Roma, 10 settembre – manifestazione di solidarietà con la rivolta popolare
Siamo partiti presto, da Perugia, con l’autobus organizzato dalla locale comunità siriana. Un successo: autobus pieno, malgrado la manifestazione verso cui stavamo andando fosse stata promossa all’ultimo momento.
Erano settimane che i siriani si riunivano per trovare una piattaforma comune. Pesavano le differenze tra ex- sostenitori del Baath, fratelli musulmani, marxisti. Pesava la paura delle ritorsioni del regime, la sfiducia reciproca. Dopo quaranta anni di un duro regime poliziesco si capisce come tutti sospettino di tutti. Alla fine le diffidenze sono state superate, come pure le idiosincrasie, ed è quindi sorta la «Coalizione nazionale di sostegno alla rivolta siriana», che raggruppa tutti gli oppositori residenti in Italia.
Una grande spinta è certamente venuta anche dall’estero, dai siriani residenti nei vari paesi europei e in Turchia. In particolare dalla nascita del Cnst — ne davamo notizia il 2 settembre.
Il clima che si respirava in autobus era un’anticipazione di quello della manifestazione: un sentimento di combattività, addirittura euforico, non solo perché si pensa che il regime di Assad sia agli sgoccioli, ma per il coraggio e la dignità ritrovati, per avere vinto la paura.
In piazza, per tre ore, è esploso questo sentimento di liberazione dalla paura. La rabbia contro la feroce repressione del regime siriano, l’esultanza per una manifestazione partecipata, malgrado fosse stata organizzata in fretta e furia. Tanta, tantissima voglia di lottare.
Molti gli interventi dei rappresentanti della neonata «Coalizione nazionale di sostegno alla rivolta siriana». Non solo di solidarietà alla rivolta popolare in corso, non solo denunce della repressione, anche riflessione politica. Lo striscione che campeggiava (vedi foto sopra) esprimeva bene un comune sentire: con la rivolta, fino al rovesciamento del regime, ma netta contrarietà ad ogni ipotesi di intervento straniero, tanto più in stile libico. «Mai come in Libia, non chiediamo alcun intervento straniero, ci libereremo da soli della dittatura!». C’è stato chi ha ricordato il carattere non-violento del movimento popolare, e quindi del coraggio con cui, i giovani soprattutto, affrontano a viso aperto cecchini e carri armati. Tanta rabbia per il rifiuto del regime di dialogare con il movimento, di aprire alle rivendicazioni democratiche per la giustizia sociale — a testimonianza che non erano pochi, anche tra chi stava in piazza, quelli che fino all’ultimo hanno creduto alle promesse di riforma che Bashar aveva fatto, anche anni addietro.
«La nostra non è una semplice rivolta, è una rivoluzione democratica: vogliamo che il popolo sia sovrano, per questo chiediamo elezioni libere e una nuova costituzione. Se davvero il Baath pensa di essere così forte, accetti la sfida elettorale!».
Nella stessa direzione gli interventi degli esponenti della Fratellanza musulmana, che hanno insistito anche loro sul carattere unitario della rivolta, che non vuole essere né settaria né confessionale, che deve unire in un unico movimento di liberazione tutti i siriani: musulmani, cristiani, alawiti, siriani, curdi, armeni e assiri. Molti hanno messo l’accento su questo punto, visto che il regime si barrica dietro l’alibi che, ove esso cadesse, ci sarebbe il diluvio della guerra confessionale in stile libanese.
Destituito di ogni fondamento anche il secondo alibi del regime di Assad, quello per cui esso solo è paladino dell’indipendenza nazionale e della lotta contro la minaccia sionista. Nessuno, tra chi sostiene la rivolta, dimentica la minaccia israeliana, nessuno — malgrado l’appoggio ad Assad di alcune formazioni di sinistra palestinese — dimentica il sacro dovere di sostenere la causa della liberazione della Palestina. Questo discorso viene ribadito sia dalle correnti islamiste che da quelle di sinistra, che formano l’ossatura del movimento di opposizione ad Assad.
Questo spiega come mai l’intervento svolto da un compagno del Campo, sia stato accolto con tanto caloroso affetto. Un intervento certo non reticente, che ha denunciato come ipocrita e pelosa la politica dell’Occidente imperialista, la stessa che ha squartato l’Iraq, che occupa l’Afghanistan, che ha bombardato la Libia, che ha appoggiato fino all’ultimo satrapi come Ben Alì e Mubarak, e che tiene in piedi i governi fantoccio per dividere e meglio opprimere i popoli arabi. La lotta per la libertà dei popoli è una lotta antimperialista, e la lotta per la democrazia non è che una delle forme che assume la Resistenza di questi popoli contro ogni forma di oppressione.
Patetica la figura fatta da Livia Turco, del PD, che passata di lì per caso, ed invitata dagli organizzatori ad esprimere la sua solidarietà, non è andata oltre che poche e vacue parole di cortesia. Un intervento non molto dissimile da quello prima svolto dai compagni di Socialismo Rivoluzionario.
Non siamo stupiti che si sia data la parola anche ad un alto esponente del Pd. Si manifesta qui una delle criticità che noi abbiamo già segnalato. Il rifiuto di ogni intervento esterno, netto in tutti gli appelli delle opposizioni siriane, si affianca alla richiesta, rivolta alla cosiddetta comunità internazionale, sia di isolare politicamente il regime di Assad che di sanzioni. Uno degli oratori alla manifestazione di ieri ha così rivolto un appello al Presidente Napolitano e al governo italiano affinché l’Italia rompa le relazioni diplomatiche con Damasco. Non siamo stupiti visto che in molte altre occasioni i movimenti di solidarietà chiesero, in tutti i casi di lotta contro i regimi dittatoriali, la stessa cosa — ad esempio ai tempi della lotta contro l’apartheid in Sudafrica, o ancora oggi nel caso di Israele. Non è facile convincere i compagni siriani, dopo tutto il sangue che scorre da mesi, che il regime di Assad non è equiparabile a quello sionista o sudafricano.
In effetti non si può chiedere al popolo di sopportare una tirannia perché quest’ultima, sul piano geopolitico, è un avversario storico di Israele. «Il nostro diritto alla libertà viene prima di tutto, non può essere messo in opposizione ai diritti dei palestinesi o dei libanesi. Quando ci saremo liberati dalla dittatura di Assad non scenderemo certo a patti con i sionisti», ti rispondono.
Contenti per il successo della manifestazione, i compagni e i fratelli siriani si riuniranno presto per promuovere nuove e più forti mobilitazioni, di qui, l’invito a noi rivolto perché cresca la solidarietà in Italia.