Le decisioni del vertice europeo

Scrivevo giovedì scorso, mentre aveva inizio il Vertice europeo del 8-9 dicembre: «Scommetto dunque che il Summit sarà l’ennesimo fiasco. Se una pezza verrà messa, allontanerà il collasso non di un anno, ma di un mese. Ammesso che una pezza venga messa o che, nel loro sbandamento, i governanti europei non se ne escano addirittura con una pezza peggiore del buco». [Euro de profundis].

Questo giudizio si basava sulla certezza che il summit, vista anche la tetragona ma ben fondata opposizione tedesca, non avrebbe: (1) né permesso alla Bce di stampare moneta a gogò, (2) né consentito alla Bce di comprare ad libitum titoli di Stato, (3) né rimpolpato il Fondo salva-banche-salva-stati ben oltre i 500-600 miliardi, (4) né accettato di fare cassa comune emettendo eurobond. Così è stato infatti.

Concludevo affermando che ci sarebbe forse stato un compromesso abborracciato, il quale non avrebbe tuttavia retto alla prova dei “mercati”: «La prova del nove sarà la reazione dei mercati finanziari, non fra un mese o una settimana, ma lunedì 12 dicembre. Se il summit europeo disattenderà le aspettative dei biscazzieri dell’alta finanza, è sicura un’ondata di vendite di obbligazioni e azioni, con un crollo delle borse di magnitudine più grande di quelli dell’estate e autunno scorsi. La strada per il tracollo dell’euro sarà spianata». [Ibidem]

Che il compromesso raggiunto, ovvero che la pezza rattoppata è stata peggiore del buco, come era facile prevedere, ce lo dicono i mercati finanziari — quelli che elargiscono il contante senza il quale banche e stati europei andrebbero in default

Questa mattina, lunedì 12 dicembre, dopo l’effimero rimbalzo di venerdì, tutte le borse europee sono in ribasso. Piazza Affari cede oltre due punti percentuali. La definitiva condanna delle decisioni arzigogolate prese del vertice europeo l’ha fornita l’importante agenzia di rating Moody’s. Se venerdì 9/12 aveva declassato i colossi bancari francesi infatti, ieri Moody’s ha commentato che «… l’assenza di misure per stabilizzare i mercati nel breve termine significa, per la zona euro e l’Ue più in generale, restare soggetti a nuovi shock e che la coesione della zona euro rimane sotto una minaccia costante». [Il Sole24ore.com, 12 dicembre 2011]

Nell’eccesso di zelo verso i governi nazionali e gli oligarchi europei, la grande stampa italiana ha espresso invece giudizi all’insegna dell’ottimismo, facendo credere che le misure adottate, quello che ha passato il convento, sono state un “decisivo passo avanti”. Bastava spulciare tra le righe per capire che alle spalle dell’ostentato ottimismo prevale lo sconforto.

Quello di Romano Prodi è stato il titolo più tartufesco: «Un progresso, anche se non una rivoluzione». [La Stampa, 10 dicembre] Per Prodi il modesto rafforzamento del Fondo salva-stati, le regole di controllo dei bilanci, e l’ulteriore cessione di sovranità degli Stati a favore del rafforzamento dei poteri sovranazionali di Bruxelles e Francoforte, sono un “progresso”. Prodi mente sapendo di mentire, visto che, come detto sopra, quattro erano le misure “rivoluzionarie” che gli europeisti come lui si sarebbero attesi: (1) permettere alla Bce di stampare denaro in deroga ai Tratti di Maastricht e Lisbona (2) consentire alla Bce, anche in questo caso in deroga ai Trattati, di comprare ad libitum titoli di debito degli Stati al limite dell’insolvenza, (3) consolidare il Fondo salva-banche-salva-stati ben oltre i 500-600 miliardi, (4) emettere finalmente i benedetti eurobond

Sia detto per inciso. Queste quattro misure, spacciate come “europeiste”, sono le stesse perorate dalla speculazione finanziaria globale e dalle banche, europee comprese. Questo connubio tra le richieste degli “europeisti” e quelle dei grandi squali della finanza può sorprendere solo certi sciocchi di sinistra. Il fatto è che per evitare default seriali combinati di banche e Stati europei c’è bisogno di finanziare sia le prime che i secondi, e questi quattrini si debbono appunto spillare ai “mercati”, convincendoli che prestare soldi all’Europa è un buon affare e non un rischio mortale. 

