Resoconto della quinta conferenza di sostegno all’Intifada (seconda parte)
Tehran, 4 ottobre – La giornata di sabato si è conclusa con un ricevimento, offerto alle delegazioni internazionali, dal Presidente del parlamento iraniano Ali Larijani. La Quinta Confeernza in sostegno all’Intifada palestinese è quindi ricominciata la mattina di domenica, alle ore 9,30, con mezz’ora di ritardo sulla tabella di marcia.
Come nel programma, in mattinata, l’assemblea si è divisa in cinque commissioni. La prima ha raggruppato tutti i parlamentari presenti. La seconda i rappresentanti dei partiti e dei gruppi politici. La terza coinvolgeva le diverse organizzazioni non governative. La quarta raggruppava gli Ulema e i leader religiosi. La quinta infine i giornalisti.
Ogni commissione ha elaborato un suo proprio documento di sintesi e lo ha poi presentato alla assemblea plenaria, ricominciata dopo pranzo. Molti anche in questa sessione conclusiva gli interventi dei delegati. Un elemento che va sottolineato è la lettura pressoché unanime fornita della nuova situazione mediorientale dopo le sollevazioni popolari in Maghreb e Medio oriente. Tutti gli interventi erano improntati a grande ottimismo riguardo alla causa palestinese, giustificato appunto dai risultati della Primavera araba, primo fra tutti la cacciata di Mubarak, principale guardiano di Israele nella regione. Il comune sentire, in questa Conferenza di Tehran, è che le sollevazioni popolari, malgrado i loro limiti, rappresentino una svolta storica nel vicino oriente, che grazie a queste rivolte popolari Israele è più debole e la Resistenza palestinese più forte.
In questa luce si spiega il relativo isolamento del governo siriano, qui rappresentato dal Presidente del parlamento Mahmoud al-Abrash. Non fosse per la drammatica situazione che la Siria sta vivendo, il rappresentante siriano ha fatto quasi tenerezza. Egli si è ben tenuto alla larga dal dare un giudizio su quanto sta accadendo nel suo paese, per ribadire, con la consueta retorica baathista che la Siria è da sempre un avamposto della lotta al sionismo e che tale rimarrà. Opinione comune, tra i delegati presenti, è che lo resterà anche nel caso il regime del Baath venga travolto. Di quest’idea anzitutto i rappresentanti dei movimenti religiosi arabi, tutti speranzosi che gli islamisti sunniti avranno un ruolo egemonico nella Siria del futuro. HAMAS ha un giudizio più sfumato, ma oramai alle spalle sono i tempi dell’idillio con Damasco, città che Khaled Meshal ha lasciato da due mesi.
Due i momenti apicali della giornata di domenica. Il collegamento in diretta video con Haniyeh da Gaza e l’intervento conclusivo del Presidente iraniano Ahmadinejad. Hanyeh ha svolto un discorso come nel suo stile, asciutto e appassionato. Per certi versi ancor più duro di quello di Meshal del giorno prima. Non ha chiuso la porta al dialogo con Fatah e le altre frazioni palestinesi, ma ha portato un attacco frontale alla mossa del “riconoscimento dello Stato palestinese”, perchè questa, implicando il riconoscimenti di Israele, porta ad una frattura irreparabile tra i palestinesi, visto che HAMAS mai riconoscerà l’entità sionista. Haniyeh ha quindi ribadito che la linea di HAMAS non cambia: “Noi saremo fedeli alla nostra strategia, e la nostra strategia è quella della lotta armata per liberare tutta la Palestina. Da questa politica non ci sposteremo di un millimetro”.
Una posizione netta, in perfetta sintonia non solo con la Repubblica Islamica iraniana, ma con l’assemblea, che ha chiosato Haniyeh con applausi scroscianti.
Gli stessi che hanno accompagnato il discorso conclusivo della conferenza, quello del Presidente Mahmoud Ahmadinejad.
Voce profonda, ritmo calmo. Un discorso dal quale traspariva la straordinaria umanità di questo leader politico, tutta la sua storia politica, di un leader umile amato anzitutto dalla povera gente e dai combattenti. Non è un segreto che molte delle cose che Ahmadinmejad dice e fa non sono digerite da altri ambienti della Repubblica islamica, che gli rimproverano di essere un “populista”, che ama circondarsi di persone poco competenti. Non è un segreto che nello stesso schieramento politico che governa questo grande paese, esistono una varietà di opinioni, spesso anche contrastanti. Ma sulla questione palestinese nessun dissenso qui a Theran è ammissibile sostegno pieno alla Resistenza per liberare tutta la Palestina. Che è ciò che Ahmadinejad ha ribadito con pacatezza ma con fermezza, sempre sottolineando il suo accordo, su questo, con Khamenei. Ahmadinejad ha insistito sul fatto che la questione palestinese non è né una mera questione araba, né solo una questione islamica, che si tratta di una questione centrale per tutta l’umanità, umanità per la quale il sionismo è un vero e proprio tumore maligno.
Due sole cose egli ha aggiunto e che a noi paiono degne di nota. La prima è che quello dell’olocausto ebraico per mano dei nazisti è diventata la sola religione civile dell’Occidente. In Occidente si può criticare tutto quanto, ha insistito Ahmadinejad, si può denigrare chiunque, anche Dio e i suoi profeti, ma se sei considerato un “revisionista”, se neghi l’olocausto non c’è discussione ma la prigione e l’ostracismo.
Il secondo concetto degno di nota riguarda il diritto al ritorno. Khamenei ha insistito sull’idea di un referendum in Palestina, affinché il popolo possa decidere il suo destino e l’autodeterminazione. Ahmadinejad ha avanzato la sua idea: come i palestinesi della diaspora hanno il diritto al ritorno, gli ebrei di recente immigrati hanno il dovere al ritorno, di tornare cioè nei paesi da cui sono venuti. Applausi dei più, perplessità in altri delegati.
L’evento si è concluso con la lettura della dichiarazione finale (che presto pubblicheremo) e, nella commozione generale, con la consegna da parte di un emozionato Ahmadinejad di alcune targhe ai familiari di una decina di martiri palestinesi.
(continua)