Gaza e Cairo, 21-25 novembre – di Angela Lano
Il 24 novembre si è conclusa la visita della delegazione parlamentare internazionale nella Striscia di Gaza, “Primavere delle libertà”, arrivata lunedì 21.
Particolarmente importante è stata la presenza di una folta delegazione sudamericana, composta da deputati e senatori (tra cui alcuni candidati alle prossime presidenziali) di Cile, Perù, Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Ecuador. Alcuni di essi rappresentavano anche il Mercosur, l’unione mercantile sudamericana, e il Parlamento Andino.
I parlamentari latino-americani hanno espresso sostegno alla popolazione di Gaza e alle autorità politiche, e l’interesse a seguire più “da vicino” la situazione della Striscia e di tutta la Palestina. Essi sono stati ricevuti dal premier di Gaza, Ismail Haniyah, e dal ministro degli Esteri, Mahmoud az-Zahaar.
Durante la conferenza stampa presso la sede del Parlamento di Gaza, il 22 novembre, Haniyah ha definito la presenza a Gaza della delegazione internazionale e dei sudamericani, “un momento eccezionale per la nostra lotta” e ha aggiunto: “Il popolo palestinese apprezza il vostro sforzo e esprime grande apprezzamento.
“Israele sta vivendo una situazione di isolamento politico internazionale e la vostra presenza qui lo dimostra. Ci sono tre aspetti fondamentali che vanno affrontati a livello internazionale: il primo è l’importanza di comprendere come la ‘Questione palestinese’ non sia solo umanitaria ma anche politica. Noi vogliamo la liberazione dell’intera Palestina storica, con diritto al Ritorno, Gerusalemme capitale. E’ questa la sola strada per la soluzione del conflitto. Ciò include la liberazione dei 7000 prigionieri ancora rinchiusi nelle carceri israeliane.
“Il secondo è il blocco di Gaza, per il quale l’occupazione sionista aveva usato come giustificazione la prigionia del soldato Gilad Shalit, ma ora che è stato liberato, non c’è più alcuna scusa per continuare ad assediare la Striscia.
“Un altro punto importante su cui fare pressioni è il Rapporto Goldstone sui crimini israeliani commessi durante l’Operazione Piombo Fuso. Deve essere ripreso in considerazione e i responsabili sionisti processati per crimini di guerra. Non possono continuare a sfuggire alla giustizia.
“Un quarto aspetto è la ricostruzione della Striscia: ancora nessun materiale edile è autorizzato a entrare”.
In un successivo incontro svoltosi il 21 novembre nel palazzo del governo, e dedicato alla delegazione sudamericana, il premier di Gaza ha espresso “ammirazione per lo sforzo sostenuto dai rappresentanti dei sette Paesi latino-americani nell’affrontare un lungo viaggio per arrivare nella Striscia”.
Haniyah ha ricordato che in quella regione del mondo trovarono rifugio molti palestinesi profughi del 1948. E ha aggiunto: “Sono 63 anni che milioni di palestinesi, e i loro discendenti, vivono fuori della Palestina.
“Da 63 anni viviamo sotto occupazione e tortura. Gli israeliani, da allora, ci hanno mosso guerre, hanno costruito il Muro dell’Apartheid, hanno assediato il presidente Yaser Arafat al palazzo della Muqata’a, e lo hanno avvelenato, stanno ebraicizzando Gerusalemme, hanno imposto un blocco illegale alla Striscia di Gaza, hanno imprigionato migliaia di palestinesi, e nell’inverno del 2008-2009 hanno scatenato una guerra contro Gaza che ha provocato morti, feriti e distruzione.
“La verità è dunque questa: Israele non vuole la pace ed è sempre alla ricerca dei conflitti. Tuttavia, la visita di questa grande delegazione internazionale è la dimostrazione concreta che il tempo sta volgendo a nostro favore e contro le politiche israeliane.
“Il movimento di Hamas lotta contro l’occupazione. Ogni Paese occupato ha il diritto di liberarsi e combattere per la propria liberazione. Ciò è stabilito anche dalle convenzioni internazionali e dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu”.
Il primo ministro ha poi sottolineato che il problema è tra occupanti e occupati: è con Israele, non con gli ebrei: “Noi non abbiamo nulla contro gli ebrei, ma con chi ha occupato la nostra terra. In questi anni abbiamo ricevuto molti ebrei anti-sionisti, giunti qui per dare solidarietà e sostegno al popolo palestinese. Essi sono i benvenuti.
“Hamas crede nella democrazia e nelle libere elezioni: in quelle del 2006 ottenne la fiducia del popolo palestinese. I governi occidentali avevano chiesto al movimento islamico di ‘rispettare la democrazia’, ma quando questo ha vinto, sono stati loro a non rispettare l’esito elettorale. Ci hanno imposto un blocco totale come punizione collettiva. In nessuna altra parte del mondo c’è un assedio dal mare, dal cielo e dalla terra. Ci hanno anche scatenato una guerra, per castigare la popolazione. Come castigano tutti i Paesi che intrattengono relazioni con noi”.