La pezza rattoppata dal summit europeo reggerà? Se sì per quanto tempo? O forse non è peggiore del buco? Risposta: reggerà per qualche settimana perché è peggiore del buco. Dato che le quattro misure (il bazooka era stato definito) cruciali non sono state prese, quali sono state le decisioni adottate? «Una tela ingarbugliata» l’ha definita qualcuno [Maximillian Cellino, Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2011]. Fosse solo una “tela ingarbugliata”!

In verità si è prodotta una fratturazione che potrebbe avere conseguenze letali per L’Unione europea. Stiamo parlando della spaccatura col Regno Unito. 
Davanti alla richiesta carolingia, sostenuta dall’Italia, di andare ad una modifica dei Trattati per costringere gli Stati ad una decisiva cessione di sovranità verso gli organismi comunitari, Cameron ha deciso il veto. Il governo inglese non solo vuole tenersi stretta la propria sovranità politica e monetaria, non vuole saperne di imbrigliare la City londinese, vero e proprio tempio della iper-deregulation finanziaria, sottomettendola alle normative continentali. Si tratta del primo passo verso la secessione britannica dall’Unione. Che questa serva poi a salvare l’euro nessuno scommetterebbe un soldo bucato. Se il giudizio dei “mercati” è cruciale, si rammenti che la presenza inglese nell’Unione e quindi il peso debordante sempre avuto dalla borsa londinese nelle decisioni comunitarie, sono sempre stati considerati dai medesimi mercati finanziari una specie di polizza assicurativa, uno Swap politico di prima grandezza. La secessione inglese, funzionale alla City e alla finanza globale,  rende più difficile che questa venga in soccorso delle banche continentali e dei debiti sovrani.

Perché quella decisa a Bruxelles sia una “tela ingarbugliata” è presto detto. Dato che le norme comunitarie affermano che per cambiare i Trattati occorre l’unanimità e dato che il veto inglese l’ha esclusa, i continentali hanno deciso di aggirare l’ostacolo e di proseguire scegliendo la strada dell’Accordo inter-governativo, che dovrà essere firmato entro marzo. In poche parole a vecchi Trattati invariati i paesi dell’eurozona (17), più gli altri dieci dell’Unione ma con proprie monete che volessero, potranno adottare, in deroga ai  medesimi, un nuovo Trattato giuridicamente vincolante.

Ma di che stiamo parlando? «Che gli Stati dovranno cedere ulteriormente la propria sovranità sulle politiche macroeconomiche e di bilancio» [Adriana Cerretelli, Il Sole 24 Ore, 10 dicembre].  Che in soldoni significa «Il rigore draconiano e l’intrusione diretta di Francoforte e Bruxelles nelle politiche di bilancio e nelle decisioni dei parlamenti nazionali, che investirà tutti ma in particolare un Paese pesantemente indebitato come l’Italia, senza dare in contropartita una sicura solidarietà collettiva». [Ibidem]

Una vittoria tedesca, come è stato detto, e come c’era da aspettarsi. Ma si rivelerà una Vittoria di Pirro se, come chi scrive ritiene, i “mercati” finanziari continueranno a sbarazzarsi delle obbligazioni europee e dei titoli di debito sovrano, avvicinando il momento del redde rationem del collasso dell’euro, quindi dell’Unione che su quel pilastro si regge in piedi.

Il default italiano, e non solo italiano, che lo si voglia o no, è nel novero delle probabilità. Non è più oramai questione di come evitarlo, ma di come pilotarlo e programmarlo. Monti,  i suoi mandanti e i suoi giannizzeri non possono dirlo ma lo sanno, e si stanno preparando alla bisogna. La manovra appena adottata non è che l’antipasto di una tremenda e infinita cura da cavallo.