La letterina Draghi-Trichet del 5 agosto è ormai pubblica: nessuna sorpresa, tanti motivi di riflessione

In molti si lamentano dell’assenza di un governo europeo. In realtà, però, un governo esiste ed è quello della Bce. Il Corriere della Sera di oggi pubblica il testo integrale della lettera recapitata a Palazzo Chigi lo scorso 5 agosto. Come noto, è sulla base di quella missiva che il governo italiano decise di varare in fretta e furia la manovra economica di Ferragosto.

Non si può dire che il testo sia sorprendente, dato che conferma le indiscrezioni uscite un po’ su tutti gli organi di informazione in quei giorni. Tuttavia, una cosa sono gli spezzoni già noti, altra cosa un testo integrale di una gravità inaudita. Si è detto, giustamente, che l’Italia è ormai un Paese commissariato. La lettera ne è la prova lampante. Esaminiamola.

Trichet e Draghi – con un ruolo certamente decisivo del secondo – non danno consigli, danno ordini. Ovviamente nella lettera non c’è scritto, ma anche i bambini sanno che l’esecuzione di quegli ordini era la condizione posta affinché la Bce acquistasse una certa quantità di Btp, onde impedire il tracollo dei titoli del debito pubblico italiano.

Ma, significativamente, la lista degli ordini non inizia con quelli sui conti pubblici, bensì con quelli su privatizzazioni, superamento del contratto nazionale, libertà di licenziamento.

Al primo posto le liberalizzazioni, alias privatizzazioni: «E’ necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala».

Al secondo posto i contratti: «C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione».

Al terzo, come già detto, la libertà di licenziamento, ovviamente presentata con il solito linguaggio ingannevole di tanti accordi sindacali: «Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e i settori più competitivi».

Tutti questi tre punti sono stati integralmente recepiti dal decreto di Ferragosto, e sono stati ratificati dal voto parlamentare di settembre. Nel merito abbiamo sentito molte giuste proteste contro il governo Berlusconi, ma pochissime proteste (che sarebbero state ancora più giuste) contro l’Unione Europea.

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Anche sui conti pubblici la letterina non si limita ad indicare cifre, date, obiettivi di bilancio. Essa entra invece nel merito delle misure da prendere. E lo fa con estrema pesantezza, affinché sia chiaro chi comanda.

Qui gli ordini più secchi riguardano le pensioni, il pubblico impiego e addirittura le riforme istituzionali e le modifiche costituzionali.

Ridiamo la parola al duo dei vampiri Trichet-Draghi, partendo dalle pensioni: «E’ possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilità per il settore pubblico».

Non meno esplicito il punto sul pubblico impiego: «Il governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turn over e, se necessario, riducendo gli stipendi».

Un aspetto che non era risultato così esplicito ad agosto è quello della netta invasione di campo in materia istituzionale: «C’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)».

Infine – invasione di campo ancora più grave – la Bce arriva alla Costituzione repubblicana: «Sarebbe appropriata anche una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio».

Come si vede i sogni dei Tremonti, dei Brunetta, dei Sacconi sono tutti condensati nella letterina Trichet-Draghi. Ma mentre i tre ministri citati sono giustamente oggetto di scherno quotidiano, ben pochi denunciano il ruolo della Bce e dei suoi dirigenti, attuali e futuri, che nessuno ha eletto e nessuno eleggerà mai.

Su questi punti il governo ha eseguito gli ordini di Francoforte, in qualche caso al 60% (pensioni), in altri al 100% (pubblico impiego), in altri ancora al 120% (pareggio di bilancio da inserire nella Costituzione), mentre sulle province chi vivrà vedrà. Ma se gli esecutori meritano la condanna, che dire dei mandanti? E che dire dell’istituzione (l’Unione Europea non la sola Bce) che li ha messi al proprio vertice?

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Queste domande sono tanto più interessanti alla luce del dibattito attuale in diversi settori della sinistra. A chi, come noi, indica la necessità di uscire dall’euro, contestualmente alla cancellazione del debito, viene spesso opposta una visione dell’Unione Europea intesa come realtà realmente riformabile.

Questo è il ragionamento che viene formulato in diversi ambienti, tra i quali il gruppo dirigente del Prc: l’Europa attuale non va bene, le regole della Bce vanno cambiate, ma è più facile pensare ad un cambiamento dell’UE che non ad un percorso di riconquista della sovranità nazionale. In realtà sono stato troppo buono: quel che pensano in molti è che della sovranità nazionale possiamo e dobbiamo fregarcene.

Se da un lato veniamo accusati di essere utopisti perché immaginiamo che non solo una rivolta, ma un’autentica sollevazione popolare sia possibile oltre che necessaria; dall’altro ci viene riproposta l’idea della riformabilità dell’Unione Europea. Al che sarà se non altro chiaro, almeno alle persone dotate di un briciolo di raziocinio, chi è più realista dell’altro.

La fantomatica «Europa dei popoli», di bertinottiana memoria, proprio non la vediamo all’orizzonte. Ma se un domani vi sarà non potrà che essere l’Europa dei popoli che si solleveranno contro l’UE.

La letterina di cui ci siamo occupati mostra che un governo europeo esiste, dato che si occupa di privatizzazioni, contratti, diritti dei lavoratori, pensioni, pubblico impiego e finanche della struttura istituzionale e delle norme costituzionali. C’è solo un particolare: si tratta senza ombra di dubbio del governo più antidemocratico della nostra epoca.

Più antidemocratico degli stessi regimi dittatoriali, nei quali perlomeno c’è la consapevolezza di essere governati da una dittatura, dove c’è sempre la speranza del rovesciamento del sistema politico. Speranza che in Europa non può che passare dallo sganciamento del proprio Paese dall’Unione, dalla riconquista della sovranità nazionale.

Ai soliti benpensanti di «sinistra» queste parole sembreranno esagerate. Provino allora a riflettere. Se la democrazia è il «governo del popolo», il governo europeo  – che abbiamo visto esiste e governa, benché nessuno lo riconosca come tale – è quanto di più antidemocratico possa esistere, quanto di più lontano si possa immaginare non solo dai bisogni e dalle aspirazioni dei popoli europei, ma anche dalla possibilità di questi ultimi di contare qualcosa di più di un rotondissimo zero.

Si provi a negare che le cose stanno così. Ma se questa è la realtà, come si fa a pensare seriamente di poterla «riformare»? La verità è che chi dice che ciò sia possibile lo fa solo per non compromettere l’accordo elettorale con il Pd, cioè con il partito più organicamente europeista, più strettamente legato alle oligarchie finanziarie che hanno portato all’attuale disastro.

Presto le «illusioni» riformiste finiranno. E si capirà la necessità della riconquista della sovranità nazionale. Certo, con una sollevazione popolare, mica imbucando una scheda nell’urna. Una via non facile, lo sappiamo, ma più realista delle altre. Di sicuro l’unica strada per liberarsi veramente dei Draghi e dei Trichet.