Prigioneri. Un altro incontro importante che ha coinvolto la delegazione internazionale è stato quello con il Centro per i Prigionieri di Gaza. La Conferenza è stata aperta da Ramy Abdu, della European Campaign to end the siege on Gaza, organizzatrice della carovana internazionale, e dalla deputata cilena Marcela Constanza Sabat Fernandez (di origine palestinese). Erano presenti numerosi prigionieri – alcuni dei quali liberati durante l’accordo di scambio con Israele (Shalit contro 1100 detenuti politici).
Hanno raccontato la propria esperienza Abdel Aziz Amro e una giovane mamma, Samar Sbeh.
Amro ha spiegato che era stato condannato a 700 anni di detenzione: entrato in carcere nel 2004, ha subito torture con sostanze chimiche, e ora si trova in uno stato di salute precaria. “Qualunque palestinese può essere imprigionato, e per qualsiasi motivo. Israele usa molto la detenzione amministrativa, che rinnova di sei mesi in sei mesi, o di anno in anno. Ci sono molti prigionieri malati, che non ricevono cure mediche. Non posso raccontarvi cosa si subisce in carcere, per rispetto alle tante famiglie presenti in questa sala e che hanno congiunti detenuti…, ma sappiate che si soffre molto”.
Sbeh era stata arrestata nello stesso anno, quando era incinta di tre mesi, e ha partorito in carcere il suo bimbo, Bara’, che ora ha sette anni. Il piccolo è rimasto in prigione con la mamma fino all’età di due anni e mezzo, poi è stato “liberato” e assegnato ai familiari. La condizione di Samar e di suo figlio è condivisa da molte altre prigioniere, che sono costrette a partorire in stato di prigionia e a far crescere i propri piccoli dietro le sbarre, tra difficoltà, precarietà igienico-sanitaria e alimentare, e in una situazione psicologica problematica. Non si tratta di criminali, ma di detenute politiche, contro le quali Israele infierisce ledendo ogni diritto umano.
Il giorno successivo, il 23 novembre, si è svolta una visita al centro per disabili “Assalama. Charitable Society”, di Beit Lahiya, nel nord della Striscia.
L’incontro è stato condotto da Mohammad Hannoun, dell’Associazione dei Palestinesi in Italia, e responsabile per gli affari umanitari della carovana, e dalla deputata brasiliana Marina Pignataro Sant’Anna.
‘Ala, un’operatrice, ci ha spiegato che molti dei disabili, presenti in sala, sono vittime delle guerre israeliane o di torture: sono ragazzi in carrozzella, a cui mancano arti, oppure resi ciechi o sordi. “Uno dei problemi è che Israele non permette loro di recarsi all’estero per le cure mediche o per le protesi”.
Ospedali della Striscia: l’emergenza è giornaliera. L’Ospedale “Martire Kamal ‘Udwan”, di Beit Lahiya, è una struttura con 100 posti letto per 300mila persone: serve, infatti, anche il campo di Jabaliya. Il turn-over di pazienti è continuo ed è ben visibile la condizione di precarietà e deficienza sanitaria in cui è costretto a lavorare il personale sanitario: mancano medicine, pezzi di ricambio per le apparecchiature, le stanze sono fatiscenti, e le sale operatorie piccole e carenti di tutto, o quasi; mancano anche le medicine e la luce viene interrotta per più di 8 ore al giorno, non arrivano i pezzi di ricambio per i macchinari. Nelle sale operatorie manca l’autoclave.
Durante la guerra dell’inverno 2008-2009 l’ospedale ha soccorso più di un terzo dei feriti.
Il porto di Gaza. Appena arrivati al piccolo porto di Gaza non si può non notare il monumento alle vittime della nave Mavi Marmara, i nove turchi uccisi durante l’assalto israeliano alla Freedom Flotilla1, nel maggio dell’anno scorso.
Qui, incontriamo il presidente dell’associazione dei pescatori di Gaza, il rappresentante del ministero dell’Agricoltura e della Pesca e il presidente dell’autorità portuale.
“L’87% dei pescatori – ci spiegano – vive sotto la soglia della povertà. Deve attenersi a un limite di tre miglia sui 20 previsti dall’accordo di Oslo, quindi non può andare al largo e a riva ormai la fauna ittica è scarsa. I bombardamenti sono quotidiani, i pescatori vengono sequestrati e portati in Israele, le barche, e pure i motori, sono rubati pur di impedire la pesca, fonte di sostentamento per 3500 famiglie”.
Sono sette i pescatori uccisi quest’anno e 30 quelli feriti: tra questi c’è Ahmad, che alza il braccio e mostra la sua mano mozzata. Non potrà più lavorare in mare.
