Pena di morte per un oppositore protagonista delle rivolte di febbraio-marzo ed ergastolo per un altro. Pesanti condanne detentive anche per venti medici del Salmaniya Medical Complex.
Alla fine la mannaia della repressione è scesa sull’opposizione bahranita. Approfittando del silenzio della comunità internazionale e dell’appoggio degli Stati uniti, che a Manama hanno una base militare strategica, la monarchia assoluta al Khalifa nelle ultime 48 ore ha fatto condannare a pene durissime i protagonisti di quella che è passata alle cronache come la primavera di Piazza della Perla.
Un manifestante, Ali Yusef al-Tawil, è stato condannato a morte e un altro all’ergastolo in Bahrain per la morte di un agente di polizia, avvenuta a Sitra, a sud di Manama, durante le proteste antiregime dello scorso febbraio e marzo. Il tribunale militare inoltre ha confermato la condanna all’ergastolo per otto leader dell’opposizione sciita, accusati di aver organizzato la rivolta contro la monarchia.
Ma la mano pesante del re, che chiese ed ottenne l’intervento armato dei soldati sauditi e di altre petromonarchie del Golfo per schiacciare i dimostranti, si è fatta sentire anche su 20 medici sciiti, condannati a pene detentive tra i cinque e i 15 anni, perché trovati colpevoli di aver avuto un ruolo nelle proteste. Tredici medici sono stati condannati a 15 anni di carcere, due a dieci anni e cinque a cinque anni. Tra i condannati vi sono diverse donne. I medici lavoravano tutti al Salmaniya Medical Complex di Manama, assaltato dalle forze di sicurezza dopo il blitz di metà marzo a Piazza della Perla, epicentro delle proteste esplose a metà febbraio. I medici, secondo l’accusa avevano «occupato con la forza» l’ospedale (come, visto che vi lavoravano) e erano in possesso di armi e coltelli. I medici, ha riferito ieri l’agenzia Bna megafono del regime, avrebbero anche «incitato all’odio contro il re, istigato all’odio settario, distrutto proprietà pubbliche e partecipato a raduni «con l’obiettivo di mettere a rischio la sicurezza e commettere crimini».
La prigione a vita per gli oppositori politici e le decine di anni di carcere inflitte ai venti medici, confermano la decisione del re Hamad al Khalifa di impedire in ogni modo che la protesta possa ripetersi, mettendo a rischio il potere assoluto che la sua dinastia sunnita mantiene su questo piccolo arcipelago nel Golfo da più di 200 anni, negando diritti basilari alla maggioranza della popolazione che è di fede sciita. E il sovrano non ha esitato a lanciare accuse di «gravi interferenze» al potente vicino iraniano per sostenere la tesi che la protesta popolare – pacifica e pro-democrazia, come in Egitto e Tunisia – fosse in realtà una rivolta sciita fomentata da Tehran. Tesi subito accolta dall’amministrazione Obama che ha taciuto di fronte alle decine di morti e feriti in Piazza della perla e in altre località del Bahrain, frutto anche dell’intervento militare saudita.
A rompere il silenzio dei governi occidentali – pronti a puntare l’indice contro i dittatori Muammar Gheddafi e Bashar Assad e a tacere sulla repressione scatenata dal re amico al Khalifa – è stata l’organizzazione internazionale Medici per i Diritti Umani che ha denunciato le condanne non solo contro i loro colleghi bahraniti ma anche la pena di morte subita da uno dei dimostranti. «Quei medici stavano facendo soltanto il loro dovere professionale, curavano pazienti, durante quel periodo di disordini, imprigionarli a scopo politico è inconcepibile», ha protestato Hans Hogrefe,il portavoce di Medici per i Diritti Umani. Hanno denunciato le condanne anche il movimento sciita libanese Hezbollah e oltre 200 parlamentari iraniani.
da Nena News