La parola a Soubhi Hadadi

Soubhi Hadadi (foto) è un noto scrittore e critico letterario. Oggi vive a Parigi e insegna alla Sorbona. Militante del Partito comunista siriano (tendenza Riad Turk), fu prima costretto alla clandestinità poi a lasciare il suo paese d’origine. Oggi è membro del Partito democratico del popolo, che è attualmente una delle principali forze politiche organizzate in seno alla rivolta siriana. Soubhi Hadadi fu uno dei firmatari della “Dichiarazione di Damasco” nel 2005. Oggi è considerato una delle voci più autorevoli dell’ala sinistra della rivolta democratica siriana.

Il 16 settembre 2011, ha presenziato a Vienna, presso il Centro culturale arabo-austriaco (Okaz), ad un incontro pubblico sul tema «L’Intifada siriana tra repressione e strumentalizzazione». Segue il resoconto del suo intervento e il successivo dibattito.

 

La natura sociale del movimento e le sue componenti politiche

«L’Intifada siriana è basata sugli strati più bassi della società. Le sue radici sociali sono le stesse che in Tunisia e in Egitto. Si tratta di una rivolta contro le insopportabili condizioni di vita della maggioranza della popolazione, mentre le élite vicine al regime godono di privilegi enormi.

La forza d’urto dell’Intifada è la gioventù povera scolarizzata. Siccome il regime non è in grado di controllare completamente Internet, i giovani lo usano per organizzare le proteste. In pochi mesi i Comitati locali hanno dato vita a due diversi coordinamenti rivoluzionari. Il 90% dei circa 30.000 arrestati appartengono a quest’area. Per arginare la rivolta l’inizio dell’anno scolastico è stata rinviato. Ma anche quando finalmente la scuola inizierà, le lezioni saranno scarsamente frequentate.

La seconda componente della rivolta sono i partiti politici tradizionali. Questi sono stati colti di sorpresa dall’eruzione popolare. In un primo momento essi sono stati costretti a correre dietro alla sollevazione, per poi diventarne parte integrante. “Oggi un uomo molto vecchio come Riad Turk è seduto assieme ai giovani rivoluzionari.” Questi partiti hanno le loro proprie ideologie che a volte causano conflitti. Ma spinti dalla rivolta, stanno maturando e in fondo rappresentano un patrimonio prezioso.

Poi ci sono quelli che in un primo momento non si sono opposti al regime e sono stati alla finestra. Il loro approccio è cambiato e molti di loro si sono uniti alla sollevazione, senza tuttavia far parte dei comitati di coordinamento locali o dei partiti.

Per il momento tuttavia, persiste una maggioranza silenziosa che con la sua passività mette in salvo il regime dal collasso. Di questa maggioranza silenziosa fanno parte le minoranze confessionali che si sentono in pericolo».

La decomposizione del regime continua

«In un primo momento molti hanno sperato che grazie alla pressione popolare, il regime avrebbe avviato le riforme. Oramai queste speranze sono state frustrate. L’unica risposta che il regime è stato in grado di offrire è stata una brutale repressione.

Tuttavia, la repressione sta sfinendo l’apparato del regime. Questo non si fida più dell’esercito e non può pienamente utilizzarlo. L’esercito potrebbe fratturarsi ove gli giungesse l’ordine di schiacciare il popolo. C’è solo la ri-organizzata 4a divisione a restare del tutto fedele, oltre evidentemente ai servizi di sicurezza e spionaggio. Questa fedeltà indiscussa non può più basarsi solo sulla fedeltà alla setta islamica alawita. Nelle odierne condizioni questa lealtà settaria non è sufficiente, in quanto vi sono gravi conflitti anche all’interno della comunità alawita. Ormai la fedeltà al regime della 4a divisione è principalmente garantita dai legami con il clan al-Assad.

A causa di effettivi limitati, la 4a divisione ha bisogno di concentrare le proprie operazioni su un bersaglio per volta. Poi si ritirano per concentrarsi contro un’altra città. Nel frattempo il movimento riprende slancio. Quindi un’offensiva generale e risolutiva è impossibile.

