carta dell’«internazionalismo». Un argomento di facile presa, quanto altrettanto facilmente sgonfiabile. Leggiamo:
«Ogni sottovalutazione del livello irrimediabilmente mondiale con cui si pone lo scontro tra capitale e lavoro è un errore micidiale. Ogni riduzione, concettuale e spaziale, del campo di questo scontro, introduce un elemento di debolezza per il secondo, non certo per il primo, il quale – da sempre, ma con più forza e agilità ora – si muove su un terreno globale. Lo si vede bene nelle lotte operaie e del mondo del precariato».
E chi glielo ha detto a Gianni che riconquistare la sovranità nazionale equivalga ad una «riduzione, concettuale e spaziale, del campo di scontro»? Ora, anche volendo prescindere dal fatto che oggi non vediamo nulla che assomigli vagamente ad una qualsivoglia forma di «internazionalismo proletario», facciamoci una semplice domanda. Cosa farebbe più paura alle oligarchie finanziarie transnazionali: uno sciopero generale, poniamo europeo, inevitabilmente egemonizzato dai sindacati collaborazionisti; oppure una sollevazione popolare in un paese come l’Italia, che portasse all’uscita dall’euro, alla cancellazione del debito e dunque ad un inizio di sganciamento dal sistema capitalistico mondiale?
Si dirà che una simile sollevazione non è per ora all’ordine del giorno. Ma, se è per questo, neppure uno sciopero europeo. Il punto è dunque un altro, quello di individuare proposte e percorsi che siano credibili in rapporto alla gravità della crisi, una gravità che molti ancora sottovalutano, o (più probabilmente) scelgono di sottovalutare proprio per sfuggire alla necessaria radicalità delle risposte. E non è difficile capire che l’uscita dall’euro, all’inizio anche di un solo paese, come frutto di una scelta politica consapevole e non come mera conseguenza di un disfacimento incontrollato, sarebbe ben più riaggregante a livello internazionale di un qualsiasi (e per altro improbabile) coordinamento delle politiche rivendicative.
Tornando alla domanda di prima, è del tutto evidente che il contesto europeo è una gabbia all’interno della quale non sono immaginabili riforme, mentre lo sganciamento di qualche paese prima o poi si imporrà. Quale tipo di sganciamento sarà, questa è la vera questione. Ecco perché è necessario porsi in questa ottica fin da adesso, sapendo che la scelta rivoluzionaria si inserisce comunque in una tendenza reale, mentre quella bassamente riformista alla Gianni non ha proprio speranza alcuna.
L’articolo di cui ci stiamo occupando si chiude con questa stanca formuletta:
«Accettare questa Europa o uscirne sono lati di una stessa sconfitta. Lavorare per un altra Europa, misurandosi con il vento di rivolta che soffia nelle sue capitali, significa mettere assieme un pensiero lungo – anche storicamente, visto che quando nacque l’Europa stava assai peggio di oggi – con lo sforzo di prospettare una diversa uscita dalla crisi economica mondiale nella quale siamo immersi».
Se non li conoscessimo, i vendoliani, ci sarebbe di che far cadere le braccia. Ma li conosciamo, e più saranno conosciuti più saranno evitati. Del resto, se Gianni ripropone ancora la favoletta dell’altra Europa – a quando un po’ di analisi concreta della situazione concreta? – il capo della ditta ha nominato di recente Mario Draghi come l’attuale «Papa laico» (vedi Habemus Papam). L’euro sarà dunque presto nelle sue mani papaline, baciate dal fervente governatore della Puglia. Una ragione in più per staccarsi rapidamente dall’Unione Europea, un mostro che finirà comunque per autodistruggersi.