Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa importante dichiarazione politica. Carlos Varea (nella foto) e Santiago Alba Rico sono noti esponenti del CEOSI (Campaña Estatal contra la Ocupación y por la Soberanía de Iraq), un’associazione spagnola che ha avuto, tra l’altro, un ruolo di primo piano nel sostegno alla resistenza irachena, e con cui avemmo al tempo modo di cooperare.
E’ da alcuni mesi che ampi settori della società siriana si sono uniti all’ondata di speranza civica che sta dilagando dal Maghreb al Mashreq sotto il nome di “primavera araba”. Tuttavia, la primavera siriana, sta precipitando in un terribile bagno di sangue.
Migliaia di manifestanti pacifici sono stati uccisi dalle forze di sicurezza del regime di Bashir Al-Assad, che non ha esitato a ricorrere a bombardamenti di città e paesi. Un numero ancora maggiore di persone sono state arrestate e sistematicamente torturate. I diritti umani fondamentali, dal diritto alla vita a quello di espressione, sono massicciamente violati dalle autorità siriane in un paese chiuso ad ogni informazione indipendente.
Sottoscrivendo questa dichiarazione desideriamo esprimere la condanna di questi fatti: non vi è alcuna giustificazione per questa guerra aperta che il regime siriano conduce impunemente contro il suo stesso popolo.
Il regime siriano mente per giustificare la brutale repressione della propria popolazione. Come altri prima, la dittatura di Bachir Al-Asad agita come uno spaventapasseri i pericoli di una divisione settaria del paese o quello del terrorismo islamico, oppure gioca sulla falsa alternativa tra la sovranità e la dignità dello Stato e i diritti e le libertà dei suoi cittadini.
Non vi sono indizi che permettono di speculare e di congetturare su eterodirezioni esterne, o che consentano di sostenere che le aspirazioni dei cittadini siriani sono diverse da quelle degli altri cittadini arabi.
Dal Marocco al Bahrain le rivendicazioni sono le stesse: un cambiamento pacifico e radicale per instaurare una vera democrazia politica che tuteli e promuova i diritti sociali ed economici della maggioranza. Il filo rosso che lega la trama della nuova rivolta araba del 2011, anche di quella siriana, è la speranza collettiva che le generazioni future possano crescere in libertà, che uomini e donne possano godere del principio universale di cittadinanza, non più come sudditi sottoposti al saccheggio , al terrore, all’umiliazione e alle azioni arbitrarie dei loro capi.
Non sono forse queste le nostre stesse aspirazioni?
Tuttavia, sorprendentemente, mentre uomini e donne in Siria hanno più che mai bisogno di solidarietà, e quando sembrava logico e giustificato attendersela dall’Europa e dell’America Latina, settori della sinistra internazionale, difensori nei propri paesi di progetti di emancipazione, con cui ci identifichiamo e che appoggiamo, avanzano argomenti giustificazionisti della dittatura siriana, basati sulle teorie della cospirazione e del complotto, su stereotipi ideologici che da tempo hanno mostrato di essere fallaci.
Nessuna dittatura è “progressista”. Non si può essere selettivi nel condannare i crimini di un governo, mentre si resta muti su quelli di altri. Non si può ricorrere al doppio standard che da sempre contestiamo ai nostri dirigenti.
Davanti alla colpevole complicità internazionale, la società siriana sembra abbandonata al suo destino.
Ben conosciamo le regole che governano il mondo contemporaneo, mentre permettono al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di porre un veto alla creazione di uno Stato palestinese, condannano la repressione del regime siriano. Gli arabi sono vittime del cinismo mercantile che regola i rapporti internazionali, che giudica a seconda delle circostanze e a seconda dei casi, che decide quando è più o meno opportuno intervenire, sempre in funzione di interessi diversi da quelli delle popolazioni colpite.
La nostra condanna non implica affatto la richiesta di un intervento militare occidentale, né l’imposizione di un assedio medievale contro la popolazione siriana. Rifiutiamo apertamente —come fanno gli stessi siriani, combattendo per la loro libertà —, ogni forma di pressione militare e di tutela coloniale. Ma ci rifiutiamo di accettare che nulla può essere fatto rispetto a ciò che sta accadendo in Siria, rifiutiamo la passività e il silenzio che proteggono i crimini commessi in Siria.
Traduzione a cura della Redazione