La penosa fine di Silvio Berlusconi e quella – non migliore – degli «antiberlusconiani»

La realtà supera spesso l’immaginazione. Fino a ieri l’altro discutevamo se e come sarebbe uscita dal Pdl una pattuglietta di parlamentari sufficiente a garantire la nascita di un «governo di transizione», per arrivare comunque alle elezioni entro la primavera. Dopo 24 ore tutto era cambiato. Non solo nascerà un governo, non solo avrà le vesti del più classico esecutivo d’emergenza, esso avrà anche il voto del Pdl, dopo la benedizione del suo padrone in persona. Tra i berluscones c’è, come è ovvio, più di un mal di pancia, ma i distinguo delle ultime ore non sembrano in grado di invertire la direzione di marcia verso l’appoggio al governo Monti.

Cosa sia accaduto nella fatidica giornata del 9 novembre andrà esaminato con calma. Alcune cose le sappiamo, altre le possiamo immaginare, altre ancora si chiariranno solo col tempo. Chi scrive riteneva fino a ieri l’altro che si sarebbe andati ad elezioni anticipate, dato che lo smottamento del Pdl non appariva sufficiente a garantire una base parlamentare adeguata ad un nuovo governo. La smentita è stata netta, ma chi poteva immaginare che la stessa persona che fino al pomeriggio reclamava le elezioni, la sera avrebbe definito «ineludibile» la scelta di Monti?

Non la perdita della maggioranza, non le dimissioni da premier, ma questo repentino dietrofront è il miglior suggello alla fine politica di Silvio Berlusconi. Il sì a Monti, certo arrivato dopo pressioni di ogni tipo, dopo immaginabili trattative sul salvacondotto per sé e per le proprie aziende, altro non è che una penosa resa, la negazione stessa di quel che Berlusconi è stato fino ad oggi. Certo, la destra non scomparirà dalla scena, ma sarà inevitabilmente diversa da quella degli ultimi diciassette anni. La divisione tra Pdl e Lega, sull’appoggio al nuovo esecutivo, non sarà che l’inizio di un processo di lacerazioni, reso tanto più inevitabile dalla scomparsa politica di un capo che era anche l’unico collante della coalizione.

Andremo dunque, salvo nuove ed improbabili sorprese, ad un governo Pdl, Pd, Terzo Polo. Non lo si chiami per favore «governo tecnico»! Esso sarà invece il più «politico» dei governi, dato che sarà chiamato a scelte decisive per il Paese. Le più importanti, di sicuro le più pesanti, dal 1945.

E sarà innanzitutto un governo per «conto terzi», imposto dall’Unione Europea e dalle oligarchie finanziarie. Abbiamo già visto chi è Mario Monti, un uomo della Trilaterale, del Gruppo Bilderberg, di Goldman Sachs. Un uomo che solo l’altro ieri è stato nominato senatore a vita dall’ineffabile Napolitano. Altro che super partes! Il presidente della repubblica, infischiandosene sia della forma che della sostanza del ruolo che dovrebbe essergli proprio, è entrato in scena a gamba tesa, indicando lui l’«uomo della Provvidenza».

Che quest’uomo sia espressione dei centri di potere di cui sopra, ci dice tra l’altro che se quel pezzo di carta che ci ostiniamo a chiamare «Costituzione Repubblicana» fosse ancora davvero in vigore, il sig. Napolitano dovrebbe essere processato per alto tradimento.

Definiamo quanto sta avvenendo un Golpe bianco, perché a Roma non ci sono carri armati nelle strade, ma ogni regola è stata stravolta. Non solo i poteri finanziari (quelli esteri ancor più di quelli nazionali) hanno imposto il cambio di governo, essi hanno dettato anche il nome del futuro premier. Il quale ha già detto che non accetterà pressioni né sulla composizione dell’esecutivo né – udite, udite! – sul suo programma.

Ora avremo una fine farsesca del governo Berlusconi – il voto concordato sulla Legge di stabilità -, cui seguiranno delle consultazioni altrettanto farsesche ed un incarico scontato.

Il ruolo del parlamento sarà quello di ratificare decisioni prese altrove. Prese, non come si vorrebbe  far credere, per i «superiori interessi nazionali», bensì per quelli dei poteri finanziari europei e d’oltreoceano, che hanno ridotto l’Italia ad un protettorato da spremere fino all’ultima goccia di sangue. E poi qualcuno si chiede come mai mettiamo al primo posto la riconquista della sovranità nazionale!

E’ dunque in arrivo un micidiale massacro sociale. Esso verrà presentato come inevitabile ed equo. Inevitabile, perché l’alternativa sarebbe la catastrofe che i giornali hanno terroristicamente dipinto in questi giorni, equo perché si cercherà di mascherarne la natura antisociale con qualche misura propagandistica. Si arriverà alla patrimoniale? Sicuro, ma non per un principio di equità, semplicemente perché sarà impossibile farne a meno. Ma, attenzione, esistono molte forme di patrimoniale, non tutte riservate ai soggetti più ricchi. Tra queste potrebbe esserci, ad esempio, il ripristino dell’Ici sulla prima casa ed il prelievo forzoso sui conti corrente.

Quello che avremo di fronte sarà davvero il «governo unico delle banche». Chi lo vorrà contrastare non potrà più fare a meno di una proposta complessivamente alternativa, imperniata – diciamo noi ma non solo – sull’uscita dall’euro e sulla cancellazione del debito.

Se l’interminabile tramonto di Silvio Berlusconi ha fiaccato un Paese ancora avvolto nelle nebbie di una trentennale letargia delle masse, la vacuità delle proposte del fronte antiberlusconiano ha contribuito in maniera decisiva a seminare i germi della passività e della rassegnazione. A tutto però c’è un limite, ed il governo Monti dovrà oltrepassarlo assai rapidamente. Vedremo con quali conseguenze.

Dal tornante rappresentato dalla giornata del 9 novembre, gli «antiberlusconiani» – definiamo con questo termine tutti coloro che considerano il buffone di Arcore come l’unico responsabile del disastro italiano – non escono affatto meglio del loro antagonista. Alla fine si ritroveranno tutti insieme nello stesso governo. In fondo, vista la similitudine delle posizioni politiche sui temi fondamentali, è giusto e naturale che sia così. Se non altro, d’ora in avanti sarà più facile parlare di cose serie, anziché di escort ed intercettazioni.