Il voto in Egitto: una farsa difficile da boicottare

Perché la seconda piazza Tahrir è anche una critica alle elezioni

Dovrebbero essere resi noti entro oggi i risultati ufficiali della prima parte delle elezioni egiziane, sui quali torneremo nei prossimi giorni. Intanto, sulla situazione nel Paese, alla luce delle ultime manifestazioni che hanno preceduto il voto, pubblichiamo questo articolo di Wilhelm Langthaler, scritto lo scorso 27 novembre.

Effettivamente mai fino ad ora agli egiziani è stato consentito di competere in elezioni libere e giuste. Dopo la caduta di Mubarak è fin troppo comprensibile che la popolazione sia ansiosa di godere dei suoi diritti di recentissima acquisizione. Ma perché, allora, a milioni scendono in piazza e si mobilitano nella famosa piazza Tahrir proprio prima di queste elezioni?

Il calcolo miope della Fratellanza Musulmana

Lo spettro più desideroso di andare alle urne è quello islamista con i suoi due rami, cioè la Fratellanza Musulmana e i diversi salafiti. Questo potrebbe sembrare paradossale, dato che non corrisponde al pregiudizio europeo islamofobo e neppure alla pretesa di alcune tendenze salafite, per la quale le elezioni sono in contrasto con la regola sovrana del bene.

La loro logica però è troppo terra – terra. La Fratellanza è il più radicato partito di opposizione e ben preparato per la campagna elettorale, mentre ai salafiti è stato elargito denaro saudita. Essi possono contare su una vittoria schiacciante migliorando le loro posizioni nel sistema politico, nonostante le severe limitazioni alle prerogative del parlamento.

E’quasi impossibile prevedere la loro quota di voti ma gli osservatori ritengono che ciò dipende principalmente dalla affluenza alle urne. Mohamed Waked, famoso attivista di piazza Tahrir e dirigente del Fronte Nazionale, un progetto politico per l’unificazione del movimento rivoluzionario, stima che la quota islamista potrebbe oscillare approssimativamente fra uno e due terzi.

Assicurare queste elezioni è stato l’obiettivo principale della Fratellanza dalla caduta di Mubarak. Subito dopo essi sono entrati in un blocco con il consiglio militare allo scopo di emarginare il movimento rivoluzionario. La prima tappa è stato il referendum sulla modifica della costituzione lo scorso marzo. Esso ha stabilito che sarebbero state prima indette le elezioni parlamentari e solo dopo si sarebbe cambiato l’impianto costituzionale.

Il movimento rivoluzionario rifiutò questa mossa, ma venne sconfitto da una maggioranza di due terzi. Questo movimento ha essenzialmente sostenuto che elezioni sotto la prosecuzione del dominio militare e di fatto sotto il vecchio regime non possono essere né giuste né libere, ma al contrario aiutano a mantenere saldo al suo posto il vecchio sistema. Prima l’esercito avrebbe dovuto ritirarsi, il vecchio regime avrebbe dovuto essere  smantellato e una nuova costituzione redatta. Solo dopo le elezioni sarebbero state utili al popolo. In un certo senso essi optavano per il più radicale approccio tunisino.

Gli islamisti rimproverano ai rivoluzionari il fatto che, opponendosi alle elezioni anticipate, essi prolungavano il dominio dell’esercito perché temevano una maggioranza islamista democraticamente determinata. Essi effettivamente ad oggi continuano ad usare questo argomento, che è del tutto demagogico, dato che è stata la Fratellanza Musulmana a entrare in un blocco con il consiglio militare, permettendogli di mantenere il suo dominio. Mentre la loro equazione all’inizio sembrava plausibile, emarginando e alla fine anche opprimendo il movimento rivoluzionario si è gradualmente rivelata come insostenibile.

La nuova esplosione del movimento rivoluzionario è espressione del rifiuto del suddetto impianto fra esercito e islamisti. Non è la sola sinistra laica che si oppone al consiglio militare, ma anche la maggioranza delle masse islamiche. Semplicemente la traiettoria opportunista della Fratellanza Musulmana di cambiare il sistema dall’interno senza andare contro l’esercito e le elites sociali è stata falsificata dalla realtà. La loro alleanza con l’esercito prima di tutto ha aiutato i vertici a stabilizzarsi e a riguadagnare terreno politico. Il che ha consentito loro di provare a riprodurre il vecchio sistema. I generali sono arrivati al punto di mettere in pericolo anche le elezioni, in quanto non sono felici di vedere gli islamisti, loro non amati alleati, come vincitori politici. Così alla fine la Fratellanza ha dovuto tirare il freno di emergenza e cancellare il suo accordo con l’esercito. In effetti è stato il movimento di massa a costringerla ad agire in tal modo. Ma la Fratellanza ha perso terreno in modo significativo, dato che è dovuta andar contro e ancora si oppone alla seconda  piazza Tahrir, mentre di recente a gennaio aveva manovrato per abbracciare la prima piazza Tahrir.

La Fratellanza  in certo qual modo è bloccata fra il martello del movimento rivoluzionario e l’incudine del conservatorismo salafita. La potenza della pressione dal basso è esemplificata dell’incredibile circostanza che perfino il più grande partito dei salafiti (che erano tutti vicini a Mubarak), Al Nour, oggi sostiene la seconda piazza Tahrir.