C’è quindi una grande differenza con la situazione del 1982/83, quando l’insurrezione armata dei Fratelli Musulmani fu soffocata nel sangue. A quel tempo l’unità delle forze armate, comprese le componenti non alawite, non era in pericolo. La maggior parte del popolo rimase scettica e quindi passiva nei confronti dell’insurrezione.

Ci sono, tuttavia, segnali di problemi e ammutinamenti anche all’interno della 4a divisione. Serpeggiano demoralizzazione crescente e malcontento negli stessi apparati di sicurezza. Anche il reclutamento dei teppisti è in difficoltà. Ci sono rapporti secondo cui, se prima la teppaglia veniva pagata per picchiare i manifestanti, oggi i cittadini vengono pagati per non dimostrare.

Sarebbe tuttavia sbagliato aspettarsi imminenti dimissioni di Assad. C’è ancora molta strada da percorrere, il regime è determinato ad andare fino in fondo. C’è un’Intifada in corso, una rivolta popolare che non è ancora una rivoluzione vera e propria. Ma è chiaro che non esiste la possibilità di un ritorno alla situazione precedente. In un modo o in un altro il regime deve concedere maggiori diritti politici».

Settarismo e islamismo

«Le minoranze religiose restano passive e quindi aiutano il regime a sopravvivere. Prevale, tra queste minoranze, la mentalità che sarebbero in pericolo in caso di rovesciamento di Assad. Il regime ha deliberatamente fomentato questa paura. Ad esempio, ci sono stati casi di attacchi notturni contro le chiese cristiane. Ma il movimento ritiene che questi atti provocatori siano stati commessi dal regime stesso, al fine di creare paura e spingere le minoranze a stare dalla parte di Assad.

La maggior parte dei leader religiosi continuano a sostenere Assad, ma la loro presa sulle comunità sta gradualmente diminuendo. Questo è vero anzitutto per la maggioranza sunnita. Un esempio istruttivo. C’è un video diffuso su internet, in cui gli ufficiali costringono i manifestanti a cantare una canzone che per l’Islam è un peccato molto grave (shahada): “Non c’è altro dio, oltre a Bashar.” Il Mufti ufficiale ha pubblicamente spiegato che questa non è da considerare una bestemmia. Ovviamente tali episodi si traducono in una perdita di credibilità della rappresentanza ufficiale sunnita. In misura minore questo è vero per tutte le confessioni.

Subhi Hadadi ha quindi sottolineato come, in tutta la storia della Siria, le minoranze hanno sempre fatto parte del movimento nazionalista e sono state ben integrate nel sistema politico, più che in altri paesi arabi. «La tradizione secolare è molto forte».

Alla domanda sul perché si debba escludere una degenerazione settaria, di conflitto intra-comunitario, come avvenuto in Iraq, che pur aveva anche una forte tradizione laica, Hadadi ha risposto con diversi argomenti.

«Assad ha bisogno di giocare la carta confessionale ma con cautela, senza esagerare. La sua setta alawita è una piccola minoranza e il suo dominio esclusivo è impossibile. Nemmeno i suoi partner iraniani vogliono questo dominio esclusivo, poiché guardano alle masse arabe sunnite.

Il laicismo degli anni ‘40 e ’50 si è certamente indebolito. L’islamismo sunnita è tuttavia debole oggigiorno, non si è ripreso mai dalla sconfitta dei primi anni ‘80, causata dall’errore fatale dei Fratelli Musulmani di aver scatenato l’insurrezione armata. Come in Egitto, la Fratellanza ha osservato una sorta di armistizio unilaterale con il regime, mentre l’opposizione laica e di sinistra ha continuato a lottare. I Fratelli Musulmani sono stati così sorpresi dalla scoppio dell’Intifada, per poi essersi velocemente apprestati a seguirne l’onda, come l’Islam popolare del resto. I discorsi della Fratellanza, in questi giorni, però, non sono certo diversi da quelli dei laici: anche i Fratelli musulmani chiedono democrazia».

