Muammar Gheddafi è stato ucciso quest’oggi a Sirte. Poco importa se i killer siano stati o meno gli uomini del Cnt, o magari qualche unità speciale delle forze Nato che hanno aggredito la Libia nel marzo scorso. Di sicuro gli imperialisti hanno dato il loro benestare. I toni dei leader politici occidentali, ed il vergognoso comportamento della stampa, non lasciano spazio ai dubbi: l’esecuzione di Gheddafi e (a quanto pare) di alcuni dei suoi più stretti collaboratori, nonché del figlio Mutassin, viene apertamente rivendicata come passaggio decisivo verso la «stabilizzazione» del Paese, verso cioè la piena presa di possesso da parte della coalizione imperialista.
Le prime ricostruzioni dei fatti sono contraddittorie, come spesso avviene in questi casi nei quali la menzogna è la regola, ma si è trattato senza dubbio di un’uccisione a freddo. Sicuramente il Cnt, a partire dal suo presidente Jibril, ex ministro di Gheddafi, non aveva interesse ad avere tra i piedi un Gheddafi vivo benché sconfitto. Processarlo, poi, sarebbe stato complicato e quantomeno imbarazzante. Meglio allora l’esecuzione, che se non altro dà la possibilità di brandire un trofeo.
A quel trofeo la Nato era interessata quanto e più di Jibril. Nelle aggressioni post-guerra fredda gli imperialisti – gli americani in particolare – non si accontentano più della vittoria (che spesso peraltro gli sfugge). La loro logica esige il sangue del capo nemico, indipendentemente dalla storia e dai rapporti passati che la superpotenza con quel nemico intratteneva.
Milosevic, Saddam Hussein, Bin Laden e ora Gheddafi: personaggi diversi, storie diverse, fini diverse, ma due cose in comune: essersi contrapposti ai disegni planetari di Washington ed aver fatto tutti una fine violenta. Milosevic nel carcere dell’Aja (11 marzo 2006), ufficialmente ucciso da un infarto, ma vittima di una carcerazione assurda, frutto di una bestialità giuridica. Saddam Hussein, giustiziano per impiccagione il 30 dicembre dello stesso anno. Bin Laden, ucciso anch’egli a freddo nel blitz del 2 maggio scorso ad Abbottabad, in Pakistan. Ed ora Gheddafi…
Il messaggio è chiaro: chiunque osa opporsi all’imperialismo sa a cosa va incontro, non solo il suo paese, ma anche personalmente. Del resto, nel caso di Gheddafi, l’indecente incriminazione per «crimini contro l’umanità» della Corte penale internazionale lasciava ben pochi dubbi sulle intenzioni dei «cacciatori» occidentali. Quell’incriminazione ha preparato l’esecuzione di oggi.
Molti commentatori considerano i fatti odierni come l’atto conclusivo della guerra libica 2011, ad un secolo esatto dalla guerra di Libia scatenata dal governo Giolitti nel 1911. E’ presto per sapere se avranno ragione. Ancora a luglio Gheddafi sembrava godere di un forte appoggio popolare, sia pure in base alle tradizionali linee tribali della società libica. E del resto sono noti i conflitti (vedi Il conflitto tra islamici e laici in Libia) all’interno del Cnt tra la componente islamista e quella più direttamente manovrata dall’occidente.
Chi vivrà vedrà, certo l’epilogo di oggi è anche il frutto degli errori di Gheddafi. A febbraio, contrapponendosi a testa bassa alla rivolta in Cirenaica, non ha fatto altro che compattare i nemici interni, favorendo nel contempo l’intervento della Nato. Un intervento che non ha giustificazione alcuna dal punto di vista del diritto internazionale, sia perché basato su una sistematica campagna di falsificazione della realtà, sia perché in contrasto con la stessa risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che si limitava in sostanza all’imposizione della no-fly zone.
E tuttavia quell’intervento – di fatto consentito dalla stessa linea adottata da Russia e Cina – sarebbe stato ben più difficile se Gheddafi avesse aperto alle necessarie riforme richieste dalla rivolta di Bengasi. Negando la legittimità di ogni opposizione Gheddafi ha firmato la sua fine, gettando fra l’altro tra le braccia degli imperialisti le componenti islamiche più significative.
La storia non si fa con i sé e con i ma. E tuttavia, per comprendere le sue possibili linee di sviluppo i sé e i ma sono di grande importanza.
Vedremo come la Nato gestirà ora la situazione libica. Vedremo se l’unità del Cnt reggerà. Ben difficilmente, invece, vedremo elezioni minimamente democratiche. L’imperialismo ha vinto la sua scommessa. L’ha vinta, come al solito, facendosi strada in mezzo al sangue ed ai cadaveri. Quel sangue e quei cadaveri che non fanno effetto alcuno al nostrano ceto politico, sempre pronto invece alla condanna immediata della più piccola violenza di piazza.
Ora la domanda è questa: dopo la mezza sconfitta in Iraq, e l’impantanamento in Afghanistan, l’imperialismo a guida americana riuscirà a stabilizzare il successo in Libia? Dubitarne era lecito fino a ieri, ed è altrettanto lecito oggi dopo l’uccisione di Gheddafi.