Le insidie elettorali

Tutto il sistema elettorale è congegnato per tagliar fuori il movimento rivoluzionario. Tutti i cambiamenti realizzati durante la preparazione riguardano solo i rapporti fra l’esercito e i suoi stretti alleati da un lato e le forze islamiche dall’altro. La critica di principio della sinistra, per la quale prima che la partita possa iniziare le nuove regole del gioco debbono essere stabilite democraticamente, è motivata da effettivi vizi delle regole:

1) Il parlamento è senza alcun potere. Non può edificare un governo, né può legiferare contro la volontà dell’esercito. Il suo unico scopo è quello di scegliere l’assemblea costituente.
2) Un terzo dei seggi viene ripartito attraverso il sistema del vincitore unico (sistema uninominale maggioritario, n.d.t.). Ciò significa che nel territorio urbano la maggior parte dei seggi andrà alla Fratellanza o, qua e là, ai candidati salafiti, mentre nelle aree rurali molti notabili ex Mubarak ce la faranno.
3) Due terzi dei seggi sono contesi attraverso liste con al massimo 10 posizioni, ma spesso anche meno. Il che vuol dire che occorre, nella migliore delle ipotesi, una soglia del 10%  per ottenere un seggio, ma fino al 25% in taluni casi. In tal modo le liste minori sono tagliate fuori.
4) La registrazione dei partiti richiede un bel po’ di denaro, che di fatto è possibile solo con il sostegno delle grandi imprese o dell’esercito. Per le diverse forze rivoluzionarie, e non solo per esse, la registrazione è stata quindi impossibile. Ciò ha prodotto blocchi elettorali opportunisti senza principi.
5) Una certa quantità di seggi è direttamente destinata al consiglio militare.
6) Regioni scarsamente popolate sono meglio rappresentate a beneficio dei notabili ex Mubarak.

Il difficile boicottaggio

Tutto ciò autorizzerebbe la componente radicale del movimento rivoluzionario ad invitare al boicottaggio delle elezioni. Ma questa è una posizione difficile, non facile da sostenere. Le speranze popolari nelle elezioni sono state troppo alte. Così alla fine, solo due settimane prima della scadenza per la registrazione, è stato formato un blocco elettorale chiamato “Revolution Continues Alliance” che fa riferimento al movimento. Anche coloro che boicottano, in ultima istanza avranno interesse a che il blocco vada bene.

L’alleanza è composta da una serie di gruppi di sinistra, spesso con una lunga storia: persone della Fratellanza favorevoli a piazza Tahrir, che sono state epurate dalla dirigenza più conservatrice e gruppi rivoluzionari giovanili emergenti direttamente da piazza Tahrir, comprese alcune tendenze di sinistra liberale. Per mancanza di preparazione e di candidati, c’è pure una massa di candidati sconosciuti, inesperti e talora perfino dubbi, con la possibilità di danneggiare l’alleanza.

Dato il sistema antidemocratico, è abbastanza possibile che l’alleanza, che potrebbe raccogliere circa il 10% dell’elettorato, non conquisti neppure un seggio.
Il boicottaggio non è problematico solo a causa dell’esistenza della Revolution Continues Alliance, la cui sconfitta sarà, volenti o nolenti, una sconfitta per tutto il movimento rivoluzionario. L’aspetto forse più importante sono le speranze popolari nelle elezioni da parte degli strati politicamente più passivi, rappresentati dalla forze islamiche.


La seconda piazza Tahrir

Dato questo contesto, l’attuale movimento di massa è la cosa migliore che potrebbe aver successo, portando una dura critica sia all’approccio elettoralista delle forze islamiche sia al sistema elettorale in generale. La richiesta centrale del movimento, cioè che il consiglio militare debba lasciare la politica ad un governo civile di transizione, ha piena legittimità fra le masse popolari, islamici compresi. E’ impossibile spiegare perché i militari debbano rimanere. Agendo in tal modo la Fratellanza perderà un bel po’ di consenso. D’altra parte andare frontalmente contro le elezioni non aiuterebbe il movimento e offrirebbe perfino un pretesto alla Fratellanza per opporsi al movimento rivoluzionario.

L’ultima mossa dell’Intifada di piazza Tahrir di proporre una sorta di governo popolare di transizione guidato da Abdel Moneim Abul Futouh, già dirigente della Fratellanza candidato presidenziale della componente più liberale sostenitore di piazza Tahrir, da Hamdeen Sabbahi, candidato presidenziale nasseriano, e da Mohamed ElBaradei, è un gran passo avanti. Per la prima volta si propone una alternativa valida. Il problema al momento sembra essere che, nonostante la credibilità e il consenso di queste figure, non c’è meccanismo, struttura, garanzia che esse restino soggette al movimento popolare, se arrivano come un pacchetto precostituito.

Va ricordato che Issam Sharaf, il primo ministro ad interim nominato dopo la caduta di Mubarak, all’inizio fu accolto bene dal movimento. Ma rimase uno strumento dipendente dal Supremo Consiglio delle Forze Armate, perdendo così rapidamente credito.
E’ decisivo che un ampio fronte politico della rivoluzione, su cui un governo popolare possa fondarsi, si avvicini al potere.

Traduzione di Maria Grazia Ardizzone