Alla domanda di quale potrebbe essere la posizione dei Fratelli Musulmani in caso di un intervento militare starniero, soprattutto se di parte turca, Hadadi ha detto che sì, in fondo essi potrebbero appoggiare l’intervento, come fatto dai loro amici in Libia, ma che questa posizione non rappresenta il movimento di massa e li condurrà al loro ulteriore isolamento.

«Il movimento democratico si oppone attivamente ad un conflitto settario e fino ad ora c’è riuscito. Non ci sono stati incidenti gravi di tipo settario dal lato della Intifada, nonostante i tentativi del regime di fabbricarli. E’ il regime che è settario, mentre il movimento è il garante della laicità».

Nell’analisi di Hadadi l’Intifada è una sollevazione popolare democratica e sostanzialmente laica, di sinistra e liberale nel miglior senso della parola (da non confondere quindi con “liberismo”). Quindi anche Che Guevara è un simbolo molto diffuso in Siria. Un altro esempio è la posizione sulla questione curda: pieni diritti alle minoranze, ma nel quadro dell’unità del paese.

Non violenza

Hadadi ripetutamente insistito sul fatto che l’Intifada siriana deve rimanere assolutamente pacifica. Qualsiasi tentativo di prendere le armi verrebbe utilizzato come pretesto dal regime, consentendogli di usare massicciamante la forza militare e di coinvolgere quindi tutto l’esercito contro “i terroristi armati”. La conseguenza per il movimento sarebbe o una cocente sconfitta e/o finire per considerare “salvifico” un intervento straniero.

L’intervento straniero

Ogni intervento estero è stato categoricamente respinto da Hadadi. L’esperienza libica è un esempio negativo da evitare ad ogni costo. Ma un tale scenario appare improbabile, poiché la stragrande maggioranza del popolo siriano così come tutte le forze politiche che partecipano al movimento vogliono conservare l’indipendenza nazionale e quindi respingere qualsiasi intervento militare straniero.

«Se la NATO, senza la Turchia, non sarà in grado di intervenire, non vi è alcuna minaccia diretta da parte della Turchia. Al contrario, uno scenario possibile sarebbe quello per cui Assad provoca un conflitto militare con la Turchia al fine di porsi come il difensore della sovranità nazionale.

La minaccia del neo-colonialismo non deve essere usata come scusa per non appoggiare il movimento popolare. Il fattore decisivo storico oggi è l’Intifada contro un regime che ha fatto parte dell’ordine imperiale globale. Il tintinnio di sciabole straniero e addirittura scontri armati limitati non cambierebbe questo fatto, almeno fino a quando il movimento resta determinato e si rifiuta di essere usato come strumento di potenze straniere. L’Intifada non abbandonerà la sua causa solo perché le potenze occidentali potrebbero essere tentate di abbracciarla».

Hadadi ha anche risposto alle domande sul fatto che ci sono state manifestazioni che hanno fatto appello alla protezione straniera e addirittura all’intervento militare. Egli ha affermato che la stragrande maggioranza della rivolta, con tutte le sue diverse rappresentazioni nel paese, rifiuta qualsiasi intervento militare straniero. Tali appelli possono essere considerati casi isolati. Hadadi ha sottolineato la differenza tra l’intervento armato internazionale e la protezione dei civili.

Protezione straniera

«La situazione per la gente che protesta è drammatica. Partecipare ad una manifestazione, visto che si può essere uccisi facilmente, è una sorta di andata al martirio. Diverse migliaia di cittadini sono stati uccisi fino ad oggi, e non c’è una fine in vista. Non è solo comprensibile ma anche legittimo che le persone chiedano protezione. La solidarietà è urgente».

Hadadi rifiuta l’ingerenza degli stati così come le alleanze come la NATO o l’ONU. «Essi si limitano a seguire i propri programmi. Ma ci sono organizzazioni civili che potrebbero servire come osservatori e poi ci sono i media. Entrambi contribuirebbero a limitare la barbarie della repressione del regime. Questo è il motivo per cui non li lasciano entrare».

