Perché non sosteniamo il regime siriano

[1] Non è possibile giustificare la reazione del regime del Baath alle proteste popolari iniziate il 15 marzo. Per quanto non ci sia una cifra certa dei morti e dei feriti, è fuori discussione che il governo ha reagito in maniera brutale, dichiarando prima lo Stato d’emergenza e il coprifuoco in numerose città, usando addirittura l’esercito e l’aviazione per attaccare città e dimostranti. Il regime ha fatto sparare sui cittadini disarmati, ha scatenato i suoi pretoriani in vere e proprie cacce all’uomo.

Gli arrestati sono diverse migliaia. La sospensione dello Stato d’emergenza non ha cambiato la situazione e il regime ha continuato a colpire approfittando della censura su tutti i mezzi di informazione. Il Campo Antimperialista condanna in linea di principio simili metodi, che sono gli stessi adoprati dai dittatori filo-occidentali contro i loro popoli, i medesimi usati dagli imperialisti nel massacrare le Resistenze. Solo regimi dispostici, paranoici, sordi ai bisogni delle masse e oppressori, possono giungere a simili misure di macelleria verso i loro cittadini. Le rivendicazioni democratiche e di libertà dei siriani sono non solo legittime, ma sacrosante. Sarebbe un errore madornale, tanto più in un quadro segnato dal generale risveglio delle masse arabe, staccare le rivendicazioni antimperialiste da quelle democratiche. Non c’è alcuna vera sovranità nazionale se essa non si basa sulla sovranità del popolo.

[2] La sollevazione popolare siriana dura da cinque mesi. Partita dalla cittadina di Daraa, da uno dei distretti più poveri del paese, malgrado la durissima repressione, si è estesa a macchia d’olio in vastissime zone del paese, giungendo a coinvolgere le periferie della più ricche Aleppo e Damasco, gli stessi campi profughi palestinesi, le minoranze nazionali oppresse come quella curda. Nessun dubbio che la forza motrice della rivolta siano proprio gli strati sociali più diseredati del paese e la gioventù proletaria. La rivolta è esplosa infatti come protesta, in un paese afflitto da una crisi economica drammatica, contro un regime che da anni era diventato un comitato d’affari delle ricche famiglie di affaristi e di capitalisti. Non è un caso che la grande borghesia siriana, compresa quella sunnita, resti avvinghiata al regime del Baath. Come antimperialisti non possiamo che essere dalla parte degli sfruttati, dei poveri, degli oppressi, tanto più quando essi combattono disarmati e con tale coraggio, contro una micidiale macchina da guerra al servizio della classe dominante.

[3] La cricca di tiranni al potere non ha alcun alibi. Essa ha tentato di giustificare la feroce repressione, accusando la protesta di essere una sedizione al servizio di potenze straniere. Solo gli allocchi possono abboccare a quest’inganno. Noi riconosciamo che il regime siriano sostiene la resistenza libanese e parte di quella palestinese. Ma questo regime è lo stesso che ha collaborato con gli americani a squartare l’Iraq, sia nel 1991 che nel 2003. Nessun regime capitalistico, quale è quello del Baath, a causa della sua natura di classe, può essere coerentemente antimperialista. Il tradimento è nel suo Dna, come quando contribuì a dare man forte ai falangisti libanesi nel massacro dei feddayn del campo profughi palestinese di Tel al-Zaatar nell’agosto del 1976. Noi sosteniamo questi regimi quando resistono all’imperialismo, li denunciamo quando tradiscono, li combattiamo quando aggrediscono i combattenti e i popoli oppressi. Non strisciamo mai ai loro piedi. Non è la prima volta che il regime baathista siriano usa demagogicamente l’argomento dell’antimperialismo per nascondere i suoi misfatti, i suoi crimini, i suoi voltafaccia. La realtà è che esso, malgrado un pezzo della nazione sia illegalmente occupato dai sionisti, ha garantito loro una pace da ben quaranta anni. Il particolare va subordinato al generale, la tattica alla strategia, le questioni secondarie a quelle primarie. La caduta del regime siriano, sotto l’impeto della rivolta, rafforzerebbe la generale spinta dei popoli arabi, non solo a liberarsi dei tiranni di vario colore, ma a liberare la Palestina. Affermare che gli insorti siriani siano animati da simpatie verso il sionismo e l’imperialismo è, prima ancora che testimonianza di totale ignoranza sulla società siriana e la sua fiera storia, un insulto indegno. Come è da respingere l’ultima trincea dietro cui si nasconde il regime, quello per cui esso sarebbe un baluardo della laicità dello Stato, dal momento che la protesta ha un chiaro segno democratico e anticonfessionale.

[4] Il regime del Baath è fradicio, è condannato a cadere. Chi pensa che questo crollo sia di per sé un danno alla causa antimperialista sbaglia. Sarebbe un danno se esso fosse sostituito da un regime fantoccio dell’Occidente imperialistico. C’è questo rischio? Sì, questo rischio c’è. Ma non si può addurre ciò come alibi per sostenere una dittatura capitalista che massacra e spara, non sui sionisti, ma sul proprio popolo. Più tempo la cricca del Baath resta in sella, più tortura il suo popolo, più esso fa crescere tra le masse l’idea che esso sia imbattibile e che il solo modo per liberarsi sia quello di chiedere aiuto a potenze straniere. E’ proprio la repressione sanguinaria del regime a spingere i siriani tra le braccia dell’imperialismo. Ammonimento che lo stesso governo iraniano, dopo quello turco, ha dovuto compiere. Tuttavia tutto indica che le fazioni filo-occidentali sono nettamente minoritarie tra gli insorti e un peso ce l’hanno solo tra gli oppositori in esilio. Malgrado tutti i limiti, queste opposizioni, sotto la spinta dei Comitati locali di Coordinamento e della Gioventù rivoluzionaria, hanno inziato a raggrupparsi, dichiarando di respingere ogni ipotesi di intervento esterno, compreso quello turco, perorato da alcuni esponenti siriani d’opposizione. Ed è un segno della forza delle componenti della sinistra antimperialista, e del ridimensionato peso della Fratellanza musulmana, che Burhan Ghalioun sia stato eletto come presidente di una delle alleanze, il Consiglio nazionale siriano di transizione.

Per queste ragioni fondamentali non solo non possiamo stare dalla parte del regime siriano, non solo noi sosteniamo il movimento popolare di protesta, ma ci auguriamo che esso rovesci la cricca del Baath prima possibile. Prima sarà meglio sarà.

7 settembre 2011