Quella della pesca ormai è una categoria ad alto rischio e poco ricercata. Quest’anno le perdite sono state di circa 5 milioni di euro, a causa delle aggressioni israeliane. C’è molta miseria, tra i pescatori: i loro figli non possono andare a scuola perché mancano i soldi. I ragazzini escono in mare con i padri o i fratelli, oppure si arrabattano con lavori umili, nei mercati, e mal pagati.
Una volta, il pesce di Gaza era esportato in diversi Paesi, ora non basta a sostentare neanche le famiglie dei pescatori.
Il ministro degli Esteri di Gaza. E’ un sorridente Mahmoud az-Zahaar quello che, la sera del 23, accoglie nel proprio ufficio la delegazione sudamericana e italiana. E’ contento della presenza di tanti parlamentari dell’America Latina – deputati e senatori, rappresentanti del Mercosur e del Parlamento Andino, e pure candidati alle prossime presidenziali.
Mentre l’Europa, a livello ufficiale, boicotta il governo di Gaza, i politici sudamericani vi si recano in visita, discutono, raccontano, e si fanno pure fotografare accanto a ministri, deputati e premier. Una cosa incredibile, per i parametri occidentali, ma del tutto normale per un’area del mondo che negli ultimi anni si è liberata da dittature, regimi, oppressori locali manovrati dagli Usa. E che può addirittura annoverare Presidenti ex guerriglieri…
“Per l’America Latina è normale avere al potere partiti e politici che hanno fatto parte della resistenza e della guerriglia di liberazione”, ha spiegato a un esterrefatto, ma contento, az-Zahaar una parlamentare sudamericana. Per loro, il movimento di resistenza islamica, Hamas, è, appunto, un movimento di resistenza popolare contro il regime che assedia, occupa e opprime. “Anche i nostri movimenti di liberazione venivano chiamati ‘terroristi’ dai dittatori – aggiungono altri parlamentari -, ma ora sono al governo o hanno loro rappresentanti”.
“L’islam non è il vostro nemico, o il nemico dell’Occidente – ha detto loro il ministro di Gaza -. La nostra lotta è contro il sionismo, che ha occupato la nostra terra”.
Ricostruzione. Attraversando la Striscia di Gaza appare evidente che è stata ricostruita, e ciò è avvenuto grazie alla volontà indomita della sua gente. Sono state raccolte le macerie, triturate e mischiate a sabbia, e i palazzi che la furia omicida sionista aveva abbattuto durante Piombo Fuso (inverno 2008-2009) sono stati riedificati. Da qualche tempo, dai “tunnel della sopravvivenza” entra pure altro materiale utile per l’edilizia. I gazawi non sono stati con le mani in mano, ma hanno ricostruito ciò che Israele aveva abbattuto.
La situazione nella Striscia è molto diversa da quella che ci trovammo di fronte due anni fa, nel gennaio del 2009, a pochi giorni dalla guerra israeliana: attraverso le centinaia di gallerie costruite al confine con l’Egitto entrano i prodotti alimentari, l’abbigliamento, le auto (carissime, anche quelle usate!), giocattoli e molte altre mercanzie. I negozi sono pieni di merci, così l’antico suq di Gaza, e pure i nuovi e moderni supermercati in stile arabo-occidentale. Dunque, non c’è emergenza umanitaria, ma c’è una disoccupazione a un livello altissimo, che rende difficile gli acquisti anche di beni di prima necessità. La maggior parte dei gazawi ha pochi soldi. Addirittura ci sono aree come quelle del campo di an-Nuseirat, duramente colpite da Piombo Fuso, e sempre nel mirino israeliano, che sono semi-isolate, perché i ponti sono stati distrutti e pure altre infrastrutture, difficili da ricostruire per mancanza di ferro e acciaio.
Assedio. La vera emergenza umanitaria, ora, nella Striscia, è quella sanitaria e lavorativa: negli ospedali mancano le forniture medico-sanitarie, le medicine, i pezzi di ricambio per i macchinari.
Israele assedia, chiude, aggredisce costantemente la Striscia, ne fa a pezzi le case e le infrastrutture, i campi e le barche dei pescatori, impedisce la libera circolazione delle persone e delle merci. Spara contro i lavoratori, li affama togliendo loro la possibilità di avere una vita normale e dignitosa.
A Gaza, adesso, non mancano le cose, mancano i soldi per comprarle, e a troppe persone. Giovani e vecchi, diplomati, laureati e incolti, pochi riescono a trovare un lavoro. E’ fortunato chi può vivere con le rimesse dei parenti all’estero. Particolarmente colpite sono le categorie dei pescatori, degli agricoltori (soprattutto quelli al confine con i Territori del 1948, che Israele attacca quotidianamente), degli operai delle aziende e industrie distrutte durante Piombo Fuso.
L’assedio alla Striscia va tolto perché illegale e disumano. La gente della Striscia deve potersi spostare, trovare lavoro, guadagnare, studiare, curarsi. Deve vivere una vita dignitosa. Questo è il monito della delegazione internazionale per Gaza.
da InfoPal