«Non è sufficiente che la Croce Rossa dia il tempo al regime di trasformare una prigione in un albergo, dove detenuti intimiditi sono allineati sotto alle immagini di Assad, prima che la Croce Rossa visiti un singolo sito scelto con cura».

Alcuni del pubblico hanno obiettato che sia i media che le ONG sono parte del sistema di dominio imperiale, spesso chiamato “soft power”.

Nel confermare questa valutazione, Hadadi ha sottolineato che nelle condizioni date, l’Intifada ha bisogno di usare questi strumenti per l’auto-protezione. «Non c’è altra scelta, in quanto tale battaglia ha anche bisogno di utilizzare i mezzi materiali disponibili. Anche se parte del “soft power” delle élite imperiali globali, sia i media che le ONG sono sottoposte all’esame dell’opinione pubblica. Questo è il motivo per cui possono essere utilizzati per contrastare la grave e sanguinosa repressione da parte del regime, repressione che sta minacciando l’intera Intifada».

Contro le ingerenze svolte dagli esiliati

Per una questione di principio Hadadi si rifiuta di concedere interviste ai media occidentali venduti. Questa decisione è legata alla sua lotta accanita contro i numerosi tentativi di formare consigli o altri organismi in esilio, con la pretesa di rappresentare il popolo siriano. Essi fungeranno da interlocutori per le potenze occidentali che hanno bisogno di camuffare la loro ingerenza con maschera siriana. Il caso libico è una istruttiva lezione.

Hadadi non ha esitato a mettere pubblicamente in guardia i propri amici, come Burhan Ghalioun, ad accettare incarichi da parte di tali conferenze: «Burhan è stato una figura che ha raccolto molto consenso, ma rischia di perdere tale ruolo. Anche a Homs, sua città natale, si sono sollevate voci contro di lui».

Secondo la valutazione Hadadi, il movimento interno, prima o poi, sarà in grado di formare una sua reale rappresentanza politica. Ci sono già i Comitati di coordinamento locali che guidano la lotta. Se la gioventù è pronta a rischiare la vita partecipando alle manifestazioni, allora l’opposizione deve avere il coraggio di andare avanti.

Chi è antimperialista?

Per Hadadi l’Intifada è chiaramente antimperialista, sia nello spirito che nei suoi obiettivi.
«Il regime di Assad è stato parte integrante dell’ordine mondiale globalizzato. Esso rappresenta l’élite sociale ricca, come in Egitto e Tunisia, contro la quale le classi inferiori sono insorte. Non bisogna dimenticare gli inviti ad Assad da parte dell’Eliseo e delle altre potenze occidentali, delle quali Assad rimane essenzialmente prigioniero. Non è un caso se le élite globali e i loro alleati arabi non hanno preso misure contro il regime. Questi ipocriti potrebbero anche sacrificare Assad, se necessario, come hanno fatto con il loro amico Gheddafi. Tutto questo non cambia il carattere anti-imperialista del movimento».

Però Assad sostiene la resistenza palestinese ed Hezbollah in Libano.
«La resistenza palestinese è prima di tutto, per il regime siriano, una questione di propaganda. Per decenni non un solo colpo è stato sparato su Israele sulle alture del Golan. Per di più per il regime è più una questione di controllo dei movimenti di resistenza, per usarli per i suoi propri scopi. Lo stesso vale per Hezbollah. Il controllo di Assad sulla resistenza libanese è un danno per essa. Palestinesi e libanesi continueranno la loro lotta anche quando Assad se ne sarà andato – forse con meno armi, ma con più credibilità politica.

Una vittoria dell’Intifada siriana rappresenterebbe una spinta politica enorme per la resistenza libanese e non solo. La Siria è oggi al centro dell’intifada democratica araba, ed alimenta anche i movimenti popolari egiziano e tunisino».

Traduzione a cura della Redazione