Il popolo siriano è in lotta per la democrazia da mesi. Mentre il regime di Assad rivela la sua incapacità di riformarsi, rispondendo alle legittime richieste popolari solo con la violenza bruta, il movimento si trasforma sempre più in senso rivoluzionario. 

Rivolta contro il neoliberismo

In Europa (e anche tra i siriani in esilio) si parla solo di democrazia – ma questo è pericoloso, visto che la “democrazia”, negli ultimi decenni, è diventata un prodotto neo-coloniale di esportazione (vedi Iraq e Afghanistan). Senza alcuna ulteriore specificazione “democrazia” significa semplicemente il dominio, più o meno indiretto, dell’oligarchia occidentale, quindi l’esclusione, politica e sociale, delle classi più povere.

In Siria, come nel mondo arabo in generale, noi vediamo un movimento popolare contro le élite capitaliste che beneficiano del legame con la dittatura. Spesso questi legami sono garantiti da rapporti familiari o di clan, come esemplificato dal cugino miliardario di Assad, Rami Makhlouf. Questo aspetto sociale della questione, sottolineato dalle forze rivoluzionarie siriane interne, è decisivo. La democrazia per le masse popolari è possibile solo in combinazione con la giustizia sociale e l’indipendenza socio-economica dall’Occidente.

Contro l’ordine regionale

In contrasto con la maggior parte delle dittature arabe filo-occidentali, il regime di Assad ha ottenuto la sua legittimità dal fatto di presentarsi come forza di opposizione o di resistenza davanti agli Stati Uniti e ad Israele. In effetti Damasco, mentre sostiene Hezbollah libanese che ha resistito all’assalto israeliano, ha offerto un rifugio per proteggere i gruppi della resistenza palestinese e fa parte di un asse con Teheran, in aperta sfida alla supremazia degli Stati Uniti.

Questo appoggio è, tuttavia relativo e strumentale. Quando nel 1970 la rivoluzione libanese procedeva mano nella mano con la resistenza palestinese, Assad intervenne militarmente e la colpì duramente. Più tardi il controllo siriano sul Libano è stato ottenuto in cambio del sostegno all’aggressione USA contro l’Iraq nel 1991. Non vi è alcun trattato di pace con Israele, visto che i sionisti si rifiutano di restituire il Golan, ma la Siria non oppone una esistenza attiva contro Israele. Pur di sopravvivere, Assad difende lo status quo regionale, proprio quello status quo che il movimento di massa democratico sta combattendo in tutta la regione.

Una vittoria della rivolta siriana significherebbe un altro duro colpo contro la supremazia degli Stati Uniti nella regione, e spingerebbe i movimenti popolari più avanti. I risultati sono, comunque, aperti a diversi esiti. Se le forze rivoluzionarie non sono prudenti, l’imperialismo è pronto ad utilizzare strumentalmente gli sconvolgimenti in atto per ristrutturare il proprio dominio (vedi Libia).

Laicità contro il settarismo

Assad tenta di porsi come garante della laicità dello stato. In realtà è vero il contrario. La stretta connessione tra il potere politico, militare ed economico e la comunità alawita alimenta in realtà i conflitti settari.

Come i suoi omologhi in Egitto e Tunisia (e come viene fatto oggi dai governo e dai media occidentali) il regime di Assad demonizza l’islamismo sunnita. In realtà le sollevazioni popolari hanno obbligato gli islamisti a condividere l’agenda democratica, indebolendo la loro egemonia. Del resto l’islamismo sunnita in Siria è debole, come conseguenza della rivolta armata del 1982 e anche a causa della composizione multi-religiosa del paese. Oggi i gruppi salafiti anti-democratici sono una minoranza insignificante.

I movimenti democratici indicano che il ciclo ascendente islamista sta volgendo al termine. Le masse non hanno più bisogno dell’Islam per alzare la voce contro il dominio occidentale. Anche se continuano a difendere la loro identità islamica, gli islamisti prima di tutto chiedono e lottano per la democrazia. In questo senso la sollevazione siriana non è diversa dalle altre. D’altra parte a Washington hanno capito che debbono cooperare con gli islamisti, e che per frenare l’unità rivoluzionaria delle masse debbono cooptare almeno una parte dei Fratelli Musulmani.

Così abbiamo un altro esempio di come rapidamente, in base alla realpolitik, i “cattivi” possono trasformarsi in “buoni”, e viceversa.

Oltre al regime siriano, quelli che spingono il conflitto verso una deriva settaria tra le comunità religiose, sono le forze filo-occidentali e in particolare gli alleati dei sauditi (che non sono molto interessati alla democrazia). L’unica forza in grado di garantire l’unità tra tutte le confessioni è il movimento democratico stesso. Tutte le sue componenti, che vanno dalla sinistra, ai nazionalisti fino alle alle forze islamiche, continuamente sottolineano gli obiettivi multi-confessionali e anche laici, consapevolmente agendo contro il settarismo.

Contro l’intervento militare e le sanzioni

Rivoluzioni autentiche non vengono mai gratuitamente, esse richiedono dei sacrifici. Questi non saranno alleviati dall’eventuale ingerenza occidentale, al contrario. La cosa peggiore che potrebbe accadere al movimento siriano è un intervento militare occidentale o turco (con l’appoggio occidentale). Esso distruggerebbe i frutti della rivoluzione al fine di trasformare la Siria in una semi-colonia “democratica”. La tragedia libica non deve ripetersi. In Libia le multinazionali occidentali hanno sfoderato le loro spade. Per loro la “democrazia” è il diritto a sfruttare. (In realtà sembra che le bombe della NATO porteranno al potere gli islamisti pro emirati del Golfo.)

La richiesta di sanzioni è sbagliata, se essa è indirizzata alle potenze occidentali, chiedendo loro di intervenire. Queste ultime sono desiderose di ottenere dal movimento democratico il semaforo verde per l’intervento. Quale sarà la logica conseguenza se le sanzioni occidentali non otterranno alcun risultato? Il ricorso ai mezzi militari.

Una rivoluzione autentica non lo è solo di nome, essa deve avanzare verso la libertà e la giustizia sociale, negli interessi della stragrande maggioranza del popolo e soprattutto dei più poveri e dei diseredati. Sarà un rivoluzione democratica se il potere sorgente sarà nelle mani delle classi inferiori. Non merita il nome di democratica una rivoluzione che si appella all’aiuto delle potenze ex coloniali, che in ultima istanza sono quelle responsabili della miseria. La rivoluzione deve ottenere maggiore indipendenza dall’Occidente (politica, militare, economica, e culturale) non meno che da Assad. Altrimenti diventa una controrivoluzione in nome della democrazia.

Abbasso l’ordine imperialista!
La democrazia è il potere del popolo altrimenti non è democrazia!

Vienna, 16 settembre 2011
Volantino distribuito alla manifestazione della comunità siriana a Vienna

Traduzione a cura della Redazione