“L’acqua è il nostro oro” è lo slogan delle popolazioni del nord del paese che hanno indetto uno sciopero indefinito contro il progetto di una miniera d’oro a cielo aperto che rovinerebbe l’ecosistema

Il 24 novembre le organizzazioni ambientaliste, comunità contadine, autorità regionali e locali della regione peruviana di Cajamarca hanno indetto uno sciopero indefinito ed una mobilitazione pacifica permanente per ottenere la sospensione definitiva del progetto minerario Conga.

Non è la prima volta che la popolazione cajamarquina si trova a difendere il suo territorio violentemente segnato dalle attività del settore minerario le cui concessioni lo ricoprono per ben il 45,5 percento della superficie. Il progetto minerario Conga eseguito dalla compagnia Yanacocha, la più grande miniera d’oro dell’America (di proprietà della peruviana Buenaventura e della statunitense Newmont Mining), è un investimento di 4 mila milioni di dollari, volto all’estrazione di oro e rame. Ubicato nel nord-est di Cajamarca, il progetto sconvolgerà un intero ecosistema di lagune alto-andine per un totale di 34 ettari di specchi d’acqua distrutti. Acqua per la vita, per l’agricoltura e l’allevamento, principali attività del territorio.

Questo è il primo grande conflitto che il presidente Ollanta Humala deve affrontare e, dalla sua gestione, si capirà finalmente la politica che nei prossimi anni di governo si adotterà per la gestione di eventi che ormai da tempo caratterizzano il Perù. E il fatto che abbia indetto lo stato di emergenza nazionale, inviando militari a placare la manifestazione la dice lunga. Dei 217 conflitti sociali attualmente presenti nel paese, la metà vengono definiti socio-ambientali e di questi il 70 percento è relazionato al settore minerario.

La dittatura di Fujimori diede il via libera alla svendita delle ricchezze del paese fino ad arrivare all’odierno 16 percento del territorio ricoperto da concessioni minerarie. Nessuno dei successivi presidenti ha cambiato la traiettoria, è stata semmai inasprita la criminalizzazione della protesta sociale delle comunità e dei leader che manifestano il dissenso. Secondo l’ultimo dossier dell’Osservatorio per la Protezione dei Difensori dei Diritti Umani, in Perù si continua infatti la tendenza a criminalizzare, minacciare e aggredire i difensori dei diritti ambientali e delle comunità indigene colpite dai progetti di sfruttamento delle risorse naturali, in particolare minerarie e idrocarburi.

Eppure, l’avvento di Humala faceva ben sperare. Il 7 settembre scorso è stata promulgata la legge di consulta che riprendeva quasi totalmente il testo proposto dalle parti sociali e approvato dal Congresso nel maggio 2010. Sono sotto esame adesso i regolamenti attuativi della legge e le prime indiscrezioni destano preoccupazione. Nella bozza di regolamento del Viceministro all’Intercultura non vi è traccia di un elemento fondamentale quale l’obbligo in seno allo Stato di raggiungere per determinati interventi il consenso delle popolazioni indigene, segnalato dalla giurisprudenza della Corte Interamericana dei Diritti dell’Uomo e dall’articolo 16 della Convezione 169 dell’OIL.

Questo è il filo conduttore che unisce i casi di Conga, Tía Maria, Río Blanco e molti altri: progetti minerari autorizzati dalle istituzioni centrali di Lima ma che non godono di una “licenza sociale”. La diretta conseguenza è la ferma opposizione delle organizzazioni locali, spesso riunite in “fronti per la difesa del territorio” vere e proprie reti nella quali confluiscono tutte le anime della lotta.

Nelle prime ore della protesta il governo ha risposto inviando un grande contingente di forze armate nella regione, da parte sua Yanacocha è stata accusata di armare bande di cittadini favorevoli alla costituzione della miniera. Ne risulta un altissimo livello di nervosismo, scaturito in violenti scontri che hanno lasciato 17 feriti. Il ricordo del tragico prologo allo sciopero delle popolazioni amazzoniche del giugno del 2009 a Bagua è ancora vivo: lì, tra manifestanti e forze armate morirono in 33.

Al terzo giorno di proteste in un comunicato la Buenaventura-Newmont ha dichiarato la sospensione del progetto. I manifestanti hanno risposto dicendo che, dato lo sciopero, le attività del progetto Conga erano già state paralizzate e che una sospensione non basta, ma è necessaria la cancellazione definitiva del progetto. Così lo sciopero va avanti. Altre critiche sono state mosse in quanto la nota è stato letta da un rappresentante di Yanacocha in presenza del primo ministro Salomón Lerner durante una conferenza stampa dal palazzo di Governo, rendendo pubblica l’interferenza dei poteri economici sul governo di tutti i peruviani.

Il presidente regionale Gregorio Santos in presidio in una delle quattro lagune minacciate, annuncia che se il presidente Humala non si pronuncerà sul caso, emetterà un’ordinanza che dichiari la zona riserva naturale.

L’eco della protesta è arrivato fino a Lima. Il viceministro alla gestione Ambientale, José de Echave ha lasciato il suo incarico per la mancanza nell’esecutivo di una politica di gestione dei conflitti socio-ambientali. In solidarietà con le popolazioni di Cajamarca, anche nella capitale sono state indette manifestazioni e presidi. In molte pagine web e blog si ospita la campagna per la cancellazione del progetto Conga; un giovane attivista ha creato un disegno che riprende la morfologia che si crea nelle miniere a cielo aperto e ne ha ricavato una sorta di invito al turismo in Perù. Anche in altre regioni sono cominciate mobilitazioni, sia di solidarietà, sia per rivendicazioni analoghe, come nella regione di Apurímac, anch’essa violentemente deturpata dalle attività minerarie.

Ancora una volta si fa appello al non uso della violenza da parte dello stato e dei manifestanti affinché dal conflitto scaturiscano opportunità per cambiare il modello di sviluppo del paese basato da troppo tempo ormai sullo sfruttamento delle risorse naturali e la violazione dei diritti delle popolazioni indigene.

da Peacereporter